Atto I: la Promessa
"Credevo che il bello dei libri fosse sapere cosa succede dopo."
Da "Memento", Leonard Shelby
Come in quasi ogni pellicola di Christopher Nolan la chiave ermeneutica è esplicitata, in bella vista, posta addirittura nell'incipit nel caso in questione. Ma come capita quasi altrettanto spesso nella produzione del regista londinese quest'indizio non è da interpretarsi univocamente ma si presta ad un più ampio spettro di considerazioni. Perché Nolan, compiaciuto come poche altre volte, è ben conscio del ruolo illusionistico della sua figura e lo rende palese fin dall'apparentemente fin troppo didascalico monologo di Michael Caine, compiendo un'abile misdirection e spingendo l'attenzione spettatoriale verso la figura della triade. Difatti pur avendo questa indiscutibile rilevanza in "The Prestige" la simbologia numerica che forse rappresenta meglio la pellicola è il dualismo, il doppio oppositivo.
Ed in effetti tutta l'opera è zeppa di coppie, a volte esplicite, altre no, agenti in maniera reciprocamente oppositiva e, come capita di sovente nel cinema del regista, divenenti "figure parlanti" rappresentanti idee, prospettive o condizioni differenti. Basti citare i due diari da cui fluisce la narrazione, intrecciandosi, le mogli dei maghi, ambedue destinate ad una tragica sorte, i due sosia dal ben diverso peso (e senso) narrativo, le figure simil-paterne dell'ingénieur interpretato da Caine e del Tesla di David Bowie, ma anche due mondi, ovvero l'urbana e raffinata Inghilterra e la selvaggia (anche a livello di relazioni e comportamenti, si potrebbe aggiungere) America, e due tipi principali di setting, cioè i riccamente ammobiliati interni e gli esterni rappresentati piuttosto omogenei (se si escludono i personaggi principali). L'elenco, tutt'altro che esaurito, certifica la centralità che la tematica dualistica, da sempre centrale nel cinema di Nolan, ricopre in questo film.
Infatti ogni sua pellicola vive, in forme più o meno manifeste, delle complesse relazioni che si stabiliscono fra i due protagonisti, chiamati a significare posizioni chiaramente oppositive e a generare una considerevole sequela di dinamiche contraddittorie. Fin dall'ignavo Bill e dallo scaltro Cobb dell'esordio "Following", passando per il detective Dormer e il manipolatore Finch di "Insomnia", per poi arrivare al Batman di Bale e i suoi numerosi avversari (coi quali ha guarda caso quasi sempre una rapporto in una qualche misura personale), tutti i protagonisti di Nolan partecipano a questa danza a due, sempre tragica e fatale. In questo novero il trattamento più variegato e approfondito lo meritano proprio gli illusionisti Borden (Bale, ovviamente) e Angier (Hugh Jackman, forse nella sua migliore interpretazione), simboli di due diversi approcci alla loro arte ma anche alla vita in generale, destinati a rimanere Altri senza possibilità di contatto (e difatti, se si escludono i loro primi e ultimi incontri, non sono quasi mai vicini) e pertanto a scontrarsi incessantemente, ma accomunati proprio dalla stessa natura internamente fratta.
D'altronde i motivi che garantiscono la natura certamente nolaniana della pellicola non si limitano solo alla rappresentazione del dualismo teorico dell'opera mediante i protagonisti fortemente connotati ma si moltiplicano nel corso dell'opera e ne definiscono sempre i tratti. Al riguardo non si può non citare l'utilizzo del più classico degli stilemi noir, ovvero la narrazione ex post, sfruttato come nei migliori romanzi di genere a partire dai diari dei protagonisti, portando però all'intrecciarsi del discorso in maniera spiraliforme, memore della narrazione di "Memento" e ancor più anticipante il continuo gioco di riflessi di "Inception". Simile importanza spetta alla caratterizzazione fortemente mimetica sotto il profilo visivo ma comunque moderna del mondo descritto (si pensi ad alcuni astorici abiti di scena indossati da Scarlett Johannson), in linea con quanto sempre perseguito dal cineasta britannico.
