"Ai margini, nelle periferie, se fallisce la scuola,
si aprono direttamente le porte del carcere"[1]
(Leonardo Di Costanzo)
Dopo un passato come documentarista, fra cui si segnala il magnifico "Cadenze d'inganno" del 2011, Leonardo Di Costanzo trasla la sua produzione filmica verso la finzione a partire dal 2012 con "L'intervallo", seguito da "L'intrusa" nel 2017 e, infine, da quest'ultimo lungometraggio. L'intera filmografia del regista si caratterizza per una forte compattezza formale e tematica, che è possibile cogliere a partire da alcune sue affermazioni presenti nell'intervista rilasciata a Dario Zonta, in particolare quando sostiene che "definire lo spazio del dramma, dell'azione è molto importante perché ogni tipo di problema, ogni tipo di questione ha un nucleo, un centro, dove ti metti e ricevi molte delle informazioni; da quel luogo è facile mettere in moto il fuori campo e farlo funzionare. Se ci si mette al centro, il fuori campo entra, viene evocato" [2].
Il reale, dunque, sia che venga colto nel suo manifestarsi in senso documentaristico, sia che venga ricostruito tramite una sceneggiatura finzionale, si pone come una problematica spaziale, rendendo quello di Di Costanzo un vero e proprio sguardo geografico. L'ufficio del sindaco in "Prove di Stato" (1998), l'edificio scolastico in "A scuola" (2003), il palazzo abbandonato de "L'intervallo", il cortile del centro "La Masseria" ne "L'intrusa" e, infine, il carcere di "Ariaferma" (2021) testimoniano come il regista scelga di ambientare le vicende raccontate in uno spazio definito e limitato ma, al contempo, animato da individui appartenenti a istanze sociali complementari e divergenti, che in quel medesimo spazio si trovano a confliggere. Queste ultime sono sia contrapposte che unificate perché traggono la propria origine dallo stesso humus sociale e dalla contrapposizione reciproca: studenti e insegnanti in "A scuola", il ragazzo venditore di granite e la coetanea parente di mafiosi in "L'intervallo", il sindaco e le varie parti sociali in "Prove di Stato", la moglie del camorrista e la donna che, con "La Masseria", tenta di strappare i bambini del quartiere al degrado in cui sono costretti a vivere in "L'intrusa", le guardie e i carcerati in "Ariaferma": il fuoricampo evocato di cui parla Di Costanzo è costituito proprio da questi personaggi appartenenti a (e simboleggianti) istanze sociali opposte e quindi in aperto conflitto ma, al contempo, legati a doppio filo fra loro.
Nell'ultimo lungometraggio tale comune appartenenza viene esibita dalla messa in scena: il regista sceglie di raccontare le interazioni fra detenuti e polizia servendosi inizialmente di campi e controcampi, al fine di sottolineare la divisione dei due gruppi, relegando ognuno di essi in inquadrature separate ma, allo stesso tempo, comunicanti; in seguito, soprattutto nella parte terminale del film, Di Costanzo predilige i totali, in modo da comprendere nella stessa immagine le due parti sociali al fine di suggerirne l'avvicinamento, determinato dalla consapevolezza di condividere la medesima sorte. Questi totali abbondano tanto nella scena dedicata alla cena situata nella sala centrale del carcere, in cui i detenuti e le guardie mangiano fianco a fianco, quanto in quelle ambientate nella cucina e dedicate alla preparazione dei pasti effettuata da Carmine Lagioia (Silvio Orlando) mentre viene sorvegliato da Gaetano Gargiulo (Toni Servillo). È il dialogo in una di queste ultime a testimoniare la contemporanea vicinanza e conflittualità delle due parti sociali: Carmine, infatti, confessa a Gaetano di condividere la medesima origine popolare e di averlo conosciuto durante la giovinezza ("Mi sono sempre vergognato di dire a mio fratello che una delle guardie era il figlio di Oreste il lattaio", cioè Gaetano).
