Ondacinema

recensione di Rudi Capra
8.0/10


What is this insufferable darkness?


Malgrado la regia impeccabile, la cura maniacale, la bellezza conturbante della partitura audiovisiva, le critiche sono fioccate. In parte perché "Questo Nosferatu non fa paura", ma forse qualcuno confonde il cinema con le montagne russe. Principalmente perché troppo aderente all'originale (curioso che nessuno abbia mosso a Herzog la stessa critica).
Ma è la natura del mito quella di ripetersi. Il mito è un racconto autorevole, senza padrone, che si rivolge a tutti perché parla di tutti, e pur ripetendo gli stessi archetipi rimane sempre attuale.
"Nosferatu" non appartiene a Murnau che pure lo inventò, rubandolo a Stoker che a sua volta lo plasmò dal folklore mitteleuropeo. Il vampiro non appartiene a nessuno. Dunque appartiene a tutti.
Parlando di autorevolezza, fu Murnau a introdurre l'allergia dei vampiri alla luce del sole; il Dracula di Stoker agiva in pieno giorno.
L'appetito impuro e incontrollabile, l'eterna malinconia e l'anarchia sessuale rendono il vampiro una figura sempre attuale, perché incarna gli aspetti meno umanistici dell'umano.
Eggers si impegna a ritessere la genealogia mitica del vampiro nel momento in cui il Cinema, a poco più di un secolo dalla sua invenzione, consolida il suo ruolo di inconscio mitopoietico della contemporaneità. Un'operazione che può articolarsi solo tramite i due movimenti fondamentali di ogni genealogia, la differenza e la ripetizione; la differenza dei racconti, la ripetizione del mito.

Le differenze

Lontanissimo dal gentiluomo seducente e profumato del romanzo stokeriano, il vampiro di Eggers si discosta anche dal mostro etereo e allampanato di Murnau. Mai prima d'ora la leggenda si era incarnata in una corporeità così greve, umorale. L'aspetto cercato e ottenuto è quello di un gentiluomo transilvano decomposto. Una carnagione livida, baffi lunghi e folti da pornodivo anni Settanta, capelli attaccati dietro le tempie, un incedere appesantito da tacchi di metallo (così vestivano i nobili transilvani) che si avvicina più al Frankenstein di Karloff che al Dracula di Lugosi. Eggers indugia sulle lunghe mani adunche del vampiro, dà corpo e spessore alla sua ombra, feticizzando i tratti somatici resi iconici da Murnau. In una scena vediamo persino il pene flaccido del vampiro, che non è l'unico personaggio a subire il peso di questa carnalità opprimente, ingestibile.

Thomas Hutter conserva in una reliquia i capelli della moglie. Ellen Hutter è preda di violenti spasmi. Von Franz non si separa mai dalla lunga pipa che fuma di continuo. Persino Nosferatu, attaccato al seno di Ellen come un neonato mostruoso, ha un aspetto gracile e impotente. Man mano che l'oscurità si chiude intorno a loro, i personaggi si aggrappano a feticci sempre più nitidi, sempre più essenziali, mentre la loro corporeità si spegne e si asciuga. Come nel cinema di Bergman, il volto in primo piano diventa il sigillo di un'umanità dilaniata tra ombre e luci, l'ultima maschera frapposta tra il desiderio e il nulla che lo genera e lo riassorbe.

Le ripetizioni

Anche le immagini in mano a Eggers diventano feticci di altre immagini. Stoker è un riferimento soprattutto nella sensibilità romantica, e allora che tornino gli incubi di Füssli, i paesaggi desolati di Dahl e Friedrich. Un romanticismo filtrato da una dose massiccia di computer-grafica ed effetti speciali che lo rende ancora più artificioso e posticcio, con ombre più turgide e scolpite dei corpi umani, neve simulata con fiocchi di patate, ratti virtuali. Che tornino i volti di Bergman, le possessioni di Friedkin, i gitani di Tarkovskij, il montaggio radicale di Eisenstein, i pornodemoni di Polanski. E ovviamente le inquadrature di Murnau, con il corpo del vampiro inquadrato in prossimità di archi, finestre, soglie, ad accentuarne la liminalità.

Volendo parlare di prestige horror (o elevated horror), etichetta ricorrente quando si parla di produzioni A24 e di Eggers, Aster, Peele e Garland (e cosa c'è di più prestigioso di Nosferatu?) un denominatore comune è proprio lo natura autoconsapevole e palesemente artificiale della messinscena, tra citazioni ed effetti che sfiorano il ridicolo involontario o l'autoparodico, come il baffo di Nosferatu o la UFOtocamera di Peele. Eppure, a cent'anni da Murnau e dopo un secolo di cinema horror, questa contraffazione è l'unica forma possibile di sincerità. Uno stile postmoderno adatto a un gusto feticista, che si rivolge ai cinefili e non ai cinici.


Sopra, "L'incubo" di Fussli; sotto, "Nosferatu".


Sopra, "Paesaggio marino norvegese" di Dahl. Sotto, "Nosferatu".


