Ondacinema

Speciale registi - Il miglior film di Wes Anderson

Dedichiamo il nuovo appuntamento sui giovani registi che hanno maggiormente influenzato gli ultimi 20 anni di cinema all'americano forse più amato dal pubblico indie, capace però di emanciparsi da questa definizione creando un mondo riconoscibile, andersoniano. Vi sveliamo quali sono, secondo noi, i suoi migliori film

Se c'è un regista delle nuove generazioni che divide pubblico e critica come nessun altro, questi è senza dubbio Wes Anderson. La nostra nuova rubrica, che premia il più bel film delle carriere ancora giovani di quei cineasti che consideriamo di particolare importanza nel panorama mondiale, è perfetta per fermarci a fare il punto sull'autore nativo di Houston. Era partito con l'attenzione spasmodica di tutti coloro che ne avevano riconosciuto uno stile assolutamente peculiare e, cosa ancora più importante, perfettamente riconoscibile fra centinaia di colleghi. La sua poesia messa in scena con un gusto visivo geometrico, l'uso del surreale calato nella realtà quotidiana, il ricorso senza timore a tutta una serie di espedienti tecnici per rendere più artefatta la narrazione, persino la colonna sonora utilizzata come protagonista dichiarato del film. Tutto questo va a comporre il marchio di fabbrica di Anderson, capace di farsi riconoscere dai fan dopo un paio di inquadrature.

E questo è anche il suo problema, la sua condanna da parte dei detrattori che non tollerano questo ripetere in continuazione tic e movenze già riproposti in ogni salsa. E da qui parte una gara al ribasso, a denigrare tutto ciò che Anderson produce nella sua ormai raggiunta maturità. L'argomentazione è sempre la stessa: un conto era all'inizio, ora il suo stile ha perso di naturalezza e spontaneità, gira pellicole solo per lo zoccolo duro di suoi sostenitori. Ondacinema, come sempre in questi casi, è un misto di opinioni divergenti, che potrete verificare da voi scorrendo le scelte di ogni redattore, che hanno poi determinato la nostra classifica finale tra tutti gli otto film di Anderson.

C'è chi considera il suo percorso ormai giunto a un punto morto e chi invece ne vede ancora degli spunti di originale creatività, tanto da porre al primo posto di questa speciale "graduatoria interna" proprio la sua ultima fatica, "Grand Budapest Hotel". Il risultato è una classifica "compromissoria", che premia il suo film probabilmente più famoso, il titolo che gli ha dato non solo il consenso della critica ma anche il successo al botteghino. Noterete, a supporto di questa idea di una classifica frutto di un compromesso, che altri film hanno ricevuto più indicazioni per il primo posto (pensiamo a "Moonrise Kingdom"). Ma "I Tenenbaum" si colloca praticamente per tutti noi nella parte alta della lista e per questo si guadagna il primo posto come nostro film preferito della carriera di Wes Anderson.

In chiusura, prima di lasciarvi al gioco della classifica e alle pillole dei redattori, ognuna delle quali illustra la scelta del proprio personale primo posto, spendiamo però due parole per sottolineare un pregio indiscutibile del cineasta americano: laddove qualcuno potrà avere ragione nell'evidenziare l'esasperazione del virtuosismo registico che ne ha fatto un'icona vivente per un certo pubblico amante dei vezzi del cinema indie statunitense, è innegabile che la carriera di questo 45enne denota però un invidiabile e difficilmente eguagliabile talento nell'arte della narrazione. I suoi film, al netto di ogni trovata scenica, sono quasi sempre dei portentosi meccanismi di racconto degli eventi, capaci di venare di poesia e tenerezza ogni singolo istante della nostra contemporaneità. Non è certo qualità da poco.


8. UN COLPO DA DILETTANTI (Bottle Rocket, 1996)
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7. IL TRENO PER IL DARJEELING (The Darjeeling Limited, 2007)
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6. RUSHMORE (1998)
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5. LE AVVENTURE ACQUATICHE DI STEVE ZISSOU (The Life Aquatic with Steve Zissou, 2004)
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Life Aquatic: in mezzo ci scorre un mondo
In ogni cosa c'è sempre un prima e un dopo: nel cinema di Wes Anderson lo spartiacque è rappresentato da "Le avventure acquatiche di Steve Zissou", arrivato dopo un intervallo di circa tre anni dal successo de "I Tenenbaum" e, per la prima volta nella carriera di Anderson, realizzato fuori dal nuovo continente. Peculiarità che sembrano coincidere con le caratteristiche di cesura di un film che, da un lato, consolida temi e stilemi della poetica del regista, e dall'altro, sembra volersi distanziare dal passato appena trascorso con la ricerca di un esotismo che, da qui in poi, diventerà il contenitore ideale per una fantasia desiderosa di ricreare mondi a sua immagine e somiglianza. Nel viaggio organizzato da Zissou per uccidere il famigerato squalo giaguaro, gli echi del Moby Dick melvilliano trascolorano in una nuova letteratura cinematografica, tanto più teatrale quanto più surreali sono i personaggi e le situazioni che la compongono. A cominciare dal feticcio Bill Murray, splendidamente non sense; dall'inizio alla fine.
Carlo Cerofolini


