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recensione di Giuseppe Gangi
9.0/10

Si imparerà a poco a poco a riconoscere che quello che noi chiamiamo destino esce dagli uomini, non entra in essi dal di fuori. Solo perché tanti non assorbirono e trasformarono in sé stessi i loro destini - finché vivevano in loro - non riuscirono a riconoscere che cosa usciva da essi. Era a loro così estraneo, quel destino, che essi credettero, nel loro terrore smarrito, che dovesse appunto da un momento all'altro essere entrato in loro. E giuravano di non avere ritrovato mai in sé prima cosa simile.
Come a lungo ci si è ingannati sul movimento del sole, così ci si inganna ancora sempre sul movimento dell'avvenire.
Il futuro sta fermo, caro signor Kappus, ma noi ci muoviamo nello spazio infinito.
R. M. Rilke 1 


Bertrand Bonello è un regista da sempre poco considerato dalla distribuzione italiana - e la distribuzione tardiva di "The Beast" (La Bête, 2023) è, da un lato, emblematica, dall'altro un risultato migliore di tanti precedenti - mentre è amato da una cerchia di cinephile e da una parte della critica che nel corso degli anni ne stanno accrescendo il culto. Esteta, cinefilo e provocatore, Bonello è un regista che ha sempre sfidato sé stesso e le forme del proprio stile e, con questo suo decimo lungometraggio, riesce a camminare sul filo teso tra derivazione e originalità, come aveva sinora fatto  - a queste altezze - nell'eccentrico biopic "Saint Laurent" (2014), opera di manierismo sublime. "The Beast" dialoga apertamente con un filone di ripensamento delle forme del cinema del XXI secolo: al pari di autori quali David Lynch, Apichatpong Weerasethakul e Leos Carax, anche Bonello adopera un linguaggio idiosincratico per allestire uno spazio di segni e sintomi che reifica le angosce della condizione umana della contemporaneità. Con la profondità dei grandi film, "The Beast" è sia una riflessione sull'umano, sia sul linguaggio.

La bestia nella giungla

Nella novella di Henry James, "La bestia nella giungla" (1903), John Marcher e May Bartram si conoscono a una festa, ricordando un loro primo incontro avvenuto dieci anni prima a Napoli. May chiede a John se il presentimento di un evento catastrofico da cui era soverchiato avesse avuto piena realizzazione ma l'uomo, che non pensava di averne parlato ad anima viva, dice che sente ancora di essere predestinato a qualcosa di terribile. May si offre gentilmente di accompagnarlo in questa veglia che coprirà molti anni. Senza addentrarci nei cunicoli della scrittura del grande autore americano, è da evidenziare come Bonello abbia lavorato a una traduzione intersemiotica che tradisce il materiale originale, mantenendo nitido l'eco dell'opera di James. Stravolgendo un racconto i cui fatti sono poco più di un paio, Bonello moltiplica i motivi della partitura narrativa in tre set temporali (1910, 2014, 2044) in cui l'ambientazione più prossima alla sci-fi funge (apparentemente) da cornice per le altre due. Conserva però intatto il nocciolo del racconto di James che consiste nella paura d'amare, nel terrore di lasciarsi andare a un sentimento assoluto tanto da autolimitare la propria esistenza, narcotizzarla in un'attesa indefinita, tale da ricordare quella di Giovanni Drogo in "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati.

L'incipit di "La Bête", come spesso capita nel cinema di Bonello, non serve però a orientare la visione in senso logico o causale ma a spaesare. Le prime immagini devono essere immediatamente performanti indicando il set emotivo da attraversare e, in tal senso, si può pensare alle rispondenze sensoriali del montaggio di Bonello che guarda alle forme della musica piuttosto che alla linearità narrativa. La protagonista Gabrielle Monnier (che, come si capirà, nel 2014 è un'aspirante attrice) viene inquadrata mentre è su un set con il green screen: lei è l'unico corpo reale a muoversi in un grande oceano verde privo di punti di riferimento. Dalle indicazioni del regista l'attrice deve manifestare la propria paura, difendersi dall'attacco di una bestia che comparirà alle sue spalle. La macchina da presa si muove, il montaggio stacca su un tavolo con sopra il coltello di cui aveva accennato il regista fuori campo, però non appare nulla. Anche la bestia, come ogni elemento del profilmico, verrà aggiunta in post-produzione. Il raccordo sull'espressione di terrore della protagonista è però reale così come il suo urlo che sembra provocare il glitch che sfibra l'immagine in strisce colorate di pixel su cui appare il titolo. 

