L'ordinato montaggio di carrellate e camera-car della prima parte del film non risparmia alcune peculiarità, come l'insistere sul dettaglio dell'effervescenza dell'aspirina (citazione godardiana), la panoramica apparentemente ingiustificata della stazione dei taxi, il carrello laterale che manda in fuori campo Travis (che sta scongiurando al telefono Betsy), proiettando tramite il décadrage la sua solitudine lungo un corrodio freddo e sporco, alludendo agli schizofrenici cunicoli della sua mente.
L'apoteosi si realizza con l'incepparsi della voce off di Travis mentre sta facendo la sua dichiarazione di guerra: quando riprende la sua orazione, l'inquadratura con un taglio sull'asse riparte daccapo ri-mostrando la rotazione sul busto di De Niro.
Altro virtuosismo estremo è il dolly a piombo che segue la scia di sangue della mattanza, in uno scenario da guerra, raffreddato (come in un freeze-frame) anche dalla desaturazione del rosso imposta dalla censura[8]; è il luogo di un altro fallimento di Travis Bickle che, al culmine del suo atto, si ritrova a poter soltanto mimare col dito impregnato di sangue lo spararsi alla tempia, avendo finito le pallottole.
Nell'epilogo poi, reale od onirico che sia, torniamo al punto di partenza: in maniera complementare ad "Arancia meccanica" di Kubrick, anche Travis riprende servizio e ricomincia ad osservare il mondo attraverso il parabrezza e lo specchietto retrovisore del suo taxi. E' lo "sting" di Hermann prima dell'inizio dei titoli di coda, che, anticipando lo scatto dello sguardo di Travis, conferma che niente è cambiato. Che la bomba è ancora innescata[9] e quando esploderà, il tassista reclamerà la sua estasi.
Negli ultimi anni sono di tanto in tanto saltati fuori rumors intorno a un eventuale sequel di "Taxi Driver", ma era un'ipotesi ventilata dal solo Robert De Niro, che non piaceva né allo sceneggiatore né al regista del film. Curiosa invece la notizia a ridosso della presentazione di "Shutter Island", che ha visto una conferma al Festival di Cannes 2011, dove Lars Von Trier ha riferito di una chiacchierata con Scorsese durante la quale gli avrebbe proposto il remake del suo capolavoro basato sul metodo delle "Cinque variazioni". Anche se ci appare come una delle tante bizzarrie del regista danese che difficilmente vedrà la luce, rimane la certezza di un'opera ancora fondamentale per il cinema contemporaneo, che può tornare far discutere e a illuminare con la sua animale ferocia estetica.
[1] Vale la pena aggiungere una nota: inizialmente di colore, Sport fu poi modificato e ingrandito per evitare una deriva eccessivamente razzista e per dare un po' di spazio a Keitel che duetta con De Niro. E' proprio Sport a intuire le intenzioni nascoste di Travis: intanto chiamandolo subito "cowboy" (e nella seconda scena il magnaccia indosserà alcuni abiti da indiano delle riserve), poi rispondendogli sarcastico che no, non sembrava affatto un tipo tranquillo. Quando si rincontreranno, Sport non riconoscerà il tassista, un po' per l'oscurità e un po' per il taglio dei capelli alla mohicana, che si impone come una mimetizzazione ("Torna alla tua tribù" gli dirà) e, al contempo, come un vistoso grido di guerra (era il taglio dei commando in Vietnam, perché dalla guerra non si esce).
[2] La voce off di Travis ci dice: "La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, ovunque. Non c'è scampo: sono nato per essere solo"
[3] La voce fuori campo del protagonista asserisce: "Adesso è tutto chiaro. Tutta la mia vita puntava in una direzione. Adesso lo vedo bene. Non ho mai avuto nessun'altra scelta". Le riflessioni che Schrader dedica al cinema di Bresson si possono quindi trascrivere anche per "Taxi Driver": "Appena il corpo viene identificato con la prigione, appare una naturale tendenza all'auto-mortificazione. (...) Nel ciclo della prigione risulta già evidente la naturale estensione al suicidio della metafora della prigione", Il trascendente nel cinema, pp. 79-80, Roma, 2010.
[4] Come l'Ethan di "Sentieri selvaggi" alla nipote Debbie, Travis promette a Iris che l'avrebbe salvata: entrambi segnati da "una sporca guerra", entrambi con un profondo odio da far sfogare. Al contrario del personaggio di John Wayne, però, l'urban cowboy Bickle compie un ragionamento a compartimenti stagni, vedendo in Iris solo la vittima del magnaccia Sport e non considerando mai la possibile "contaminazione" subita.
[5] L'esistenzialismo europeo e in particolare i romanzi "La nausea" di Jean-Paul Sartre e "Lo straniero" di Albert Camus sono riferimenti indicati dall'autore della sceneggiatura.
[6] Andrea Valle, Taxi Driver o della dissociazione.
[7] Scene di "riflessione" allo specchio sono presenti in Scorsese sin dal corto "The big shave". L'abbondanza di tale figura insieme al quadro-nel-quadro di matrice wellesiana non può che riaffermare la dissociazione percettiva di Bickle, seguendo anche un tracciato tipico per i protagonisti del cinema degli anni '70 e che aveva investito persino icone d'altri tempi come il Marlowe rivisto da Altman ne "Il lungo addio".
[8] Se Scorsese accolse la proposta dicendo che preferiva la desaturazione al rosso acceso della scena, perché lo trovava più iperreale e morboso, il direttore della fotografia Michael Chapman rimase deluso da questa scelta, reputando quello spargimento di colore disposto come in un'opera di Robert Rauschenberg.
[9] Durante il monologo "You talkin' to me?" si sente il ticchettio di un orologio-sveglia o di un contaminuti, prima in sottofondo e via via più assillante e inquietante.
cast:
Robert De Niro, Jodie Foster, Cybill Shepherd, Harvey Keitel, Peter Boyle, Albert Brooks
regia:
Martin Scorsese
durata:
113'
produzione:
Julia Phillips, Michael Phillips, Andrea Dell'Aversano per Columbia Pictures
sceneggiatura:
Paul Schrader
fotografia:
Michael Chapman
scenografie:
Charles Rosen
montaggio:
Tom Rolf; Melvin Shapiro
costumi:
Ruth Morley
musiche:
Bernard Herrmann