JP Sartre: Qual è lo scopo di questa vostra rivoluzione?
E Guevara: Ampliare il campo del possibile
La motion capture è una tecnica in cui i movimenti del corpo sono ricostruiti a partire dalla registrazione della posizione di marker applicati in punti strategici (più la parte è flessibile, più alto il numero di marker). Così come la ripresa su pellicola, questa tecnica è nata dallo studio scientifico dei corpi in movimento [1] e si è poi estesa al cinema, che invece di usarla per studiare l'esistente l'ha usata per creare l'inesistente (da Gollum al Capitano Haddock). In "Holy Motors" Oscar (un indescrivibile, eccezionale Denis Lavant [2]) attraversa in un giorno Parigi in una limousine [3] guidata dall'affezionata autista Cèline (Edith Scob) e ogni volta che ne scende è per interpretare una nuova storia-persona. Nella sua terza incarnazione Oscar si reca in un complesso industriale per realizzare una serie di performance motorie che verranno registrate in motion capture. I marker di cui è ricoperto il suo corpo vengono catturati e convertiti in serie temporali tridimensionali da una rete di telecamere invisibili all'attore "come Chaplin in "Tempi Moderni" (...) ma la macchina e i motori sono scomparsi e Oscar si dibatte da solo in un ingranaggio virtuale" (racconta Carax medesimo). La sequenza è di una bellezza visiva da lasciare senza fiato, con Oscar che passa continuamente dall'essere una struttura astratta di punti al concretizzarsi in un corpo fisico. Ma ciò che conta è che nell'output grafico finale quei movimenti potranno essere "vestiti"[4] con l'apparenza di qualsiasi uomo, donna o mostro, di letteralmente qualsiasi cosa, come intravedremo alla fine. La scienza cattura l'esistente, l'arte lo trasforma nel possibile.
"I giorni passano io resto", dice Apollinaire affacciato da Pont Mirabeau, così il corpo affaticato e butterato di Oscar/Lavant precipita vertiginosamente in ognuno dei dieci uomini che si avvicendano senza tregua, e ne riemerge, rimanendo come sostrato essenziale, reale, ineliminabile. Dev'essere stato difficile creare personaggi con una singola azione, farci empatizzare con figure delle quali vediamo sezioni di vita (vita?) minime, con dei volti che abbiamo appena visto costruire con il make-up e le protesi. Dev'essere stato ancora più difficile per Lavant farcela senza trasformare il film in una mera vetrina per la propria bravura. La sfida è vinta completamente, l'interpretazione resterà.
Quasi ogni storia di ogni Oscar, incluse le pause in cui l'attore struccandosi dal personaggio precedente e ritruccandosi per il prossimo parla con l'autista Cèline ("Dobbiamo assolutamente ridere entro mezzanotte!"), è interessante di per sé, straniante, commovente o geniale. Oltre all'interpretazione di Lavant, l'altro elemento che trasforma una successione di episodi in un flusso trascinante di pensieri e immagini è la regia di Carax, che attraversa con disinvoltura i vari gradi di oscurità e luce che il protagonista si trova ad affrontare. Il prologo che vede Carax stesso sognare (o svegliarsi?) e, in un modo un po' particolare, andare al cinema, è una dichiarazione di intenti di coerenza poetica. Ma qual è il significato di questo sogno? Stiamo parlando del miracolo della recitazione, del cinema che si confonde con la vita (il dialogo con Michel Piccoli)? Si tratta di una riflessione sui ruoli sociali, sull'identità e sulla sua distruzione (vedere le scene con due Oscar...), sulla verità, sull'amore, sulla bellezza? Ogni frammento dà una risposta diversa e altre ancora ne creano le risonanze tra di essi. O si tratta della bellezza pura, visiva nei quadri perfetti che appaiono improvvisi o magari dell'energia, della forza che mantiene tutto in continua metamorfosi e che ci viene trasmessa dall'intervallo musicale?
Rivedremo ancora "Holy Motors", e poi lo lasceremo sedimentare, per decidere se si tratta di un capolavoro o di una elegante stravaganza. Ma è evidente che si tratta di un film che amplia il campo del possibile nel cinema, e quindi nella nostra vita.
----
[1] Gli studi di cronofotografia di Marey sono citati esplicitamente nel film.
[2] Attore alter-ego di Carax, recita in tutti i suo film tranne "Pola X".
[3] Le risonanze con "Cosmopolis", film girato contemporaneamente, non terminano qui. Ma mentre per Cronenberg e DeLillo le limousine (e la finanza) sono un simbolo del presente (seppur di un presente sull'orlo del collasso), per Carax rappresentano un ordine ormai passato. Il collasso è già avvenuto, dobbiamo decidere che fare delle rovine.
[4] Attenzione alla brutta fine che nel film fa chi si azzarda a usare le virgolette, come per indicare l'odio di Carax (o almeno del personaggio Merde) per chi si rifugia nell'ironia e rifiuta il viscerale.
cast:
Denis Lavant, Kylie Minogue, Michel Piccoli, Edith Scob
regia:
Leos Carax
titolo originale:
Holy Motors
durata:
116'
produzione:
Pierre Grise Production
sceneggiatura:
Leos Carax
fotografia:
Carolime Champetier
montaggio:
Nelly Quetier
costumi:
Anais Romand