La sequenza successiva, ambientata nel 1910, si apre su un fluido movimento di macchina che precede Gabrielle mentre vaga tra i saloni di un palazzo dove si tiene una festa. È la Belle Époque dei melodrammi di Max Ophüls nella linea temporale che approssima maggiormente la novella di Henry James e riprende un immaginario già esplorato da Bonello, con toni e timbri differenti, nel bellissimo "L'Apollonide" (2011). In ogni ambientazione la protagonista è destinata a incontrare un uomo, Louis (George McKay, che ha sostituito il compianto Gaspard Ulliel), di cui è forse innamorata e da cui è forse ricambiata: nel tremore d'amore si gioca la partita esistenziale della protagonista in ciascuna delle dimensioni temporali. Gabrielle, appena incontrato Louis, scopre di averlo conosciuto sei anni prima in Italia. O meglio: lui lo ricorda, lei no. Cosa si sono detti, quella volta a Napoli, dopo la "Madame Butterfly" di Puccini? Il segreto che tormenta l'esistenza di Gabrielle è l'attesa di una belva nascosta pronta a sferrare il suo ferale attacco. Sicuramente influenzato da Alain Robbe-Grillet, Bonello riparte dall'incipit di "L'anno scorso a Marienbad" di Alain Resnais che era sceneggiato dal teorico del nouveau roman. L'esperienza di Gabrielle è dislocata nello spazio e nel tempo assecondando un montaggio non lineare delle sequenze narrative in modo da restituire lo spaesamento della protagonista, l'eccitazione per una catastrofe imminente, la tensione via via crescente per la sua realizzazione.

La cornice è calata nel 2044 quando l'intelligenza artificiale ha preso il controllo su una società alla deriva che, avendo sfiorato il collasso, necessita di ordine: la disoccupazione (sopra il 60%) è un problema secondario rispetto alla stabilità. Gabrielle Monnier, che per lavoro controlla la temperatura di alcuni sistemi, decide di sottoporsi alla procedura di purificazione, così da poter aspirare a un impiego di rango più elevato. La donna ne è al momento esclusa perché le sue emozioni possono corromperne la lucidità e invalidarne le scelte. A questo serve la procedura attraverso cui Gabrielle rivive le sue vite precedenti, mondandosi dalle passioni che la rendono ancora troppo umana.
Lo scenario è lo stesso di "Alphaville" di Jean-Luc Godard, sostituendo i computer della generazione precedente ad Hal 9000 a una più contemporanea IA. Nel noir fantascientifico di Godard, Lemmy Caution salva una ragazza (Anna Karina) assopita dalla civiltà delle macchine, dopo aver sabotato il super-computer Alpha 60. Un atto di luddismo e un risveglio della coscienza. In "La Bête" non c'è alcun vistoso atto di ribellione, quella Gabrielle Monnier è una resistenza alla normalizzazione e al conformismo, una naturale inclinazione a essere fedele a sé stessa e ai propri sentimenti. 