Atto II: la Svolta
"Ecco cosa succede quando una forza irrefrenabile incontra un oggetto inamovibile.
Credo che io e te siamo destinati a lottare in eterno !"
Da "The Dark Knight", Joker
Pertanto non sono pochi gli elementi che permettono di annoverare "The Prestige" all'interno del percorso del succitato regista, così come non sono sminuibili tutti i fattori d'innovazione o comunque di variazione rispetto a quanto mostrato nei film precedenti. Fino alla pellicola in questione Christopher Nolan era reputato un talentuoso autore di noir urbani i cui stilemi e interessi tematici erano già stati chiaramente esplicitati nel dittico d'esordio e solo superficialmente innovati nei film successivi: "Insomnia", poco più del solito "esordio hollywoodiano" su commissione, variava l'ambientazione e riprendeva il particolare lavoro sul corpo delle star iniziato con "Memento", mentre il primo film supereroistico dell'inglese pur nella sua riuscita pareva più un'ibridazione tra i suoi tratti abituali e un mondo di derivazione burtoniana che la creazione di uno personale.
Nonostante la progettazione durata più di cinque anni il film del 2006 fu quindi all'epoca poco meno che una sorpresa per i sempre più numerosi conoscitori del cineasta britannico, dato che si mostrava come un dramma in costume con elementi fantastici, ovvero quanto di più differente dalle anomale investigazioni fortemente contestualizzate nella modernità delle prima metà della sua carriera, il cui realismo era (e sarà ancor di più nelle opere che seguiranno) una chiara scelta poetica. Ma un altro carattere focale del cinema di Nolan è quello metacinematografico, la cui occultazione in ricostruzioni puntigliose e perseguita classicità nella caratterizzazione dei personaggi non fa altro enfatizzare tutti i debiti aventi con la storia del cinema. Così avviene in "The Prestige", sviluppando l'assunto illusionistico che sta alla base del film e dell'idea di cinema del regista.
Così vengono spiegati le scenografie e i costumi talmente accurati da ostentare il loro manierismo, la fotografia granulosa (come in una foto d'epoca) di Wally Pfister, il sinfonismo non tonitruante (Hans Zimmer era ancora lungi, fortunatamente) di David Julyan e soprattutto il solito cast di conclamata fama, il quale si giova soprattutto delle ottimamente differenziate interpretazioni dei due protagonisti, della tragicità sottotono dell'ingénieur Cutter e della caratterizzazione data a Tesla da David Bowie, nelle cui parole scritte (per lui appositamente) dai fratelli Nolan è anche troppo facile cogliere echi autobiografici. Difatti dal grande cinema hollywoodiano del passato il regista di Londra non prende solo la meticolosità realizzativa e la grandeur ma soprattutto l'afflato melodrammatico, in realtà presente in nuce almeno fin da "Memento". Tratto che il film del 2006 conclama nelle ripetute catastrofi, alla cui drammaticità contribuiscono le accortezze narrative postmoderniste del regista, nell'irresolubilità dei conflitti, nell'enfasi dei sentimenti che muovono i personaggi, nella perenne variabilità dei rapporti e delle forze in gioco.
Atto III: il Prestigio
"Il mondo è semplice, miserabile, solido, del tutto reale. Ma se riuscivi ad ingannarli per
un secondo, allora potevi sorprenderli. E allora riuscivi a vedere qualcosa di speciale."
