suspiria guadagnino
Se prima vi poteva essere qualche perplessità, dopo il trascinante successo di "
Chiamami col tuo nome", Luca Guadagnino è da ascrivere ai nomi di punta del cinema italiano, al fianco degli ormai canonizzati
Matteo Garrone e Paolo Sorrentino. D'obbligo, dunque, attendere con curiosità la nuova fatica del regista palermitano, amplificata dal fatto che il suo sesto lungometraggio di finzione è il remake di "Suspiria", indiscusso capolavoro di
Dario Argento. Considerati i precedenti autoriali, è strano vederlo volersi confrontare con il genere horror, conclamando la sua totale devozione all'opera argentiana: sia "
Io sono l'amore" che "
A Bigger Splash" e "Chiamami col tuo nome" guardano ai
Visconti, ai Bertolucci, agli Ivory, modelli di un cinema colto, levigato e sensuale.
Anche se probabilmente scontenterà puristi e fanatici, il regista ha scelto l'unico modo intelligente e creativo per rifare "Suspiria", ossia sfidarlo: egli aveva anticipato che più che un remake il suo sarebbe stato un omaggio, un tentativo di restituire l'emozione che, da adolescente, lo travolse vedendo per la prima volta il film. Scordiamoci dunque i colori lisergici della fotografia di Luciano Tovoli e le
musiche magiche e martellanti dei
Goblin, poiché al netto di qualche prelievo e di alcuni movimenti di macchina (carrellate laterali, grandangoli, zoom), Guadagnino lavora assecondando un'altra prospettiva e andando in un'altra direzione, lasciando dell'originale solo la sinossi, lo scheletro, la mitologia stregonesca. Dando per scontato che tutti sappiano il mistero che si cela dietro la scuola di danza, la sceneggiatura si libera immediatamente, nel prologo, del fardello della
detection, giocando di lì in poi a carte scoperte.
Guadagnino, coadiuvato dal direttore della fotografia Sayombhu Mukdeeprom, desatura i colori fino a essiccarli in una pasta di grigio realismo - almeno inizialmente - che sagoma l'atmosfera plumbea e piovosa della Berlino del 1977. Andando oltre la tradizione italiana del genere, si rinvengono tracce di Fassbinder (nel delineare le dinamiche interne al gineceo), del
Refn di "
The Neon Demon" e risulta abbastanza evidente l'ombra dello Zulawski di "
Possession". Come il capo d'opera dell'autore polacco, anche "Suspiria" è ambientato nella Berlino divisa ed esattamente come l'appartamento segreto di Anna, anche la sede della Marcos Tanz Company è affacciata sul muro che taglia in due la città. Così, lo spazio metastorico di Friburgo, luogo assimilabile al castello della strega di "
Biancaneve e i sette nani", diverge dalla Berlino di Guadagnino che riflette in "Suspiria" (come faceva Zulawski) le tensioni storico-politiche di quel tempo: è l'autunno caldo del 1977, le cui notizie, dal sequestro di Hanns-Martin Schleyer operato dalla RAF al dirottamento di un aereo della Lufthansa, fino alla "notte della morte a Stammheim", contrappuntano costantemente la narrazione. A commentare tale realtà ambigua e sconnessa interviene la
partitura di
Thom Yorke che trova un equilibrio tra romanticismo e angoscia, senza mai diventare invasiva e innestandosi perfettamente nel tessuto visivo orchestrato dal regista.
La Susie Bannion di Dakota Johnson è una variazione sulla Susy Brenner di Jessica Harper: entrambe americane ma, al contrario della prima proveniente da un'illustre famiglia di New York, la protagonista del presente film è figlia di una umile famiglia Amish dell'Ohio (forse ripudiata, forse fuggita). La sua ammissione avviene dopo una breve audizione che stupisce le insegnanti, in particolar modo la vicedirettrice Madame Blanc, interpretata da una Tilda Swinton che modella il proprio ruolo su Pina Bausch.
Susie è un talento naturale che incanta e conquista tutti, diventando in breve tempo la protagonista dello spettacolo che viene provato da mesi, dopo aver dimostrato di comprendere intuitivamente il significato recondito dei movimenti e delle figure della coreografia. Olga, la danzatrice che dovrebbe avere il ruolo di protagonista, scappa via dopo aver litigato con Madame Blanc (e temendo per ciò che sta accadendo in seno alla scuola); così Susie, in assenza di concorrenza, si candida per sostituirla. Seguendo dapprima le direttive della sua maestra per poi prendere confidenza coi movimenti e gli slanci del corpo, Susie espleta inconsciamente un rituale di possessione ai danni della ex-compagna che viene colpita a distanza; il montaggio di Walter Fasano, che incornicia brillantemente ogni figura tra due rapidi cut mostranti le ripercussioni sulla vittima, lavora sulla combinazione tra potenza del corpo e violenza del movimento di macchina così da realizzare una delle sequenze più potenti di "Suspiria". La danza non è ridotto a espediente narrativo che fa da sfondo alla vicenda ma assume un ruolo centrale, riportando tale arte alla sua natura magica e rituale, sprigionando quello spirito dionisiaco che permea il lavoro di Guadagnino. Il balletto "Volk", storico caposaldo della scuola, ha l'energia della danza contemporanea ed esprime qualcosa che ha a che fare con la forza, la rabbia, la sessualità avversando concetti classici quali armonia e bellezza (ed è la lezione che essenzialmente impartisce la Blanc alle sue allieve).