L'emancipazione della dissonanza

La scelta del 1910 non è casuale: l'antropologo Thomas Harrison nel suo saggio "1910. L'emancipazione della dissonanza" indica il 1910 come un anno-ponte, prefigurazione spirituale della tragedia della Grande Guerra. Harrison illustra la portata dell'opera di alcuni giovani che con audacia hanno intuito il destino che si stava abbattendo sull'Europa e sul mondo, quasi sempre collocati nell'alveo dell'espressionismo: per lo studioso è determinante l'esperienza intellettuale e personale di Carlo Michelstaedter, che nel 1910 si suiciderà, ma analizza il pensiero e la produzione artistica di Scipio Slataper, Giovanni Boine Georg Trakl, Egon Schiele e Arnold Schönberg. Gli ultimi due vengono esplicitamente citati in "La Bête": nella sequenza della festa, Gabrielle e Louis si incontrano davanti alla piccola collezione di dipinti di un giovane pittore che sono chiaramente ispirati allo stile di Schiele; in seguito, la donna, che è una colta pianista, confessa a Louis di stare patendo la difficoltà di una partitura di Schönberg. Il musicista, proprio nel 1910, dipinge "Lo sguardo rosso", in cui un volto fantasmatico con occhiaie spesse di un rosso brillante fissano l'astante, trasmettendo un travaglio individuale che sembra premonitore dell'imminente sciagura collettiva. E nello stesso periodo lavora al "Manuale di armonia" dove teorizza il principio di "emancipare la dissonanza dalla norma della consonanza", andando contro le usuali regole di composizione musicale e prediligendo la frattura, lo strappo, la creazione di uno stridore che tenga in costante allerta l'ascoltatore.

Bonello si muove illudendo che un evento collettivo possa riguardare l'esistenza interiore dei suoi personaggi, come se fosse un'emanazione o un avvertimento: nel 1910 a Parigi avviene effettivamente un disastro, ossia l'alluvione della Senna che sommerge la città, mentre nel 2014 a Los Angeles si avverte un terremoto che porta i protagonisti a conoscersi. Bonello raffigura l'inondazione di Parigi tramite una successione di diapositive d'epoca, in una modalità che rammenta "La Jetée" di Chris Marker, cortometraggio che su una trama fantascientifica racconta la coscienza sprofondare dentro le immagini della memoria. Gabrielle, adagiata in una vasca-utero cronenberghiana per ricordare le sue vite precedenti, rivive il passato, ocularizzandolo come in uno spettacolo cinematografico. Esattamente come il capolavoro di Marker era attraversato dal pensiero agostianiano che invita a non rivolgersi all'esterno, ma a tornare in sé stessi, anche "La Bête" si sviluppa come una ricerca esistenziale di tipo soggettivista, in reazione all'iper-razionalità del mondo delle macchine. Una realtà rarefatta e ingannevole perché ripulita dal fattore umano, dall'errore, dall'emozione: Bonello esplora i circuiti cerebrali della sua protagonista, analizzandone la tempra e la tenuta emotiva nelle diverse incarnazioni. E, in tal senso, le tre ripartizioni narrative sono variazioni su schemi attraverso cui osservare timori ed eccitazioni di quello stato fluido e in divenire che è l'innamoramento.

La forma di "La Bête" si articola tramite la differenza e la ripetizione di immagini e battute che riecheggiano di epoca in epoca, acuendo una sensazione di disagio, la dissonanza che la protagonista percepisce. Il tessuto narrativo procede per strappi e anticipazioni, tra cui proprio l'incipit che solo col senno di poi trova una collocazione in una delle tre linee temporali, mentre assume centralità l'episodio della seduta con la chiaroveggente che si svolge sia nel 1910, sia nel 2014 perché in entrambe le occasioni la sensitiva intercetta una dimensione temporale divergente che viene visualizzata per mezzo dell'occhio onnisciente e disincarnato della macchina da presa. Interferenze e accavallamenti sono tradotti in un montaggio discontinuo che connette differenti dimensioni perché in ciascuna è presente la stessa paura, lo stesso urlo di Gabrielle.

[Attenzione, seguono spoiler]

Chiudi gli occhi

L'ambizione di Bonello è di realizzare un film-cervello come un thriller sentimentale. Riesce a esprimere non soltanto gli stati psichici ed emotivi della protagonista ma ad attraversare, per mezzo di essi, le epoche e i rispettivi immaginari in segmenti narrativi che accorpano stilemi cinematografici di per sé non contigui. Il melodramma ophulsiano del 1910 è girato in 35mm con una compattezza di stile a tratti persino classica. Il 2014 è una sorta di thriller depalmiano in cui il regista, optando per il digitale, allestisce la sezione più sperimentale, legata a fobie e malesseri attuali e a una trasparenza delle forme che permette allo sguardo demiurgico di penetrare ovunque, anche nelle allucinazioni della protagonista. Gli ambienti della distopia fantascientifica del 2044 sono invece minimali, assimilando scenari post-pandemici nella claustrofobia del formato 4:3; qui le persone usano delle maschere respiratorie per camminare all'esterno e conducono un'esistenza monadica in luoghi asettici, radicalizzazione dell'estetica levigata tipica della contemporaneità. Da questo punto di vista, le tre temporalità rappresentano anche un diradamento del contatto umano: reale nel 1910, temuto (e quindi sognato) nel 2014, perduto (e quindi cercato disperatamente) nel 2044.  