Dunque il regista opera isolando uno spazio (nelle sue parole, il centro) scelto perché in grado di evocare il milieu sociale in cui si colloca (il fuoricampo), confinando il proprio sguardo in un punto strategico (in termini geografici un hub, un nodo) in grado di intercettare le dinamiche sociali soggiacenti (i flussi) che in questo si incontrano e si manifestano al fine di suscitarle e di portale a emergere. Tale circoscrizione in realtà è duplice, dato che riguarda tanto lo spazio quanto il tempo: Di Costanzo filma, infatti, delle interazioni geograficamente delimitate ma anche isolate da un punto di vista temporale. Le vicende dei suoi film raccontano sempre di personaggi in attesa che accada qualcosa: che termini la prigionia della ragazza "L'intervallo", che la protagonista prenda una decisione definitiva circa la sua ospite in "L'intrusa", che il trasferimento dei detenuti venga completato in "Ariaferma".
Tanto lo spazio quanto il tempo sono sospesi e delimitati per permettere alle relazioni umane di manifestarsi e di portare all'emersione le parti sociali di cui si fanno portatori. Questa preferenza per spazi e tempi isolati raggiunge il culmine in "Ariaferma", essendo ambientato in un carcere strutturato come il "panopticon" descritto da Michel Foucault, ovvero da una stanza circolare centrale intorno alla quale sono poste le celle dei detenuti.
Non solo: questo film si caratterizza per la presenza di più aree concentriche, che si fanno man mano più piccole e vengono via via abitate da sempre meno personaggi, i quali, di conseguenza, tendono ad assurgere al ruolo di simboli delle istanze sociali di cui si fanno depositari. Il primo luogo è il carcere, a cui sono dedicate numerose inquadrature in campo lungo e lunghissimo che si soffermano sulle macerie di cui è composto; il secondo è la stanza circolare, dove i reclusi e le guardie in attesa di trasferimento si scrutano e si studiano a vicenda; il terzo, infine, è costituito dalla cucina, popolata unicamente dai due attori protagonisti del film, rappresentanti le due polarità sociali che abitano nell'edificio: Carmine, detenuto che si pone come leader degli altri carcerati, e Gaetano, ispettore capo delle altre guardie.
All'interno di questi spazi e tempi circoscritti, Di Costanzo inscena delle vicende minimali che scaturiscono sempre da una cesura narrativa, cioè da un fatto eclatante che si pone all'inizio dei vari lungometraggi: il confinamento della ragazza in "L'intervallo", la cattura del camorrista in "L'intrusa" e l'ordine di restare nel carcere dismesso in "Ariaferma". La parte restante dei film è dunque dedicata a eventi privi di spessore e importanza in se stessi ma colmi di significato perché permettono alla macchina da presa di concentrarsi sui personaggi (quindi sulle istanze sociali che rappresentano) e sulle relazioni fra loro. Si tratta così di un cinema osservativo, focalizzato maggiormente sui gesti, sulle espressioni facciali e sui silenzi dei protagonisti, e fondato su una narrazione levigata da un processo di erosione e di semplificazione, colma di numerosi micro-eventi, come la protesta dei detenuti relativa al cibo e l'interruzione della corrente elettrica, oltre che da storie solo abbozzate, come la progressiva follia di un carcerato di cui poi viene accennata la colpa commessa, avente a che fare con lo stupro di minorenni.
Con "Ariaferma" continua il progressivo distacco di Di Costanzo dal "cinema del reale", iniziato nel 2012 con il suo primo film finzionale e proseguito fino a utilizzare attori professionisti in quest'ultimo lungometraggio. Tuttavia, la poetica del regista non si è mai discostata da un nocciolo duro che costituisce il fil rouge della sua intera filmografia, caratterizzato dalla delimitazione spaziale e dall'isolamento temporale al fine di mostrare il rapporto di scontro e incontro di parti sociali contrapposte e simboleggiate da pochi protagonisti.
[1] D. Zonta, L'invenzione del reale. Conversazioni su un altro cinema, Contrasto, Roma, 2017, p. 166.
[2] Ivi, p. 168.
cast:
Toni Servillo, Silvio Orlando, Roberto De Francesco, Salvatore Striano, Fabrizio Ferracane
regia:
Leonardo Di Costanzo
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
117'
produzione:
Tempesta, Rai Cinema
sceneggiatura:
Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella
fotografia:
Luca Bigazzi
montaggio:
Carlotta Cristiani
costumi:
Florence Emir
Il trasferimento dei detenuti da un carcere in dismissione viene bloccato da problematiche burocratiche. Per questo motivo, cinque agenti e dodici detenuti sono costretti a rimanere nella prigione in attesa di nuovi ordini.