4. GRAND BUDAPEST HOTEL (The Grand Budapest Hotel, 2014)
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Il sincretismo surreale del cinema di Wes Anderson
Wes Anderson ha uno stile inconfondibile e originale che permette di individuarlo da una sola inquadratura in ogni suo film. Personaggi di profondità letteraria che agiscono in storie surreali in una messa in scena limpida e matematica, con immagini dai colori saturi e linee distinte. Predilige i totali in un sincretismo tra una tavola di fumetto e la pittura americana degli anni 30. ?Grand Budapest Hotel? ha tutte queste caratteristiche, maturità di un autore al suo apice: una riuscita fusione stilistica delle sue due opere precedenti ?Moonrise Kingdom? e ?Fantastic Mr. Fox?. Come non innamorarsi di un personaggio come il concierge Gustav H e delle sue avventure in una ambientazione mitteleuropea reinventata? La mise en abyme, più letteraria che figurativa, composta da flashback su flashback, rendono la storia immaginifica e ritmata, ricca di colpi di scena. Una festa per gli occhi e per l?anima. E la giuria del Festival di Berlino nel 2014 gli conferisce il Gran Premio. Strameritato.
Antonio Pettierre

Le cornici della malinconia
I film di Anderson per chi non vuole andare a fondo sono tutti uguali, è il conto da pagare per un regista che ostinatamente cerca nella forma una sostanza. Perché nel barocchismo estetico fatto di scenografie "a casa di bambola", colori pastello, riprese zenitali e carrelli precisi come bisturi si scopre nell'arco della sua filmografia un'intenzione, tutta minimale, di dare un senso alle  variazioni. alta agli occhi in Grand Budapest Hotel uno splendido gioco di formati dell'immagine, ogni piano temporale ha un aspect ratio dedicato, e il 4:3 è protagonista. Ogni momento storico raccontato ha il formato cinematografico che gli compete. Cornici dentro le cornici, e per i detrattori rimane il vuoto. Ma per me quello che rimane è la riflessione sul racconto, sul modo di far procedere la storia. Scatole cinesi che si aprono, chiudendo sempre più il quadro cinematografico, e che svolgono il senso del film stesso: il tempo che fugge e che si compenetra, dove quello che è passato diventa racconto, memoria e ricordo, e il presente diventa cornice, un momento di nostalgia. Rimangono poi i temi cari al regista, e su tutti la volontà di raccontare un altro rapporto fra un "padre" e un "figlio". A far da sfondo all'intero film l'immagine di un mondo barbarico e violento sempre pronto a spazzare via l'idea nobile del bello.
Alessandro Viale


3. FANTASTIC MR. FOX
(2009)
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Il più fantastico signor Anderson
L'Anderson che rivorrei, quello che veste perfettamente i panni del regista di animazione. Non andrebbe considerata come anomalia o esperimento una tantum la scorribanda di Wes Anderson nel cinema di animazione: infatti si adatta alle corde di questo regista, il cui immaginario visivo spesso fa una capriola troppo in avanti, con il rischio di diventare stucchevole, tra costumi e arredamenti demodé, seppur affascinanti. Ma in questa commedia/animazione in stop-motion la nostalgia e la ricerca del tempo perduto si ritrovano nella tecnica, nella manualità, nell'artigianalità di un prodotto divertente e ben scritto. La fantasia si libera lasciando spazio a quei temi che rientrano nel mondo-Anderson, e non devono mascherarsi dietro uno stile che gli hipster si sono divorati come un piatto vegano. Quindi l'Anderson secondo me migliore, perché riesce a essere divertente e a intrattenere, mandando un messaggio chiaro da un mondo incantevole e palpabile nella sua semplice eterea originalità.
Davide De Lucca

Furbo, il signor Anderson
Nel decennio che va dal 1996, anno del suo debutto cinematografico, al 2007 de "Il treno per il Darjeeling" il giovanissimo Wes Anderson si è ritrovato da promessa del cinema underground a punto di riferimento del post-cinema degli anni duemila. In che modo? Rimescolando la corrente della Nouvelle Vague (Truffaut e Renoir su tutti) con la letteratura di Salinger. Ecco che allora la fiaba si scontra con la realtà e un'atmosfera grottescamente affabile fronteggia un'inguaribile malinconia. "I Tenembaum" ne sono la prova lampante ma non quella più significativa. Perché il capolavoro, appena sfiorato, arriverà nel 2009 con la mirabolante creazione animata di "Fantastic Mr. Fox" (tratta dal romanzo di Roald Dahl, "Furbo, il signor Volpe") dove l'estro del regista si sposa alla perfezione con il suo modo di fare (e pensare) il cinema, trasformando altresì gli schemi canonici delle major in un personalissimo e originalissimo concept d'animazione per grandi e piccoli. Forte del successo hollywoodiano e della nutrita schiera di adulatori, Anderson ha proseguito con il cinema di finzione, senza infondere però la stessa freschezza degli esordi. E se provasse di nuovo con il genere d'animazione?
Matteo De Simei


