I fratelli D'Innocenzo tornano alla Berlinale presentando una torsione creativa probabilmente inattesa. Nel 2018 il loro "La terra dell’abbastanza", nella sezione Panorama, aveva fatto parlare molto di sé, soprattutto per la forte aderenza, arricchita da personalissimi inserti, a quel romanzo criminale di periferia che ha conosciuto in Italia una florida stagione. "Favolacce", presentato stavolta in concorso, si allontana dalle tinte noir di genere, avviluppando una pellicola corale di stampo autoriale, nonostante la scrittura dei D'Innocenzo confermi anche i toni, a tratti sguaiati, dell'esordio.
Agosto. Siamo a Spinaceto, sobborgo di Roma. Un gruppo di famiglie si prepara ad affrontare la calura estiva, improvvisando cene nelle verande delle villette, scalcinati mercatini dell'usato e rinfrescandosi con piscine gonfiabili montate in giardino. Gli uomini, come Bruno (Elio Germano) e Pietro (Max Malatesta), appaiono collerici e istintivi, oppure sono crogiolo di frustrazioni come il professor Bernardini (Lino Musella); le donne, come Dalila (Barbara Chichiarelli), la moglie di Bruno, restano sullo sfondo, sembrano ignoranti e annoiate. Lo squallore dei loro dialoghi e delle situazioni imperversa monocorde su queste vite. Gli unici che sembrano possedere un mondo interiore sono i ragazzini, come Dennis e Giulietta, i figli apparentemente perfetti di Bruno e Dalila; Ada, che nonostante l'età si mostra già disponibile; Viola, che ha difficoltà a stabilire rapporti con gli altri, e Geremia, l'unico che vive in un prefabbricato in campagna, considerato il più asociale e strambo di tutti.
La sceneggiatura, che si è aggiudicata l'Orso d'argento, procede sghemba, per fantasmagorie, salti temporali; il mondo di questi preadolescenti resta perlopiù inconoscibile, gli episodi sono momenti che assomigliano ad allucinazioni luminose in mezzo a crude vampe di realismo. L'espediente narrativo in cui i fratelli D'Innocenzo incastonano le loro "Favolacce" sono le pagine di un diario scritto a penna verde, perciò poco importante, lasciato a metà e ritrovato nella spazzatura da un misterioso narratore, che decide di completarlo con altre storie. Che poi si rivela essere una storia a sé, "una storia vera basata su una bugia", cioè il semplice e terribile piano dei ragazzini per mandare a monte una vita, un mondo intero, quello dei genitori, che però è anche il loro, in cui non si riconoscono e di cui non vogliono fare parte.
I registi hanno dichiarato che il film era in nuce da anni, una storia riferibile alla loro infanzia; era questa la sceneggiatura che avrebbero desiderato girare, e dunque l'incursione noir nella periferia romana dell'esordio era solo un episodio occasionale. Qui, infatti, viene calibrato un discorso autoriale che aspira a farsi universale, non necessariamente legato ai sobborghi della capitale. Difatti, in "Favolacce" il racconto corale, la presentazione magnetica degli episodi, lo stile rarefatto di regia, le facce fuori fuoco, l'acqua e la luce che sfondano il campo visivo fanno pensare alla volontà dei fratelli D'Innocenzo di internazionalizzare il loro cinema; eppure, c'è la riproposizione di alcuni elementi che avevano fatto la fortuna di "La terra dell'abbastanza", come i riferimenti continui al cibo e i volti in primissimo piano, le deformazioni grottesche.
Una ricerca estetica che accompagna il tono assurdo delle situazioni, i dialoghi senza filtri che sbattono i mostri sullo schermo. I protagonisti adulti sono davvero "brutti", cioè imbruttiti dalla vita che si sono costretti a vivere, ma in qualche modo la spinta a non essere peggio degli altri impone di andare avanti, nonostante la palese infelicità, che però deve restare fuori campo. Diversamente, i ragazzi sono imperscrutabili, fondono nei loro sguardi l'osservazione imbambolata di una vita che non avverrà mai, col nichilismo del rifiuto totale. L'unico personaggio che sembra muoversi di vita propria, senza fili da marionetta, di queste "Favolacce" è Amelio (è piaciuta molto l'interpretazione di Gabriel Montesi), il verace e rozzo padre di Geremia, che nonostante non abbia capito nulla di suo figlio, a cui continua a ripetere "Tu sei come me!", con una risata sguaiatissima sembra andare incontro alla vita, qualunque essa sia, senza reticenze.
È una pellicola probabilmente accentratrice anche delle attività collaterali che i fratelli D'Innocenzo hanno intrapreso da tempo, come l'incursione nella poesia o l'attenzione dedicata alla moda e alla ricerca fotografica. I due registi hanno dichiarato che sarebbe stato molto semplice girare un "La terra dell’abbastanza 2", ma si sarebbero annoiati presto. Forse c'è anche la volontà di smarcarsi da un'etichetta e da una affollata selva di produzioni crime in cui è difficile dire qualcosa di nuovo. Tuttavia il tono accorato, quasi autobiografico, non asciuga le distanze insite di questa pellicola; c'è a tratti una difficoltà a legare l'intenzione col racconto, la sensazione che questo rimanga nella testa di chi l'ha immaginato, senza riuscire a essere pienamente detto, svelato. Manca, insomma, una certa solidità concettuale che permetta di legare le intenzioni coi risultati. La costruzione filmica, pur apprezzabile, è parsa a tratti senza spessore, così come la roboante messa in scena. Eppure, "Favolacce" non sembra il tentativo di prendere un'altra direzione: il cinema dei fratelli D'Innocenzo, al momento, è questo.
cast:
Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta
regia:
Damiano DInnocenzo, Fabio DInnocenzo
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
98'
produzione:
Pepito Produzioni, Rai Cinema, Vision Distribution, Amka Films Productions, RSI
sceneggiatura:
Damiano DInnocenzo, Fabio DInnocenzo
fotografia:
Paolo Carnera
scenografie:
Paola Peraro, Emita Frigato, Paolo Bonfini
montaggio:
Esmeralda Calabria
costumi:
Massimo Cantini Parrini