Rispolveriamo il nostro "Speciale registi" partendo da un Autore già affrontato in queste stesse pagine, in occasione del suo imminente ritorno nelle sale
Sono passati oltre sette anni dal nostro primo speciale dedicato ai migliori film di Christopher Nolan. Un periodo di tempo che ha visto la filmografia del Nostro arricchirsi di due ulteriori pellicole, ciascuna di esse attesissima prima dell’uscita in sala ed estremamente discussa dopo.
Ma soprattutto sono cambiati alcuni (molti) membri della Redazione e il recente - ancora una volta attesissimo - ritorno di Nolan nelle sale con "Oppenheimer" rappresentava un’occasione fin troppo ghiotta per ritornare in argomento.
Nolan ha ormai assunto un’importanza enorme nel panorama cinematografico occidentale (e mondiale), coniugando un’impronta autoriale pienamente riconoscibile (anche se talvolta fonte di dibattiti piuttosto accesi nell’ambito della critica) a un approccio comunque mainstream capace di allargare notevolmente la base di pubblico destinata a ricevere le sue opere. E così, in questi anni, c’è stato addirittura un momento in cui Nolan si è visto caricare sulle spalle la responsabilità e l’onere della ripartenza delle sale in piena emergenza covid, in quell’estate del 2020 in cui si confondeva la fine della prima ondata con la fine della pandemia.
Fatte queste brevi premesse, andiamo subito a riproporre la classifica dei migliori film del regista londinese (anche se ormai stabilmente trapiantato negli States), contenente le sue undici fatiche, da quella meno votata a quella più gradita dalla nostra Redazione.
Inutile dire, a conferma di quanto resti divisivo un regista come Nolan, che ci siamo profondamente divisi su una serie di pellicole, collocate ai primissimi posti da alcuni di noi e agli ultimi - se non proprio all’ultimo - da altri.
Abbiamo però mantenuto un’intrinseca coerenza redazionale, visto che il podio è costituito dagli stessi tre film che già sette anni fa si classificarono ai primi tre posti, sebbene in ordine rimescolato.
Per ciascun’opera abbiamo infine redatto una breve pillola in cui troverete le tracce del nostro pensiero.
E non finisce qui. Tra qualche mese, quando la visione di "Oppenheimer" sarà stata ben assimilata e ponderata, questo speciale ritornerà con l’aggiunta in classifica di quest’ultimo film. Nolan sarà in grado di superarsi? Staremo a vedere.
11. TENET (2020)
Ingegno c'era nell'allenare congegni.
È con sottile contraddizione interna che Christopher Nolan perviene all'apice del suo cinema col suo film meno riuscito. "Tenet" è, in questo senso, opera limite di un percorso tutto inteso a manipolare e poi snudare smisurati congegni narrativi, in cui trovano albergo tutte le mode culturali del nostro tempo, insensibili alle reciproche incompatibilità. Tout se tient, nella prestidigitazione nolaniana, l'opera-rompicapo e lo script come libretto d'istruzioni per il suo scioglimento, la maniacalità scientifica e il suo svilimento in codici new age. Originato dall'aspirazione a visualizzare in chiave spionistica (!) l'idea di Feynman che l'annichilazione elettrone-positrone sia interpretabile come un rimbalzo dell'elettrone indietro nel tempo, "Tenet" si invischia in una confusione dei rapporti causa-effetto che riduce l'azione a una sequela di gesti programmati, una danza senza pathos. Con piglio avanguardista, Nolan devia il focus del piacere dalla visione del film al tentativo di decodificarne i meccanismi, invischiandosi nelle secche di un'opera palindroma, di cui nulla si ammira oltre la meccanica dell'intreccio.
Matteo Pernini
10. IL CAVALIERE OSCURO - IL RITORNO (The Dark Knight Rises, 2012)
"A che punto ero?", 12 anni dopo
2012. Christopher Nolan è passato in pochi anni dal dirigere ruvidi noir indipendenti a essere ritenuto il regista più affidabile di Hollywood, capace ciononostante di mantenere un approccio fortemente personale alle storie che mette in immagini e al modo in cui lo fa. Come Batman fino a poco prima del finale di "The Dark Knight" il regista britannico pare salito più in alto di qualunque cineasta della sua generazione e la sua traiettoria sembra ancora ascendente. A questo serve "Dark Knight Rises", a mettere in crisi l’irresistibile ascesa hollywoodiana di Christopher Nolan e soprattutto la perfetta alchimia fra grande spettacolo pop e riflessioni e stilemi d’autore sviluppata negli anni che vanno da "The Prestige" a "Inception", dando inizio alla separazione del pubblico, esacerbata da "Interstellar" e culminata con "Tenet", fra chi continua a essere affascinato dal prestigio nolaniano e chi non può che ribadire a ogni pellicola che il trucco si vede. Fra buchi di sceneggiatura, trovate che stridono col rivendicato realismo del progetto, colpi di scena che annientano la caratterizzazione di più personaggi e un’altra dimostrazione della pochezza della visione socio-politica del tory Nolan, "Dark Knight Rises" rappresenta una, seppur parziale, caduta nel percorso del regista. Bisogna ora capire se riuscirà a risollevarsi del tutto.
