Seconda prova di Marco Müller come direttore del Festival Internazionale del Film di Roma. Qualche dubbio, una selezione del concorso ancora dallo scarso appeal, ma i numeri gli danno ragione e, senza dubbio, si tratta dell'edizione più coerente di questo giovane festival
Ci sono due modi per giudicare la riuscita di un manifestazione cinematografica: il primo è il frutto di un conteggio numerico, il secondo relativo alla bontà delle opere selezionate. Dai dati che emergono dal resoconto di Marco Müller, riportato dall'Ansa, sembra che questa ottava edizione del festival di Roma sia stata un vero successo, tanto in termini di incassi che di affluenza di pubblico: si parla del 20% in più nella vendita di biglietti, 5.500 accreditati (di cui il +20% studenti), oltre 150 mila presenze stimate nei dieci giorni della kermesse, le proiezioni sono state 402 proiezioni con sale occupate di media al 70%; numeri tutti positivi vengono da "The Business Street", il mercato del Festival di Roma: 10% in più di accreditati, 15% in più di buyers, 30% in più di accrediti internazionali e hanno partecipato 49 paesi con 100 proiezioni. Müller rimane quindi saldo al timone del Festival Internazionale del Film di Roma, uscendo vincitore da quest'edizione, e pensa già alla prossima, magari a spostare in avanti le date (concertando la scelta con il Festival di Torino) per stare vicini all'American Film Market.
Il secondo aspetto per giudicare Roma 2013 si muove su un terreno reso più incerto dalle personalità chiamate a esprimersi, e di conseguenza suscettibile ad opposizioni anche forti come quelle che sono piovute sul verdetto della giuria capitanata dal regista James Gray. Sintetizzando, è complesso fare un discorso che sia oggettivo sulla qualità dei film mostrati durante il festival: al di la dei meriti e dei demeriti appare più utile soffermarsi su alcune linee di tendenza emerse nella rassegna. Nel concorso il segno più evidente è stata la dialettica tra cinematografie di segno opposto, con il divismo e lo strapotere economico di quella hollywoodiana, messa a confronto con un resto del mondo fatto di produzioni low budget e attori sconosciuti. Da una parte la capacità del cinema americano di saper raccontare con forme di una classicità sempre nuova (vedere "Her" per credere), dall'altra quella di un movimento globale in grado di accorciare le distanze con idee e immaginazione. Un confronto impari a giudicare dalla ressa scatenata dalle proiezione dei film con Joaquin Phoenix e Matthew McConaughey, solo in parte equilibrata dalla cinefilia e dal culto prodotto da autori come Takashi Miike e Kiyoshi Kurosawa. In mezzo una serie di opere che rientrano pienamente nella categoria "film da festival" e che si sono rivelate più o meno interessanti, più o meno riusciti: se il messicano "Manto acuifero" è un dramma dalla messa in scena severa e coerente con un risultato sopra la media e "Blue Sky Bones" un curioso film "indie" non privo di spunti formali originali per la cinematografia cinese, "Valentin Cortao (di due registi cileni che hanno 24 e 25 anni) è l'ennesima opera che sfrutta il pedinamento con la camera a mano per raccontare il disagio giovanile, senza invenzioni e con l'ormai usuale inconcludenza narrativa, mentre il turco "I Am Not Him" sfrutta male il rigore di un'immobilità visiva per descrivere l'impasse esistenziale dei protagonisti con tempi inutilmente dilatati.
Anche quest'anno il palmarès è stato a dir poco sorprendente, con la vittoria assegnata a "Tir", film italiano escluso da qualsiasi pronostico (sebbene siamo fortunatamente lontani dall'obbrobriosa volontà di premiare "Marfa Girl") e per la scelta di premiare Scarlett Johansson, prestata a un ruolo che, prevedendo l'impiego della voce ed escludendo il corpo, ne amplifica paradossalmente la componente iconica. In generale, a lasciare interdetti, è stato la lista dei film rimasti fuori dalla contesa: stiamo parlando di "Her" di Spike Jonze, per molti, va detto, il miglior film della rassegna, dei quotatissimi "Dallas Buyers Club" e "Out of the Furnace", oppure, al già citato "Manto Acuifero"; il beniamino della critica, il rumeno "Quod Erat Demonstrandum", pellicola in bianco e nero ambientata ai tempi di Ceausescu, torna a casa con il Gran Premio della Giuria.
