"America Latina" segue la coda lunga del fiorente panorama espressivo italiano degli ultimi anni. Previsto inizialmente per il 2021, periodo di grandissima espressione del nostro cinema, esce all'inizio del 2022 ma difatti trascina una tendenza interessante ormai consolidata da tempo.
Da una parte abbiamo un cinema che guarda alle strutture, si attacca fortemente all'oggetto rappresentato e a volte lo schematizza per farne didascalia. Si pensi ai feticci pop del cinema di Gabriele Mainetti, all'attaccamento verso il testo di riferimento in "Martin Eden" non filologico, come scritto in recensione ma di difficoltosa restituzione oggi, o ancora al precipitato metatestuale di "Diabolik" e "A Classic Horror Story".
Dall'altra parte del guado, invece, alcuni testi filmici scelgono di rappresentare una realtà lontana, filtrata dalle immagini che rimarcano la distanza da ciò che raccontano. Lo spazio che si ritagliano è spesso archetipico e definisce le storie come in "Ariaferma" e "Il buco"; altre volte è definito da coloro che lo abitano, come in "I giganti" e appunto in "Favolacce".
Questa distinzione non vuole indicare estremi di valore quali meglio o peggio, alto o basso. Riguarda piuttosto le sfumature nei modi di rappresentare e raccontare, svincolandosi dall'etichetta verità di cui il cinema italiano viene vestito (spesso da chi lo guarda prima ancora che dai suoi creatori).
(La recensione descrive parte degli eventi narrati, con solo alcuni spoiler minori)
Luoghi ameni
Nei film di Damiano e Fabio D'Innocenzo i luoghi divengono un pretesto per innescare una tragedia atavica già in atto e, secondo la visione degli autori, insita nei rapporti parentali tra le persone. Come la bomba creata per gioco dai fanciulli di "Favolacce" è sintomo di un processo inevitabile, incontestabile persino dalla prosaica e falsante voce fuori campo, anche in "America Latina" un evento è già in divenire.
La periferia di "La terra dell'abbastanza", similmente alla provincia dei due film successivi, raccoglie il vissuto contestuale dei loro autori, segnato e lacerato dalle persone che lo compongono, come dichiarato dagli stessi registi in questa intervista rilasciataci in occasione del film. Questo abitare, che è anche habitus sociale dei personaggi scritti dai D'Innocenzo, si sgretola sotto il monadismo degli adulti e del guasto emotivo che marcisce al loro interno.
È quello che accade al dentista Massimo Sisti, rispettabile e consuetudinario uomo sposato, padre di due figlie. Si rompe una lampadina e si spegne una luce: una giornata come le altre scende in cantina e vi trova legata una bambina della quale si sorprende. Si assicura di tenerla segregata finché non avrà trovato risposte sull'accaduto.
"America Latina" si colloca proprio al centro del guado rappresentativo descritto in apertura. Da un lato didascalia di genere thriller per avvicinare le paure del protagonista, unico punto di vista del film, a quelle dello spettatore; e dall'altro astratta rappresentazione della mente di un uomo incontestabilmente felice eppure confuso, smarrito. Le immagini dei fratelli D'Innocenzo contestano proprio lo status di calma apparente dell'uomo all'interno di una villa, struttura posta in un limes di senso lontana da Latina, città nominata ma di fatto traccia geografica evocata soltanto dalla voce di un telegiornale. Un'america appunto.
Comincia da questo allontanamento spaziale il lavoro di lima della scrittura di "America Latina" che, al contrario dell'esuberante "Favolacce", si mette a sottrarre per lasciare soltanto il necessario a far emergere conflitti e contraddizioni.
La prima contraddizione è quella in incipit tra le strade vuote composte da strutture abbandonate e la svettante villa di Massimo al centro di ruderi e paludi. La seconda riguarda due modi di abitare, appunto, nella differenza tra ciò che sta sopra e ciò che sta sotto la casa, rispettivamente una ridente famiglia e una bambina trattenuta in maniera atroce. Il terzo è un conflitto: padre e figlio si detestano, ma quest'ultimo si adopera per essere figura paterna migliore, invero scadendo in quella che sembra una contraddizione.
Trinità familiare
L'incendio mentale si propaga in Massimo e attorno a lui: le scenografie, le luci e i movimenti di macchina rappresentano la dispersione e l'insicurezza, incisioni nel volto di un Elio Germano calvo, alieno e asciutto. "America Latina" inizia a disseminare pezzi di senso, facili da contestualizzare e tutti riferiti alla famiglia. Massimo stesso diviene rappresentazione perversa del nucleo, incarnando in sé tutti i ruoli familiari, indipendentemente dal genere. Oltre a essere figlio e padre, i riferimenti all'acqua (la cantina-grembo da lui riempita di liquido e la piscina con tanto di cordone ombelicale) ne fanno una madre e infine un mostruoso nuovo nato in una sequenza finale che accentua l'afflato gotico di cui tutto il film è pervaso.
L'approccio al genere è radicale e semplicistico: l'intreccio non sorprende e il plot twist è inutile, pleonastico. Questo perché il genere è un pretesto per raccontare la prigionia sensoriale e mentale di Massimo, in itinere, come si diceva, e constatabile sia nelle relazioni morbose con i pochi altri personaggi in scena sia nella claustrofobia delle immagini (primi piani, prospettive alterate, riflessi).
Massimo rimpiazza il vuoto familiare con le attenzioni di moglie e figlie, splendide ninfe evidentemente riprese da "La notte brava del soldato Jonathan", e lascia l'altro sé stesso nella fredda cantina quando veste la bambina con i suoi stessi abiti. Poterla proteggere e infine accudirla lo rende salvo, scacciando immediatamente il pensiero di farla sparire in una buca nei campi della provincia.
Quando infine il sopra e il sotto non sono più gestibili, l'equilibrio si incrina, la normalità viene meno e le immagini si fanno terrorizzanti (dal blu si passa al verde e infine al rosso di "Suspiria"): apice di questa indigestione è l'ennesima festa di compleanno rovinata, leit-motiv del cinema dei D'Innocenzo, qui rappresentata come la seduzione di tre streghe.
I fratelli indubbiamente ripropongono i personali temi familiari, sociali ed emotivi del loro cinema, rimpiazzando la realtà favolistica di "Favolacce" con l'incubo psicotico di "America Latina", concretizzato dal montaggio millimetrico di Walter Fasano e dalle melodie dei Verdena, i quali hanno per l'occasione prodotto un nuovo disco dopo ben sette anni dal doppio "Endkadenz", attraverso un processo di semplificazione del genere, sedando come sempre l'eccesso (si ricordi il campo lunghissimo per inscenare la sparatoria di "La terra dell'abbastanza", ad esempio).
Il cinema di Damiano e Fabio D'Innocenzo si fa irricevibile e inaccettabile proprio per un progressivo acutizzarsi di bulimia di immagine e scrittura, un insieme indistinto di elementi che non spiegano perché i rapporti diventino marci ma li assume come tali, scandagliando le cose acce, brutte, favolizzandole e sovvertendone qualsiasi regola possa favorirne l'interiorizzazione. Il risultato è sfrontato e ripaga la visione.
cast:
Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federico Pala, Filippo Dini, Massimo Wertmüller
regia:
Fabio DInnocenzo, Damiano DInnocenzo
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
90'
produzione:
The Apartment, Vision Distribution, Le Pacte
sceneggiatura:
Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
fotografia:
Paolo Carnera
scenografie:
Roberto De Angelis
montaggio:
Walter Fasano
costumi:
Massimo Cantini Parrini
musiche:
Verdena