Matteo Zucchi
8. (ex aequo) FOLLOWING (1999)
Da "Following" a Followed il cinema di Nolan
Pedinamenti e sostituzioni. Trappola e mistificazione. Un giovane scrittore senza arte né parte segue gli individui nelle strade di una Londra caotica e sporca per immaginarsi storie. Si fa irretire da un ladruncolo che lo introduce nei furti in appartamento, ma è tutto finzione, mistificazione, manipolazione. L’opera prima di Nolan è girata con mezzi di fortuna, con attori non professionisti, in case di amici e nei fine settimana. Fotografia in bianco e nero, riprese in esterno rubate e non autorizzate, un noir retrò(grado) sia nella forma sia nella struttura narrativa che anticipa "Memento", "Tenet", "Dunkirk". Così to follow, seguire i personaggi, la carriera, i successivi film.
"Following" è un invito a seguire i successivi lavori dell’autore e godersi un piccolo esperimento naïf, ma già maturo con un’idea chiara di cinema e che crea grandi e future aspettative (followed).
Antonio Pettierre
8. (ex aequo) INSOMNIA (2002)
"Quando sei sul punto di scartare qualcosa, guarda di nuovo"
Terzo lungometraggio del regista, il suo titolo meno visionario e, parole sue, il più sottostimato. L’unico di cui non abbia firmato la sceneggiatura.
Ambientato in Alaska, nella stagione che non conosce notte. Il caso, l’omicidio di una diciassettenne, esposto nei primi quindici minuti. A un quarto di film un episodio di tensione (il primo di due soltanto): una sequenza di due secondi insinua un sospetto, due secondi per dedurre la verità sul protagonista. L’assassino della ragazza, invece, palesa la propria voce precisamente a metà pellicola. Ma l’indagine, a quel punto, è funzionale a un altro intrigo.
La successione delle scene e l’equilibrio tra le parti, come le cornici di tempo e spazio delle sequenze, montati con precisione e sapienza. Colore, tono della recitazione e ritmo di temperatura costante. E un’intuizione brillante, l’accostamento di due interpreti, Pacino e Williams, magnifici e così diversi tra loro. C’è la misura del talento di Nolan, in "Insomnia".
Livio Cavaleri
7. BATMAN BEGINS (2005)
C’era una volta a Gotham
Nolan arriva all’uomo pipistrello dopo aver lasciato un fugace, profetico indizio in "Following" e dopo tre film fra loro molto diversi, ma comunque in grado di evidenziarne il piglio sperimentale-autoriale (lo stesso "Following" e "Memento") piuttosto che una certa capacità di coniugare generi e logiche mainstream ("Insomnia"). Tre film con il minimo comun denominatore delle tinte cupe e della velata inquietudine psicologica: esattamente ciò che serviva alla Warner Bros.
"Batman Begins" è una origin story che riporta sul grande schermo il supereroe DC dopo i due pessimi episodi diretti da Joel Schumacher (rispetto ai quali non era difficile fare meglio) ma anche dopo il dittico di Tim Burton che rappresentava invece la grande sfida da superare.
La sceneggiatura (cui ha partecipato lo stesso Nolan) è convincente e le atmosfere sono per lo più azzeccate, con l’eccezione, comunque opinabile, della smaccata deriva urbano-metropolitana-newyorkese di Gotham City. La fotografia di Wally Pfister (d.o.p. di sette dei primi otto film di Nolan, con la sola eccezione dell’artigianale "Following") è sicuramente pregevole e degna di nota e anche la scelta degli interpreti si rivela all’altezza della sfida.
I tasselli sembrano tutti al posto giusto, insomma, eppure il film manca di quell’armonia, di quella coralità e soprattutto di quell’audacia che aveva reso grandi i due Batman di Tim Burton.
