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recensione di Francesca d'Ettorre

E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio

Ci sono pellicole che, al contatto con il pubblico, cadono inesorabilmente nell'indifferenza collettiva, a tal punto che scriverne diventa un atto risarcitorio. E ci sono pellicole, come "L'esorcista", la cui eco perdura e moltiplica - parole, propositi commerciali, prequel, riedizioni (nel 2000, i dieci minuti in più nulla aggiungono all'economia della storia se non una imperfetta spider walk della contorsionista e controfigura di Linda Blair, Linda R. Hager) e sequel - assurgendo più a gallina dalle uova d'oro che a oggetto filmico pregnante. In questo secondo caso, il compito di chi scrive non è più dimostrare l'importanza dell'opera - perché qualsiasi esperienza artistica che vince in modo così palese il confronto con il tempo contiene in sé qualcosa di non demarcabile in un riduttivo effetto coolness - semmai eviscerare ciò che, seppellito sotto la coltre verbosa del già detto-già visto e della replica irriverente (dagli "Scary Movie" al nostrano "L'esorciccio") è stato bypassato per concentrarsi su elementi invero accessori e che non corrispondono la grandezza di questo film, oltremodo la mistificano.

La paura e il senso del terribile

Era il 1973 e "L'esorcista" faceva capolino in sala. Perfino i muri, se potessero parlare, saprebbero raccontare l'accoglienza che fu: tra file interminabili, gente in fuga e ambulanze; mancamenti e notti insonni al pensiero di quello che lo schermo aveva proiettato e l'occhio schiudeva a un ricordo terrorizzante. Viverlo oggi sarebbe pressoché impossibile, le innumerevoli declinazioni in cui si è manifestata la paura al cinema - sfociando in sottogeneri nel macrocosmo dell'horror - e gli avanzamenti tecnici nella resa scenico-effettistica hanno impermeabilizzato lo spettatore ormai saturo di immagini cruente. Sarebbe, però, fuorviante far coincidere il senso del terribile, che questo film trasmette, con la visione di una ragazzina avvezza al turpiloquio, al vomito in colore e a rotazioni estreme della testa e che, invece, è costruito a orologeria sul realismo al suo più alto grado di terrore intrinseco. Del resto, William Friedkin aveva appena imboccato la strada del poliziesco con "Il braccio violento della legge", che gli fece guadagnare ben cinque Oscar, giungendo a nuove e personali decodificazioni del genere, votate alla schietta efferatezza realistica che rifulgono anche nel monolitico "Vivere e morire a Los Angeles", in cui la tecnica cinematografica di Friedkin si esprime fino a toccare l'acme. "L'esorcista" non si colloca, però, all'interno di un genere di tutt'altro respiro, l'horror, ma prosegue su un solco poetico già tracciato dal regista in precedenza. Senza disperdersi in stucchevoli disquisizioni a carattere egotistico sui generi cinematografici, è utile sottolineare che "L'esorcista" era, nelle intenzioni dell'autore e nella pellicola esperita, un thriller-dramma sovrannaturale che ha, infine, lambito e attraversato l'horror - fino a rivoluzionarlo di là a venire (!) - perché la realtà stessa che andava rappresentando era inquietante, e mai prima di allora, messa davanti agli occhi increduli dello spettatore, senza concessioni di sorta alla teatralizzazione tipica del genere, ma dando dignità di realizzazione all'ignoto, al male insito anziché a quello esplicito delle fiumane di sangue, degli effetti speciali goticheggianti, delle creature mostruose. Non c'è storia di finzione che possa scuotere le corde emotive dell'individuo come il contatto con i suoi più grandi interrogativi metafisici e, in questo film, vi è la dimostrazione inequivocabile.
"L'esorcista" nasceva, dunque, da una dichiarazione di intenti più bergmaniana che assimilabile a "Non aprite quella porta" di Tobe Hooper.

Il Bene, il Male e il Grande Inquisitore

Georgetown, Usa. Durante le riprese di un film, Regan, figlia dell'attrice Chris MacNeil, accusa alcuni disturbi che vengono rintracciati come effetto di uno sdoppiamento della personalità. Dopo aver passato estenuanti trafile ospedaliere - la cui descrizione è pedissequamente scientifica, sul set sono presenti tre gesuiti e altrettanti medici - la madre accetta di sottoporre la ragazzina a una cura psichiatrica. Intanto un ispettore di polizia indaga sulla morte del regista del film che viene trovato in fondo alla scalinata sulla quale si affaccia la stanza da letto di Regan. Appurata l'impossibilità di una cura medica che possa migliorare le condizioni della giovane, la mamma accetta di affidarla a Padre Damien Karras, un gesuita psichiatra in crisi spirituale, e a Padre Merrin, anziano esorcista. Da qui in poi sarà il demoniaco, infiltratosi nelle viscere della purezza puerile, a veicolare le sorti di una normale vita quotidiana di provincia di cui perderà le sembianze. Un cambiamento graduale e attento allo scavo psicologico del personaggio interpretato da una minorenne Linda Blair chiamata a dare voce e movenze tarantolate a un profluvio di oscenità verbali, come mai accaduto altrove al cinema. In realtà doppiata e quindi non in prima persona a pronunciare tanta prurigine, resta la vivida depositaria dell'atavico patto con il diavolo impressa nell'immaginario collettivo. Non c'è solo Regan, corpo e anima trasformati dalla possessione in una luciferina succursale di blasfemia, e espressione esteriore dell'intersezione del male con l'innocenza al climax di purezza, quella giovanile; c'è sovrappiù il conflitto interiore e devastante di Padre Karras, tra il bene dilazionato attraverso la sua missione e il male che tenta e instilla dubbi - di non aver offerto le adeguate cure alla propria madre morta in uno squallido ospedale - e spasmi di sofferenza. Un conflitto che ricalca quello che avvince i destini individuali dalla notte dei tempi: due antinomie in eterna belligeranza che si nutrono l'una dell'altra senza che nessuna soccomba, ma perpetui il proprio disegno, lasciando all'uomo l'arbitrio di offrirsi. Quella libertà duropurista contestata dal Grande Inquisitore dostoevskijano come matrice della problematicità tormentata che fa capo alle inquietudini dell'uomo e che legittima la possessione, fisica e psicologica, del male sull'individuo con l'incapacità - estremamente umana, Regan è una ragazzina fragile annichilita dalle assenze genitoriali e Padre Karras dal rimorso - di disciplinare l'uso di un potere dalle infinite possibilità.
"L'esorcista" è la parabola dell'uomo di fronte al male assoluto, la reinvenzione dell'horror che assorbe la lezione bressoniana, senza rinunciare a interrogarsi sul mistero della fede, e la rigetta all'esterno più cruda che mai.