Altre differenze

È proprio nello stile che il "Nosferatu" di Eggers trova la sua ragion d'essere, e stabilisce con i predecessori un rapporto emulativo, e non di mera imitazione. Come in "The Northman", la fotografia desaturata di Blaschke succhia via il giallo e il verde dalle immagini, azzerando tutte le lunghezze d'onda superiori a 570. Blaschke inocula in ogni scena una "oscurità intollerabile" che si fa solida e tangibile, quasi litografica, esasperando insieme ai personaggi anche gli spettatori. Eggers evoca un mondo crepuscolare che sembra provenire da abissi sottomarini, rischiarato dal chiarore cianotico di tersi pleniluni, riscaldato dalle luci gassose delle lampade elettriche. Anche il set design, con risultati diversi ma principi analoghi a Murnau, offre le sue massicce simmetrie e i suoi interni chiaroscurali al servizio di un'atmosfera. Si può parlare di neo-espressionismo?

Il sonoro è l'elemento che più di ogni altro si distacca dai predecessori. È il primo "Nosferatu" concepito in lingua inglese. Con il timbro abissale del vampiro e l'ipnotica inflessione mitteleuropea, quasi da caricatura. I dialoghi enfatici, teatrali. Le composizioni orchestrali di Carolan, in equilibrio tra partiture folk alla Liszt/Bartok e sonorità electro-industrial. Una colonna sonora non da horror, piuttosto da period drama romantico. La visione di Eggers è soffocante, esasperata, artificiale. E tuttavia, regala quello che ci si aspetta da un horror: una visione.

Altre ripetizioni

L'oscurità allaga e recede dal profilmico come una marea, con lo stesso andamento marino e corrosivo della macchina da presa, che penetra senza sforzo scene e stanze divise da pareti e stagioni lontane, piegando lo spaziotempo alla grazia soprannaturale di un demiurgo. Non è il vampiro, che raramente si incarna in soggettive pure, ma Eggers stesso, che attraversa la genealogia del mito riplasmandola a sua immagine con una maestria tirannica. È un cinema dittatoriale. Eggers comanda le immagini come un dittatore comanda le persone, asservendole a visioni smodate di grandiosità e splendore. Non è un cinema sottile di psicologie, silenzi e scale di grigi. È un cinema di piramidi e colossei e tenebre che divorano la luce.

Uno stile equidistante dall'espressionismo di Murnau e dal naturalismo di Herzog, che aveva riportato Nosferatu alla biologia, tra i pipistrelli e le mummie di Guanajuato, equiparandolo a un virus destinato a replicarsi all'infinito, un congegno sordo e perfetto come la natura, ciclo di autopoiesi e autodistruzione inarrestabile. Eggers ripete il mito pedissequamente, le mani l'ombra i gitani il castello l'approdo i topi il canto del gallo, ma lo reinventa nelle forme, nei colori, nei suoni, legandolo a un'estetica che vampirizza la modernità. Forse l'unico modo per salvare il mito: predarne il sangue e consegnarlo ai posteri mummificato, imbalsamato dalla computer-grafica, sottratto alla corruzione del ventre massmediale che partorisce e divora le immagini al ritmo accelerato di un appetito algoritmico.

Sotto, alcuni confronti Murnau-Herzog-Eggers.




Altre abiezioni

La maggiore innovazione di Eggers dal punto di vista della storia coincide con un ritorno al paradigma cristiano che lega desiderio e colpa. Siamo dalle parti di "The Witch": è Ellen ad attirare il demone in seguito a una sorta di illuminazione sessuale. Nosferatu conferma: "I am an appetite, nothing more". Il desiderio sorge dall'individuo e lo distrugge, una coazione istintiva, incontrollabile. Il modello è quello kristeviano dell'Abietto, il lato caotico della soggettività represso da norme etiche e sociali, che riemerge per aggredire l'ordine simbolico su cui si regge la società stessa (Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection, 1980). Espulso dalla configurazione originaria del Soggetto, l'Abietto tenta disperatamente di ricongiungersi partendo da un'alterità radicale; come Nosferatu, partito dai boschi transilvani per ricongiungersi con Ellen.

Qui Eggers tocca un'altra pietra miliare del cinema di vampiri, "The Addiction" di Abel Ferrara, dove la sete di sangue era metafora della tossicodipendenza, e la luce del desiderio proiettava sugli individui l'ombra della loro distruzione: "L'esistenza è cercare sollievo dalla dipendenza; ma la dipendenza è l'unico sollievo che abbiamo". La ripetizione delle figure, la differenza delle forme. Ellen in Murnau/Herzog incarnava l'aspetto salvifico, angelicato di una femminilità materna, rigenerativa. In Eggers si trasfigura in archetipo del desiderio sterile, un fuoco insaziabile, impersonale che accende il soggetto e simultaneamente lo consuma.


07/01/2025

Cast e credits

cast:
Lily-Rose Depp, Nicholas Hoult, Bill Skarsgard, Aaron Taylor-Johnson, Willem Dafoe, Emma Corrin, Ralph Ineson, Simon McBurney


regia:
Robert Eggers


titolo originale:
Nosferatu


distribuzione:
Universal Pictures


durata:
132'


produzione:
Maiden Voyage Pictures, Studio 8, Birch Hill Road Entertainment


sceneggiatura:
Robert Eggers


fotografia:
Jarin Blaschke


scenografie:
Craig Lathrop


montaggio:
Louise Ford


costumi:
Linda Muir


musiche:
Robin Carolan


Trama
Thomas va in Transilvania per vendere una casa in Germania al misterioso Conte Orlok, che è misticamente attirato dalla moglie di Thomas, Ellen