Per misurare la forza del cinema di Leonardo Di Costanzo basterebbe apprezzare il contrasto tra il minimalismo della sua messinscena e la capacità delle immagini di evocare interi mondi. Tra i molti esempi che potremmo fare il film del regista campano c'è ne offre in particolare uno che appare più adatto di altri a spiegare ciò che intendiamo; ci riferiamo per l'appunto a tutte quelle sequenze (e non sono poche) che volgendo al termine si ritrovano a scrutare la città dormiente, con la ragnatela di palazzi che ergendosi come un muro davanti alla vista della protagonista gli preclude la visione di un possibile orizzonte. Detto che qui come altrove la mdp di Di Costanzo ci offre una versione della metropoli partenopea diversa da quella che siamo abituati a conoscere, immersa com'è in un sole senza colore e priva delle pantomime folcloristiche che da sempre ne alimentano l'immaginario popolare, le scene in questione perdono la loro funzione meramente topografica (succedeva la stessa cosa ne "L'intervallo") per diventare il modo con cui il regista - attraverso il personaggio di Giovanna - si interroga sulla problematicità della "sua" città. Ambientato all'interno delle mura che circoscrivono il centro educativo dove Giovanna e gli altri volontari si prendono cura dei bambini delle famiglie più svantaggiate, "L'intrusa" è un film senza via di scampo non solo perché costretto a fare i conti con l'irredimibile fragilità del suo tessuto umano - messo a dura prova dalla sgradita presenza di Maria, la moglie di un pluriomicida e dei suoi due figlioletti - ma per la scelta del regista di occuparsi esclusivamente della conseguenze di questa condizione, lasciando fuori campo le cause che l'hanno prodotta mediante un montaggio che taglia qualsiasi elemento di raccordo visivo tra lo spazio indagato (il centro di accoglienza) e ciò che ne rimane fuori. Una discontinuità a cui fanno eccezione le sequenze di cui parlavamo in apertura, deputate per questo a diventare un vero e proprio collettore di questioni irrisolte e implose, destinate a rimanere tali per un'indifferenza generale che la natura "morta", rappresentata dal magma architettonico su cui drammaticamente si sofferma la telecamera di Di Costanzo ben sintetizza.
Ma "L'intrusa" è anche un film di mediazioni che riguardano tanto il narrato che la sua realizzazione. Evidenti quelle relative alla storia che attraverso il personaggio di Giovanna cerca i motivi che possano rendere accettabile agli altri la presenza di Maria, lo sono un po' meno quelle presenti nel dispositivo cinematografico messo a punto da Di Costanzo per la sua opera seconda. Documentarista tra i più importanti della nostra scuola, il passaggio al racconto di finzione è stato paradossalmente il modo con cui Di Costanzo ha salvaguardato l'indipendenza del suo cinema, permettendogli quell'imprevedibilità che ne è sempre stata la costante. Se l'esigenza di verità è rimasta la medesima, a cambiare è stato il percorso che ha consentito di raggiungere questo obiettivo. Ancora una volta è l'analisi del girato a mostrarci le scelte del regista. Dopo una breve introduzione infatti la storia si sviluppa utilizzando un incipit visibilmente artificiale nella sua costruzione. La scena, seppur senza la spettacolarità di altri contesti, è segnata dall'improvvisa irruzione della polizia nell'istituto e dalla successiva cattura del killer di fronte allo sguardo esterrefatto di Giovanna e dei suoi colleghi. Di Costanzo inizialmente forza la realtà, la manipola fino a che è possibile per portarla nella sua direzione (poiché prima di quell'evento nessuno sapeva che Maria fosse la moglie del pluriomicida) ma da lì in avanti procede in senso inverso, smantellandola, passo dopo passo, dalle sovrastrutture che le aveva imposto. Per capire come ci riesca ci si potrebbe aiutare rifacendosi alla leggerezza dello strumento cinematografico (macchina a spalla, luci essenziali, libertà di movimento all'interno dell'inquadratura, attori non professionisti etc) ma ciò che davvero fa la differenza sono i momenti dedicati ai riti collettivi, quelli in cui la spontaneità di adulti e bambini si fonde a meraviglia con la fenomenologia del lavoro quotidiano e delle attività (ludiche e non) organizzate dai volontari per animare i pomeriggi dei loro ospiti. Un coagulo di anarchia controllata di cui Di Costanzo si serve per dare forza - drammaturgia - e credibilità narrativa ai contenuti di una marginalità economica, sociale, culturale (dei frequentatori del centro, dell'intrusa e dei suoi figli come pure dei volontari, lasciati da soli di fronte alle loro responsabilità) che ha il solo risultato di dividere gli umiliati e gli oppressi, di mettere le vittime una contro l'altra. Senza dimenticarsi della consistenza dei personaggi, a cui Di Costanzo riesce a donare una centralità tanto più potente quanto minore è la retorica che ne manifesta la loro presenza. Prova ne sia la performance di Raffaella Giordano (ballerina e coreografa, qui alla prima prova d'attrice) a cui bastano poche battute per impossessarsi del corpo dolente ma battagliero di Giovanna. Un capolavoro interpretativo che la candida alla vittoria di categoria nei David di Donatello della prossima stagione.
cast:
Valentina Vannino, Gianni Vastarella, Anna Patierno, Raffaella Giordano
regia:
Leonardo Di Costanzo
distribuzione:
Cinema
durata:
95'
produzione:
tempesta, Amka Films Productions, Capricci Films, Rai Cinema
sceneggiatura:
Leonardo Di Costanzo, Maurizio Braucci, Bruno Oliviero
fotografia:
Hélène Louvart
scenografie:
Luca Servino
montaggio:
Carlotta Cristiani
costumi:
Loredana Buscemi
musiche:
Marco Cappelli, Adam Rudolph