Un esito affascinante in "La Bête" è la stratificazione dei percorsi ermeneutici all'interno di una traiettoria narrativa intelleggibile. Ad esempio, Gabrielle non è l'unico personaggio del film a possodere un arco narrativo in quanto incrocia sempre Louis, al cui destino è legata. Louis costituisce una sorta di controcampo, un film parallelo di cui è possibile vedere alcuni lacerti e le trasformazioni di un ideal-tipo maschile: sognatore romantico nel 1910, incel2 sociopatico (modellato sul pluriomicida Elliot Rodger) nel 2014, infine spaesato in un mondo artificiale esattamente come la donna nel futuro distopico.
L'ambientazione del 2014 è cruciale perché Louis ha una traiettoria di importanza pari a quella di Gabrielle. Quando la macchina da presa lo segue mentre gira i suoi vlog (incorporati dal film) per le strade di Los Angeles (repliche di quelli di Rodger), le musiche (composte dal regista insieme alla figlia Anna) e il sound design forniscono un contributo determinante per innalzare i livelli di tensione: sono brani stridenti e percussivi, suoni acusmatici che s'insinuano nel canale uditivo facendosi largo in quello visivo. Insieme al montaggio parallelo che dilata l'azione ripetendola, le musiche acuiscono la sensazione di presagio che si materializza nella risoluzione di Louis, deciso a vendicarsi del genere femminile per la sua solitudine. La sequenza di home invasion è costruita lavorando sulla moltiplicazione dello sguardo volta a ottenere una visibilità totale: un primo piano è dato dalla macchina da presa che tallona il corpo e il volto di Gabrielle, un secondo dalle inquadrature in campo lungo o lunghissimo che, dall'esterno, riprendono la casa che con le sue larghe vetrate risulta come un luogo permeabile allo sguardo, il terzo dal sistema di videocamere di sorveglianze che segmentano lo spazio abitativo rimodulando anche lo spazio dello schermo mediante gli split screen. Durante l'assalto, Gabrielle si rifugia in una camera al piano di sopra e dice a Louis che aprirà la porta perché sa che lui non le farà alcun male. La sequenza viene intesificata dalla frammentazione di jump cut e split screen, mentre le immagini sono disturbate da glitch, infine il montaggio riavvolge la scena dopo che Gabrielle e Louis si abbracciano. Nella ripetizione c'è un salto logico, poiché all'abbraccio corrisponde per j-cut il suono di uno sparo e, dopo lo stacco, Louis viene inquadrato davanti alla piscina, arma in mano, e il corpo di Gabrielle in acqua. È questa l'immagine che la Gabrielle del 2044 è costretta a guardare come test finale, di fronte alla quale piange, segno della resistenza della propria emotività alla procedura di purificazione. La sequenza s'apre a un'interpretazione ulteriore perché, se il prologo del film è su un set del 2014, di fatto identica per narrazione e movimenti di macchina alla sequenza dell'irruzione di Louis, diviene impossibile distinguere la realtà dalla sua replica digitale: per ribadirlo, Bonello monta in parallelo la scena suddetta con alcune inquadrature di quella girata col green screen. "La Bête" prolunga un discorso critico-filosofico del 900 che più volte negli ultimi anni è stato affrontato dal cinema3, ossia la fine del mondo vero: Gabrielle si muove lungo tre linee temporali come in una performance in cui veste e sveste più volte i panni di sé stessa, in modo non dissimile dal monsieur Oscar di "Holy Motors". L'immagine della propria morte adoperata per instillare un trauma nella protagonista può essere dunque non un evento della sua vita, ma un simulacro dell'intelligenza artificiale che smonta e rimonta le immagini della vita precedente così da ottenere l'esito psico-fisico sperato. Il processo di purificazione utile a rimuovere i traumi che risiedono nell'inconscio (e nel proprio karma) è da una parte una cancellazione dei ricordi à la "Eternal Sunshine of the Spotless Mind", dall'altra, una cura Ludovico alla maniera di "Arancia Meccanica" di Kubrick. L'operazione è una lobotomizzazione sentimentale, volta a controllare gli individui eliminandone gli impulsi emotivi. A Gabrielle viene chiesto più volte di chiudere gli occhi: da questo stato di trance indotta, la donna riapre gli occhi in "un'altra sé" imparando a guardare l'altro. Se l'immagine del mondo è un'illusione, il volto dell'amato può essere l'ultimo baluardo della propria umanità.