Il festival è stata anche l'occasione per ammirare interpretazioni di altissimo livello non solo da parte di un tris d'assi - oltre ai già citati Phoenix- McConaughey-Johansson merita una menzione Christian Bale, straordinario in un personaggio che sembra uscito fuori dalle canzoni di Bruce Springsteen - di cui sentiremo parlare ai prossimi Oscar, ma anche dell'ensemble femminile riunito nell'iraniano "Acrid". Il cinema italiano salvo qualche eccezione conferma una predilezione per il reale, espressa dalla mole di documentari sparsi nelle varie sezioni, ma anche declinata con ibridazioni che "Tir" nel bene e nel male esprime in maniera esemplare. Luci ("Song'e Napule" dei Manetti bros può essere annoverato tra queste) e ombre che appartengono al film di Alberto Fasulo ma non solo, perché la seconda versione del Festival targato Marco Müller, pur potendo avvalersi di una possibilità di scelta superiore all'anno scorso, per la decadenza del regolamento che prevedeva una competizione di sole anteprime, ha mostrato un miglioramento della qualità complessiva ma non è riuscito sciogliere le contraddizioni di un'identità a dir poco schizofrenica, divisa su posizioni che strizzano l'occhio al glamour e allo spettacolo e, nel contempo, flirtano con un cinema radicale ed elitario. Un Giano bifronte che è ormai il segno che contraddistingue questa Festa divenuta Festival e che, forse, a questo punto, va assecondata con una selezione più mirata e una gestione dei fondi più saggia. Ad esempio, quest'anno due sale dell'Auditorium non sono state rinnovate generando non pochi problemi nella programmazione delle repliche: un ruolo importante è stato giocato dal Cinema Barberini che, forse per il suo essere più vicino al "centro storico", veniva spesso preso d'assalto dagli spettatori paganti, gettando nel panico i numerosi accreditati a cui venivano riservati solo una manciata di posti (chi scrive è riuscito a entrare per un soffio alla proiezione di "Snowpiercer" ed è rimasto al gelo per "Dallas Buyers Club"). Niente da eccepire, invece, sul programma delle CineChat, grazie alle quali si ha la possibilità di incontrare personalità come John Hurt, Jonathan Demme, Spike Jonze, Wes Anderson e Roman Coppola; ci permettiamo solo una piccola domanda: è utile ospitare i registi quarantenni che non hanno nessuna voglia di discutere in maniera generale e generica del proprio cinema se non si hanno i mezzi per imbrigliarli? Forse era meglio dedicare più spazio ad autori e personaggi più navigati, stanchi di fare i bizzosi.
A Roma i riflettori hanno sempre puntato sui Fuori Concorso che, rispetto alla passata edizione, tornano importanti con una selezione di tutto rispetto: "Snowpiercer", l'atteso blockbuster di Bong Joon-ho, l'horror cannibalistico di Eli Roth "The Green Inferno", le anteprime di film europei quali "Il paradiso degli orchi" (tratto dal romanzo di Pennac) o "La luna su Torino" di Ferrario; da segnalare il giorno di delirio in cui sono confluiti all'Auditorium sia i fan di Checco Zalone che gli adoranti ragazzini in attesa del red carpet di Jennifer Lawrence e degli altri protagonisti di "Hunger Games: La ragazza di fuoco" - forse un accoppiamento leggermente ridondante.
Dulcis in fundo, il Marc'Aurelio d'oro alla carriera assegnato postumo al russo Aleksei Yuryevich German, regista di "Hard to Be a God", coup de foudre della critica che ci dice di un Müller ancora abile nel piazzare i suoi colpi. A quest'opera e al cinema del festival auguriamo uno sbocco nelle sale. Sarebbe una vittoria per tutti, con buona pace dei contestatori di professione.
La giuria internazionale, presieduta da James Gray e composta da Veronica Chen, Luca Guadagnino, Aleksei Guskov, Noémie Lvovsky, Amir Naderi e Zhang Yuan ha assegnato i seguenti premi:
Marc'Aurelio d'Oro per il miglior film: "Tir" di Alberto Fasulo
Premio per la migliore regia: Kiyoshi Kurosawa per "Sebunsu kodo (Seventh Code)"
Premio Speciale della Giuria: "Quod Erat Demonstrandum" di Andrei Gruzsniczk
Premio per la migliore interpretazione maschile: Matthew McConaughey per "Dallas Buyers Club"
Premio per la migliore interpretazione femminile: Scarlett Johansson per "Her"
Premio a un giovane attore o attrice emergente: tutto il cast di "Gass (Acrid)"
Premio per il migliore contributo tecnico: Koichi Takahashi per "Sebunsu kodo (Seventh Code)"
Premio per la migliore sceneggiatura: Tayfun Pirselimoğlu per "Ben o değilim (I Am Not Him)"
Menzione speciale: Cui Jian per "Lanse gutou (Blue Sky Bones)"