Dal film, Robert Angier
Il melodramma USA degli anni 50 viene spesso librescamente definito l'apice del "cinema dell'eccesso" della Hollywood classica (qualcuno direbbe "post-classica", senza ironia). Uno dei suoi tratti principali era il ricorso alla maggiori potenzialità cromatiche del Technicolor, spesso combinato a formati panoramici così da enfatizzare al massimo quest'ultime e contrapporsi abbastanza esplicitamente all'affermantesi piccolo schermo. Sicuramente è interessante che a distanza di circa 50 anni, e a partire da questo film, Christopher Nolan persegua una valorizzazione tecnico-estetica delle qualità della pellicola e del cinema in sala, sposando una simile finalità. Allo stesso modo il regista inglese riprende il genere del melodramma (ma andando alle radici europee e tardo-ottocentesche di esso) e le sue consuetudini per trattarne le medesime tematiche centrali, ovvero la mediazione dell'individuo tra le sue istanze interiori e il contesto circostante. Ed è qui che entra in gioco il noir, rimasto finora confinato all'escamotage narrativo motore della fabula eppure componente necessaria di approfondimento delle tematiche dell'opera, in quanto "genere della frammentazione".
In fin dei conti è quest'ultima l'immagine che probabilmente meglio rappresenta la totalità della pellicola, sia dal punto di vista narrativo, con il flusso di brevi ricordi interposti, che da quello visivo, col seguirsi dei diversi registri cromatici adottati per caratterizzare i diversi personaggi e contesti, che da quello della definizione dei vari caratteri principali. Questi difatti non sono mai monolitici ma mutano in base alle necessità del racconto e delle relazioni che mantengono fra loro (emblematico al riguardo è il ruolo di Scarlett Johannson), mentre Angier e Borden finiscono addirittura per sdoppiarsi letteralmente. La natura fratta dei personaggi li inserisce all'interno delle dinamiche della narrazione ma al contempo impedisce loro di liberarsi da una consequenzialità che pare quasi fatale, come già avvenuto a tutti i protagonisti dei film dell'inglese, primo fra tutti il Leonard Shelby/Sammy Jenkins di Guy Pearce. Non è un caso difatti che l'unico personaggio a cui sia concessa una qualche speranza e una certa liberazione è Borden, solo dopo l'eliminazione di ambedue i suoi doppi (e dopo "essere morto", verrebbe da dire, come molti eroi di Nolan).
Similmente alla pellicola successiva, perlomeno nelle intenzioni del regista, "The Prestige" risulta un'aggiornamento della sua poetica e degli stilemi abituali di questa attraverso un modello cinematografico apparentemente distante, una manifesta e perseguita opera di maturazione. Ma se "The Dark Knight" pare a tratti gravato dal sovraesposto realismo dell'ambientazione e dal didascalismo dei protagonisti e di molti dialoghi, esplicitando in primo luogo quelli che sono riconoscibili soprattutto come i "difetti" principali della produzione successiva del regista, il film del 2006 espone con sorprendente equilibrio (quasi nessuna sbavatura nella sceneggiatura, cosa purtroppo non ripetutasi) i tratti principali del cinema nolaniano, precedenti (il noir, l'intricatezza narrativa, la stilizzazione) e futuri (il centrale lavorio intergenere, la narrazione melodrammatica, l'intersecazione fra realismo ed elementi fantastici).
Probabilmente meno importante del "Cavaliere oscuro" e forse non memorabile quanto "Memento", indubbiamente meno influente di entrambi, il quinto film di Nolan resta l'opera che meglio rappresenta il suo cinema al di là di ciò che se ne può pensare. Rimane solo da ammirare il modo in cui il regista britannico ha narrato, adoperando metacinema e classicismo, postmodernismo e melodramma, revenge movie e fantascienza, la più personale e forse autobiografica di tutte le sue storie.
cast:
Michael Caine, Hugh Jackman, Scarlett Johansson, Andy Serkis, David Bowie, Piper Perabo, Christian Bale
regia:
Christopher Nolan
distribuzione:
Warner Bros
durata:
130'
produzione:
Newmarket Films, Syncopy, Warner Bros., Touchstone Pictures
sceneggiatura:
Jonathan Nolan, Christopher Nolan
fotografia:
Wally Pfister
scenografie:
Nathan Crowley
montaggio:
Lee Smith
costumi:
Joan Bergin
musiche:
David Julyan