Esorcismo e simbolismi

Tratto dal bestseller di William Peter Blatty, a sua volta ispirato a un episodio realmente accaduto di un probabile esorcismo avvenuto nel Maryland, il film traspone sullo spettatore il punto di vista di chi dà per assodata l'esistenza della possessione demoniaca e per questo scarno motivo la pellicola ha attratto su di sé acerrime critiche da parte di chi lo ha ritenuto epifania del bigotto oltranzismo cattolico. Oltreché, in fase di lavorazione, alimentare divergenze di vedute tra il regista e lo sceneggiatore, lo stesso William Peter Blatty, che auspicava un epilogo proto-cattolico, a differenza di Friedkin, più indirizzato su quella zone grigia che ottunde le certezze - da qui il doppio finale.
In realtà, il rapporto che lo spettatore instaura, nel corso del minutaggio, con scienza & fede è ambiguo e scevro da dogmatismi. Da una parte, la sicumera scientifica non sa dare una definizione plausibile alla malattia che affligge Regan, dall'altra la tensione fideistica che dovrebbe ammantare della luce divina i suoi ministri è, in realtà, umbratile chiaroscuro. La stessa Chris, esemplificativa nell'incarnare lo scetticismo raziocinante, si fa portatrice in frustrazione dei problemi della figlia, man mano che questi acuiscono in intensità, fino ad affidare le sue ultime speranze all'esorcismo.
Potremmo idealmente dividere la pellicola in tre macro capitoli, dall'incipit programmatico in Iraq durante uno scavo in cui vengono rinvenuti degli oggetti ricondotti a simboli del maligno: tra le evocative rovine di una civiltà dove l'archeologo (Padre) Lankaster Merrin fa il suo primo incontro con Pazuzu; per passare poi a Georgetown, fino ad approdare al terzo, ultimo e più disturbante capitolo con Linda Blair ormai trasformata, grazie al trucco elaboratissimo, in una creatura demoniaca. Il sacerdote chiamato a lottare contro il Male, interpretato da un monumentale Max Von Sidow, preferito da Friedkin a Marlon Brando, costituisce un elemento ulteriore che può avallare un teoretico legame tra "L'esorcista" e la poetica bergmaniana. Difatti, l'attore feticcio del regista svedese, nel 1957, è un cavaliere messo alla prova dall'ignoto ne "Il settimo sigillo".

La pellicola si avvale in più occasioni - oltre a un inusitato e raffinato utilizzo dell'effetto speciale da cui non è mai soverchiata, conferendo all'horror una autorialità distante fino ad allora dal genere - della simbologia e di riferimenti mitologici nel corso dello svolgimento degli eventi: dal già citato rinvenimento di una statuetta raffigurante il demone assiro Pazuzu, alla profanazione nella chiesa, alla scalinata da sempre vocazione di ascesa e/o discesa, fino alle immagini subliminali insufflate tra i fotogrammi a irrigidire il pathos delle sequenze più esigenti in raccapriccio, già inasprite dal conturbante motivo principale firmato da Mike Oldfield - da qui la visione di un Capitan Howdy con le fattezze del diavolo.

Dieci nomination agli Oscar e due (sceneggiatura e sonoro) intascati, nel 2010 "L'esorcista" verrà inserito nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti conquistando una collocazione simbolica nella storia del cinema, a rinforzo del riconoscimento fattuale di capolavoro che gli è dovuto.


25/06/2013

Cast e credits

cast:
Ellen Burstyn, Max von Sydow, Jason Miller, Lee J. Cobb, Kitty Winn


regia:
William Friedkin


titolo originale:
The Exorcist


distribuzione:
Warner Home Video


durata:
121'


produzione:
Hoya Productions, Warner Bros


sceneggiatura:
William Peter Blatty


montaggio:
Evan A. Lottman, Bud S. Smith, Norman Gay


musiche:
Jack Nitzsche


Trama

 

 

Regan, ragazzina dodicenne figlia di un'attrice, mostra i primi segni di un disordine psichico durante un ricevimento in casa. La madre cercherà aiuto nei medici che la sottoporranno a lunghe trafile ospedaliere senza giungere ad una diagnosi. Dopo l'omicidio del regista del film, riconducibile a Regan, la madre deciderà di ricorrere all'aiuto di un sacerdote.