Benché permeato da un velo di mistero, il plot riguardante Susie assume una traiettoria per certi versi lineare, concretizzandosi in una ulteriore tappa di quella ricerca sul desiderio che Guadagnino continua ad allestire da "Io sono l'amore". Il desiderio, per la protagonista di "Suspiria", si manifesta come una condizione dell'inconscio non esauribile nella mera dimensione corporale e, interagendo con altri soggetti desideranti (come ad esempio Madame Blanc), parte alla scoperta dei poteri più profondi del proprio io. Ma la dislocazione dei punti di vista interviene per moltiplicare le possibilità ermeneutiche dell'opera: in questa pellicola dalla durata considerevole (152'), probabilmente eccessiva, non vi è spazio solo per la storia di Susie, delle sue compagne e della congrega di streghe. A dire il vero, in alcuni segmenti esse passano in secondo piano rispetto alla linea di trama che coinvolge l'anziano dottor Klemperer, che conosciamo nel prologo, quando il personaggio di Patricia (Chloë Grace Moretz) irrompe nella sua dimora-studio in preda a uno stato paranoide-schizofrenico. Lo psicoterapeuta pazientemente l'ascolta straparlare di streghe e di sortilegi e lo stesso uomo indagherà sulla sorte della fragile ragazza, dopo la sua scomparsa. Tra i subplot che affluiscono nella narrazione principale del film, quello che riguarda il vecchio medico, che si muove lentamente e ci sente poco è la più robusta e importante: un protagonista obliquo ed enigmatico che attraversa interamente il racconto, portando con sé l'intrinseco significato dell'operazione di Guadagnino
[1]. Rileggendo "Suspiria" attraverso la lente psicanalitica potremmo ravvisare nella storia di Susie e delle streghe della Marcos Tanz Company una proiezione di Klemperer che, dopo aver introiettato le paranoie di Patricia, escogita inconsciamente un modo per espiare i sensi di colpa dovuti al mancato ritrovamento della moglie Anke, data per dispersa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Interpretazione che non esclude (ma, volendo, interseca) la maturazione del potere di Susie che cresce confrontandosi con le tre istanze intrapsichiche interpretate da Tilda Swinton, ossia Madame Blanc/Super-Io, Helena Markos/Es, dott. Klemperer/Io fino alla costruzione di un nuovo equilibrio nel finale.
Alla situazione politica della Germania del 1977 si riallacciano i fili che riportano da una parte alla crisi interna alla congrega, corpo estraneo e dissidente rispetto alla società, dall'altra alla memoria della guerra e del nazismo, in una visione della Storia in cui il sangue e l'orrore può essere purgato e mondato solo dalle donne-streghe nell'estasi di un sabba. L'essenza dell'eterno femminino, quel potere creativo e distruttivo che Goethe descrive nel suo "Faust", esplode negli ultimi spudorati venti minuti, che affogano il film in un delirio fulciano. È il ribaltamento di prospettiva a poter sorprendere o deludere, sovvertendo la logica narrativa in virtù dell'energia visionaria. L'immagine che supera la storia, purificando ed emendando le cicatrici ancora sanguinanti della memoria. Sghembo, ipertrofico e con alcune vette di
kitsch (anche questo un omaggio ai maestri Argento e Fulci?), Guadagnino non riesce a riassumere ogni sua intuizione intellettuale in una ispirata e coerente architettura di segni cinematografici, eppure il suo "Suspiria" non lascia indifferenti.
[1] A proposito di significati nascosti, l'attore che interpreta l'anziano dottore è accreditato col nome di Lutz Ebersdorf, uno psicanalista in pensione che Guadagnino avrebbe conosciuto nel 2016 per dare concretezza e realismo al personaggio. Assente al Lido, ha inviato una lettera di cui ha dato lettura Tilda Swinton. Ebbene, pare ormai acclarato che dietro il volto (e il pesante make-up?) di Klemperer ci sarebbe proprio la Swinton e lo stesso Barbera, presentando "Suspiria" nel concorso di Venezia 75, aveva detto che avremmo visto l'attrice britannica in diversi ruoli. Se quest'ipotesi fosse suffragata - ma sia la Swinton che Guadagnino hanno negato recisamente in conferenza stampa - ciò significherebbe che dietro l'unico personaggio maschile di rilievo e vagamente positivo emergerebbe comunque una donna.
14/09/2018