Il volto della bambola

A partire dal cortometraggio "Cindy Sherman: The Doll Is Mine" (2005), in cui Asia Argento interpreta la celebre artista e fotografa americana, la bambola entra a far parte dell'immaginario bonelliano, fino ad assumere un ruolo peculiare in "Coma" (2022) in cui le bambole sono protagoniste di una sorta di soap opera, uno dei vari livelli di un'opera propedeutica a "La Bête". Il dualismo tra organico e inorganico è spesso presente in Bonello, sia come detour onirico, come le prostitute mascherate (e dunque senza volto) di "L'apollonide", sia come ossessione per la forma, per le superfici, per il bello nel ritratto del dandy Yves Saint-Laurent. In una sequenza di "Nocturama" (2016) Bonello ipotizza l'interscambiabilità tra i manichini di un grande magazzino e i ragazzi che in un atto di ribellione senza causa hanno partecipato a un attentato terroristico. In "La Bête" la bambola è un nucleo simbolico: nel 1910 il marito di Gabrielle ne è produttore e proprio nella fabbrica di bambole si svolge l'evento decisivo dei destini della donna e di Louis. Nel 2014 una bambola parlante osserva le gesta di Gabrielle, in particolare quando cerca di mettersi in contatto con la chiaroveggente, ostacolata da un profluvio di pop-up che invadono il monitor rendendo ingestibile la navigazione ma restituendo perfettamente l'instabilità delle immagini e delle informazioni della contemporaneità. Infine, nel 2044, l'androide che viene assegnata come supporto a Gabrielle durante la procedura di purificazione è chiamata Bambola Kelly. Come spiega Gabrielle a Louis, le bambole sono assemblate per avere un'espressione neutra, né felice né triste: i raccordi sul primo piano della bambola e sui primi piani umani testano l'effetto Kulešov, il fenomeno cognitivo per cui siamo portati ad assegnare una sensazione o un sentimento diverso in base alla combinazione tra immagini montate in successione. 

Secondo l'ormai celebre teorizzazione di Roland Barthes, la fotografia si codifica a partire da due elementi, lo studium e il punctum. Se lo studium equivale a un vasto campo di informazioni che viene studiato, osservato quasi con noncuranza, il punctum produce una ferita: "non sono io che vado in cerca di lui (dato che investo della mia superiore coscienza il campo dello studium), ma è lui che, partendo dalla scena come una freccia, mi trafigge"4. Come rimarca Byung-Chul Han, il punctum "si manifesta come uno sguardo, come lo sguardo di una belva che mi guarda e mette in questione la sovranità del mio sguardo"5 . Bonello realizza in "La Bête" un profondo studio sull'ontologia dell'immagine cinematografica, sulla sua tenuta nell'agone del contemporaneo e sulla sua performatività. La bestia in agguato nella giungla è non soltanto il sentimento, ma anche l'immagine decisiva, la catastrofe che, nel teatro greco, segnava la risoluzione finale. La ribellione di Gabrielle consiste nel distrarsi dallo studium e non subire il punctum allestito dall'Intelligenza artificiale, ma cercarlo spontaneamente, andargli incontro nonostante i rischi, nonostante la ferita che può causare. L'ambientazione conclusiva di "La Bête" è una discoteca, assonanza evidente con "La bête dans la jungle" di Patric Chiha, altra trasposizione e più fedele alla lettera di Henry James uscita anch'essa nel 2023, che è quasi interamente ambientato in un club. Nel caso di Bonello, il locale è un non-luogo che ogni notte cambia nome: uno spazio-tempo che incapsula un'epoca tramite moda e musica, pertanto uno spazio fuori dal tempo, un'eterotopia alla maniera del Club Silencio ("Mulholland Drive") o del Roadhouse ("Twin Peaks") di David Lynch, il cui perturbante è palesemente il faro che illumina la visione del regista francese. Gabrielle dà qui appuntamento a Louis ma l'uomo ha un'espressione ora placida e serena, perché, al contrario di Gabrielle, la sua procedura di purificazione è riuscita perfettamente. Louis è ora è come una bambola. Per Gabrielle quest'immagine è il punctum, per lo spettatore lo è il suo urlo disperato, simile a quello di Laura Palmer in chiusura di "Twin Peaks: The Return". Gabrielle è incastrata in immagini, immaginari e film possibili che desidera vivere e sentire, completamente e in autonomia; la ribellione dei suoi sentimenti è però già prevista, è parte di uno schema che si ripete. La liberazione è quindi rimandata a un altro tempo, a un altro schermo. Is it future or is it past?  

