La giornata del concorso ufficiale del Festival di Roma si apre all'insegna del cinema d'autore più spinto, quello che rifiuta i compromessi e richiede totale dedizione. A fornirci l'occasione è una cinematografia che in tempi recenti si è segnalata per l'efficacia con cui ha saputo restituire le contraddizioni di un Paese, la Turchia, naturalmente dicotomico. In questo senso "I Am Not Him" di Tayfun Pirselimoglu sembra sposare questa predisposizione nel senso più letterale del termine, raccontando la storia di uno sdoppiamento che si trasforma in tragedia. Ad esserne protagonista è Nyhat, uomo solitario e taciturno che si invaghisce, ricambiato, di Ayse, una collega di lavoro bella e misteriosa, e decisa a prendersi cura di lui ospitandolo nella sua casa.
Il
menage proibito assume contorni inquietanti quando Nihat scopre di assomigliare come una goccia d'acqua al marito di Ayse, detenuto nelle prigioni della città per aver falsificato dei documenti. Assecondato dalla donna, Nihat dapprima ne prende il posto nelle abitudini coniugali, e successivamente finisce per assumerne inconsapevolmente la personalità. Incentrato sul tema del doppio che alla fine si rivelerà con connotati addirittura beffardi, "I Am Not Him" assorbe suggestioni e temi che da tempo animano in patria e all'estero il dibattito sulla "questione turca": dalla presenza ricorrente e spaventosa dell'esperienza detentiva, che si affaccia sistematicamente e in maniera ossessiva nel corso del film per ricordarci l'esistenza di uno stato di polizia pronto a non lasciare spazio ad alcuna trasgressione, all'elemento punitivo che perseguendo lo scopo di imprimersi nell'inconscio delle vittime assume forme di violenza inusitata, come quella che in una delle prime sequenze si scatena sul detenuto malmenato a sangue per aver manifestato il proprio dissenso nei confronti della legge.
Spunti e riflessioni che in "I Am Not Him", lungi dall'assumere una connotazione politica e sociale, diventano motivo di un'alienazione che fa male e rende soli: Pirselimoglu lo afferma senza mezzi termini attraverso il ritratto di una vita disumanizzata come quella di Nihat, che sembra avere un senso solamente nella riappropriazione delle funzioni primarie come quella del mangiare, e che invece paga dazio ogni volta che tenta di dare sfogo alle passioni, con epiteti infami e crudeli rivolti soprattutto ad Ayse, etichettata dai colleghi di Nihat come la peggiore delle sgualdrine. Costruito per la maggior parte attraverso una serie di piani sequenza a camera fissa che riproducono alla perfezione l'immobilismo esistenziale dei personaggi, "I Am Not Him" mette da parte qualsiasi propensione naturalistica, procedendo con una narrazione circolare ed ellittica, che nel lasciare in sospeso qualsiasi spiegazione contribuisce a spostare la storia in una dimensione misteriosa e paradossale.
Se la regia di Pirselimoglu è efficace nel ricavare lo stato emotivo del film da una messa in scena che rielabora continuamente il rapporto fra spazio e figure umane, servendosi dei volumi ambientali come una sorta d'intercapedine fra gli uomini e il mondo esterno, "I Am Not Him" spreca il suo rigore formale con un contenuto che svela troppo presto le sue carte, consegnando il film a una scontatezza che una pellicola del genere, scandita da tempi dilatati, non riesce a metabolizzare.
09/11/2013