Resta comunque un discreto reboot per una trilogia che conoscerà alti e bassi, ma che - con l’eccezione del film intermedio - ben poco aggiungerà alla dimensione autoriale del regista, rischiando anzi di farlo deragliare dai suoi consueti e già rodati binari.
Vincenzo Chieppa
5. (ex aequo) DUNKIRK (2017)
Esperimento di guerra
Apparentemente distanti e parimenti ambiziosi, il fantascientifico "Interstellar" e il bellico "Dunkirk" affrontano questioni care al cinema nolaniano: il primo mette in evidenza temi e sentimenti esplorati dalla sua poetica, il secondo mette a nudo la sua intelaiatura, l’idea di cinema del regista sostenuta dalla indubbia abilità tecnica. In "Dunkirk", Nolan organizza lo spazio narrativo e gli elementi del genere bellico in un laboratorio il cui fine è raggiungere la massima tensione formale: lo spartito segue tre segmenti narrativi divisi per ambienti (terra, mare, cielo) e tre tempi (una settimana, un giorno, un’ora), sviluppati attraverso un montaggio che intreccia e incastra i vari episodi simulando la simultaneità. Le tre linee temporali in alcuni momenti si toccano ma è la volontà del demiurgo a essere scaturigine di picchi di tensione e rime emotive andando a scavare nell’esperienza della guerra e negli stati di eccitazione, paura, coraggio, spirito di sopravvivenza. È probabilmente per questo che "Dunkirk" non ha grandi protagonisti e il volto più noto - Tom Hardy - è nascosto dalla maschera da aviatore perché devono essere le immagini a essere vettori emozionali e la loro concatenazione a tessere la tela della narrazione.
Giuseppe Gangi
5. (ex aequo) INTERSTELLAR (2014)
L'umanità nella fine del mondo
Con la sua trilogia di Batman ultimata da poco e dopo l’enorme successo ottenuto con "Inception", Nolan si presenta nelle sale con "Interstellar" da autore ormai consacrato e da Re Mida dei blockbuster. Due ruoli apparentemente in contrasto, che poche volte hanno coesistito così bene come nel regista inglese. Al contrario che nelle scatole cinesi di "Inception", questa volta Nolan si cimenta con il più classico dei topos fantascientifici: la fine del mondo, o perlomeno della terra. Con l’uomo costretto ad abbandonare al suo destino il pianeta esanime per continuare a esistere, in un'altra galassia. La maniera in cui si articolano le quasi tre ore di durata del film è però pura quintessenza nolaniana. Ci sono i giochi di prestigio e i colpi di scena, tutti affidati alla relatività del tempo. C’è l’epica degli uomini resilienti nel non arrendersi al buio, a nessun costo. C’è l’amore che alimenta i suoi sforzi, inevitabilmente declinato nel rapporto tra padre e figlia. E c’è, non meno magniloquente, l’esperienza visiva, anzi sensoriale, stordente, che culmina nell’attraversamento del wormhole. Metteteci se volete anche una delle migliori colonne sonore mai scritte da Hanz Zimmer.
Michele Corrado
4. IL CAVALIERE OSCURO (The Dark Knight, 2008)
Una nuova giungla d'asfalto
Ci sono diversi motivi che rendono fondamentale, nel cinema americano del nuovo millennio, il secondo capitolo della trilogia batmaniana di Christopher Nolan. Il primo di questi è la constatazione che il regista britannico ha una dote che pochi possono vantare nel cinema contemporaneo: sa creare mondi "altri". La Gotham di Nolan, così spudoratamente e volutamente non celata nel suo essere semplicemente New York, è sia impregnata di realismo urbano, sia teatro all'aperto per un'epopea che riesce a costruire un universo umano stratificato e variegato. In questo Nolan è a suo modo un precursore, se pensiamo che questa qualità ha fatto la fortuna di cineasti del calibro di Denis Villeneuve (o si potrebbero citare anche Gareth Edwards, Neill Blomkamp, persino J.J. Abrams).
In secondo luogo c'è una considerazione da fare sul senso della trilogia: qui siamo di fronte a una evidente scelta in controtendenza, perché Nolan "usa" il concetto di serialità cinematografica in modo assolutamente non convenzionale. Non una trilogia che abbia una continuità narrativa marcata e miri a fidelizzare il suo pubblico, ma tre film che permettano di mettere in scena tre diverse Gotham, tre diversi universi paralleli di cui il secondo, quello appunto creato nel film uscito nel 2008, risulta il più dirompente e affascinante.