Una chiosa finale sull'interpretazione di Léa Seydoux. Da più di un decennio sulla cresta dell'onda, in bilico tra cinema d'autore e grandi produzioni hollywoodiane, tra ruoli da protagonista assoluta e ruoli da comprimaria, Seydoux è tra le attrici più importanti del panorama odierno. Se, come affermato Luc Moullet, esiste una politique des acteurs, la carriera dell'attrice francese ne è un'incarnazione quasi paradigmatica. "La Bête", al pari di "France" di Bruno Dumont, è costruito come un tour de force attoriale che ci appare come un documentario su Léa Seydoux, un'analisi del suo cassetto degli attrezzi, uno scandaglio della sua elasticità espressiva, della formidabile capacità del suo volto di conquistarsi il primo piano riempiendo lo schermo. 


1 R. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta. Lettere a una giovane signora su Dio, Adelphi, Milano 1980.
2 Crasi di "celibato involontario" (dall'inglese involuntary celibate), l'incel è membro di una subcultura sviluppatasi online che attribuisce il fatto di non essere in una relazione sentimentale e/o sessuale al loro non essere attraenti, non rispecchiando dei canoni a loro dire oggettivi e indipendenti dalla loro volontà. Di conseguenza colpevolizzano, oggettificano e denigrano le donne accusandole della loro condizione. Elliot Rodger che nel 2014 ucciderà 6 persone (ferendone 14) nel cosiddetto "massacro di Isla Vista" frequentava forum online di incel e i suoi vlog erano imbevuti della mededima retorica.
3 A tal proposito, rimando alla mia analisi di "Annette" (2021) di Leos Carax.
4 R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino 1980, p. 86.
5 B.C. Han, La salvezza del bello, cap. Estetica della ferita, nottetempo, Milano 2019, edizione digitale.


06/12/2024

Cast e credits

cast:
Léa Seydoux, George MacKay, Elina Löwensohn, Guslagie Malanda, Dasha Nekrasova


regia:
Bertrand Bonello


titolo originale:
La Bête


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
146'


produzione:
Les Films du Bélier, My New Picture, Sons of Manual, Arte France Cinéma, Ami Paris


sceneggiatura:
Bertrand Bonello


fotografia:
Josée Deshaies


scenografie:
Katia Wyszkop


montaggio:
Anita Roth


costumi:
Pauline Jacquard


musiche:
Bertrand Bonello, Anna Bonello


Trama
Nel 1910 a Parigi una donna sposata, Gabrielle, a una festa incontra Louis e tra loro nasce un intenso sentimento. Nel 2014 la "stessa" donna è un’aspirante attrice che soggiorna a Los Angeles e viene presa di mira da un trentenne represso e psicopatico. Nel 2044 nel mondo regna l’intelligenza artificiale e "un’ennesima" Gabrielle, come ogni altra persona, viene invitata a purificare il proprio Dna per liberarsi dalle emozioni e diventare così totalmente performante…