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L'arrivo di Wang", "
Paura 3D" e ora "Song'e Napule". Dopo horror e fantascienza, è la volta del poliziottesco. I Manetti Bros non perdono un colpo e in men che non si dica realizzano un nuovo viaggio nel cinema di genere componendo una storia di musica e malavita che prende spunto dal più classico dei
plot. Succede infatti che nella Napoli dei nostri giorni la polizia sia impegnata a catturare un crudele killer della camorra. Come Keyser Söze, "O fantasma" agisce nell'ombra senza che nessuno l'abbia mai visto in faccia, ma la partecipazione al matrimonio della figlia di un boss della zona fornisce l'occasione per spezzare l'incantesimo. Per realizzare il suo piano il commissario Cammarota decide di infiltrare Paco nella band di Lollo Love, il cantante cui toccherà il compito di ravvivare il lieto evento. Impacciato e ingenuo, Paco è un pianista mancato entrato in polizia non per vocazione ma per denaro. Un motivo sufficiente per impedirgli di venire meno al suo dovere è costringerlo a fare i conti con la paura di non farcela.
Una trama esile, quasi scontata, se non fosse che per i Manetti la struttura narrativa non è la prerogativa più importante ma certamente il mezzo più efficace per mettere ordine a un caleidoscopio di idee talmente incontenibile da risultare sempre sull'orlo del collasso. Come una formazione di calcio prima di entrare in campo, la stratificazione di citazioni, personaggi e modi di fare che inerisce al mondo dei Manetti, i quali si caricano di un'ansia da prestazione riversata sullo schermo con una gioia e un divertimento che va sempre di pari passo con la compattezza del risultato finale. In questo caso non si trattava solo di recuperare il tempo perduto, riscoprendo un genere abituato a esasperazioni fisiche e verbali, ma c'era in gioco anche la rappresentazione di una città entrata nell'inconscio degli italiani come utente finale di una disperazione che porta troppo spesso a generalizzare. Come fa Paco in una delle sequenze iniziali, quando in una sorta di retropensiero comune inchioda la napoletanità ai suoi difetti e alle sue responsabilità. Da quel momento, possiamo dire che il racconto dei Manetti, addentrandosi nel territorio urbano e nel tessuto di una comunità attaccata alle sue liturgie, funziona come un'operazione a cuore aperto, in cui la vista dell'organo vitale, nel caso del protagonista di quell'"anima e core" che Lollo gli rimprovera a proposito del suo modo di suonare, finisce per conquistare il più scettico degli astanti, ivi compreso il riluttante protagonista.
Autori di un cinema mutante e contaminato, i Manetti creano un
exploitation di canzoni e personaggi in cui la musica melodica napoletana, messa in campo attraverso il personaggio del cantante melodico Lollo Love, si mischia con una colonna sonora che riprende i motivi di quella di Stelvio Cipriani e di un film come "Shaft", uno dei campioni del genere in questione.
Ed è proprio il
sound con la sua miscela eterogenea che riesce ad amalgamare la componente più drammatica che fa capo alle indagini del commissario Cammarota e dei suoi uomini, a quella più sentimentale e giocosa legata alle vicissitudini di Paco, alle prese con la sua nuova vita e che a un certo punto si innamora, come nella migliore tradizione della canzone napoletana, della bella sorella del cantante.
E' nelle maschere e nei tic di due personaggi agli antipodi, per scelta e per natura - parliamo del commissario Cammarota e, appunto, di Lollo Love - che il film stabilisce i confini di una fantasia che intrattiene e fa ridere cento volte di più della media delle commedie italiane che stanno in testa ai botteghini. Solo per questo "Song'e Napule" sarebbe un biglietto da staccare. Ma c'è molto di più, da vedere e da sentire.
11/11/2013