Infine c'è un tema legato all'approccio al mainstream del regista che sceglie di non sacrificare sull'altare del facile incasso le sue prerogative autoriali. "Il cavaliere oscuro" è sì un film che rispetta tutti i canoni della distribuzione cinematografica su larga scala, ma gioca a dissimulare dietro la spettacolarità delle sue sequenze più roboanti uno sguardo originale che possa, appunto, prendere un comic movie e farne qualcosa di completamente diverso. Se si vuole comprendere gran parte del cinema hollywoodiano che ha tentato di seguire la stessa strada negli anni a venire, non si può che partire da una (re)visione del Batman nolaniano.
Giancarlo Usai
3. MEMENTO (2000)
Cinema liquido
Parlando della modernità liquida Zygmunt Bauman osserva come le cornici ideologiche un tempo sopravvivessero agli esseri umani (un contadino medievale nasceva e moriva nello stesso feudo) mentre grazie all’aumento della velocità dovuto alla tecnologia adesso le cornici cambiano più volte nel corso della vita (pensate a un tedesco dell’est nato all’inizio del ventesimo secolo). Ma cosa succederebbe se portassimo l’idea alle sue estreme conseguenze e i punti di riferimento della vita cambiassero ogni pochi minuti?
Risponde Nolan con il suo primo successo: "Memento". Il povero Leonard cerca di risolvere il caso della morte della moglie, ma la sua memoria si azzera frequentemente. E noi ci arrangiamo insieme a lui visto che – a parte pochi segmenti – il film procede a ritroso, di modo che noi abbiamo volta volta a disposizione solo le informazioni che ha Leonard. Nel 2000 "Memento" seppe descrivere la visione del mondo di una generazione che si affacciava al mondo adulto scoprendovi solo precarietà lavorativa ed esistenziale, anche se a Nolan interessava soltanto iniziare un discorso autoriale sul tempo, poi rielaborato in "Dunkirk" e "Tenet". Ma mentre in questi film prevarrà l’aspetto formale della gestione del tempo, qui il tema è intrecciato a una riflessione affascinante sul passato che in fondo non esiste e può essere distorto a piacimento. Geniale, metafilmicamente, l’uso di Pantoliano post-"Matrix".
Alberto Mazzoni
2. INCEPTION (2010)
L’eroe debole di Nolan
I mind game movies sono i film-rompicapo, filone particolarmente felice negli ultimi decenni, almeno a partire da "Memento". La sua diffusione va di pari passo all’incremento di eroi deboli, pieni di incertezze, ripensamenti, fallimenti. Nel cinema di Nolan, i mind game movies sono accomunati dall’ossessione per gli slittamenti temporali, e tendono a somigliare a numeri di illusionismo. Scontano qualcosa in termini di fluidità e impongono un condizionamento cerebrale alla fruizione di opere che regalano invece il meglio sul piano emotivo. Il senso profondo di "Inception" risiede nel rapporto fra Cobb (Di Caprio) e sua moglie (Cotillard). La migliore intuizione sta nell’idea di un "progettista di sogni" che è un "eroe debole" che non sa calcolare l’impatto del proprio vissuto sulla dimensione onirica. Così, il senso di colpa per la morte della moglie si ripresenta ossessivamente a sabotare il progetto: scendendo in profondità nell’inconscio, "Inception" si smarca, alla fine, dall’essere un mero gioco di prestigio.
Stefano Santoli
1. THE PRESTIGE (2006)
La grande illusione
Radicato per temi e atmosfere nel dramma vittoriano, "The Prestige" mette in scena un duello di trucchi e specchi che moltiplica, amplifica, vivifica le ossessioni dei due protagonisti. E anche quelle del cinema nolaniano, che vi si trovano mirabilmente racchiuse come in una scatola cinese: i toni noir, l'afflato eroico, l'arzigogolo narrativo, il meticoloso innamoramento per una scienza che si trasforma in merveilleux (Todorov), la mania del doppio e la divertita manipolazione della grammatica del cinema, ma senza quella retorica tonitruante che affligge i suoi ultimi lavori. A oggi rimane l'opera più personale di Nolan: solo un film che parla di inganni poteva raccontare con sincerità la sua ossessione per la menzogna cinematografica, infinito inganno e infinito spettacolo, conversione della scienza in magia, trucco noto e ripetuto che non cessa di stupire, abisso in cui gettiamo lo sguardo e che talvolta sembra osservarci di rimando.
Rudi Capra