2. MOONRISE KINGDOM - UNA FUGA D'AMORE (Moonrise Kingdom, 2012)
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Forma e sostanza
Anderson è più interessato alla forma che alla sostanza. Personaggi definiti dagli abiti, dai tic, dagli oggetti di cui si circondano. Il suo stile è così nitido, a partire ad esempio dalla palette cromatica, da essere riconoscibile anche quando fa un film di animazione. Visto che lo stile è fissato cosa rende un film di Anderson più o meno riuscito? Il grado con cui il soggetto scelto e lo stile si integrano. Se applicato all'incontro tra oriente e occidente, o all'esplorazione sottomarina gira un po' a vuoto. Se applicato a questioni sociali o politiche se la cava. Se si tratta di famiglie disfunzionali è ottimo. Ed è semplicemente perfetto per una storia d'amore tra due bambini/adolescenti che iniziano ad opporre la propria personalità al mondo. Quando si è così giovani che l'amore è ancora è soprattutto l'errore più geniale in cui cadere, e due persone che si amano sono sufficienti a fondare un regno.
Alberto Mazzoni

L'avventura perfetta
Tra fughe verso il cinema d'autore ed esasperazione per il proprio stile inconfondibile, il cinema di Wes Anderson trova il suo compromesso perfetto in "Moonrise Kingdom". È qui, infatti, attraverso le gesta eroiche e imprevedibili di due ragazzini innamorati, che il regista di Houston libera tutta la sua grandezza nel saper imbastire narrazioni ambiziose, così fantasmagoriche eppure lineari nella loro semplicità. "Moonrise Kingdom" è prima di tutto questo: un grande film d'avventura, dove eventi di ogni tipo, miscelati con sapienza attraverso la solita lente che deforma il reale in versione grottesca, si succedono senza soluzione di continuità. Ed è magnifico seguire le fughe, le lotte e le iniziative epiche di questi due giovani alla ricerca di una libertà di spirito agognata con tanta forza. Anderson ci regala un'emozionante avventura e il suo tocco surreale ci aiuta semplicemente a vedere ciò che di magico c'è nella vita di tutti i giorni.
Giancarlo Usai

Le Temps de l'Amour
"Io ho sempre desiderato essere orfana. I miei personaggi preferiti lo sono, credo che abbiate vite più speciali" / "Ti amo, ma tu non sai di che cosa parli". Uno scambio di battute ingenue e profondissime allo stesso tempo e poi un bacio, il primo bacio, sulle note sognanti di Françoise Hardy. Sam e Suzy sono due irresistibili outcast alle soglie dell'adolescenza, eccentrici e idiosincratici come solo i personaggi di Wes Anderson possono essere. Grazie alla caparbietà dei loro sentimenti sapranno sovvertire l'ordine sociale (la natura ne sarà partecipe testimone), costringendo gli adulti a gettare la maschera e fare i conti con il loro mondo di regole, rifiuti, barriere, indifferenza. Uno squisito racconto di formazione che si trasforma in un inno gentile e sincero all'amore. Una favola arguta e leggera di rara sensibilità, mai superficiale, che sa emozionare e divertire col suo tocco di tenera stravaganza. Sembra un gioco di bambini, ma parla al cuore degli adulti.
Stefano Guerini Rocco

Il senso di Wes per l'infanzia
"Moonrise Kingdom" è un gioiello cinematografico in cui ogni anello posa perfettamente accanto all'altro. C'è la colonna sonora di Alexandre Desplat, la compagine di attori stellari, la geometria del movimento di macchina, il gusto maniacale per la messa in scena, la ricercatezza di arredi e palette di colori. Infine, una sceneggiatura priva di sbavature e che, in ossequio alla poetica andersoniana, utilizza come fulcro narrativo quell'età dell'oro, l'infanzia, che l'autore rincorre da sempre. Il film, infatti, è un'eccentrica fiaba d'amore in cui i protagonisti sono i giovanissimi Sam e Suzy, poco più che bambini, i quali si ritrovano a fuggire dagli adulti per poter stare insieme. Una fuitina sentimentale? Non solo, perché Moonrise Kingdom riconnette ognuno di noi con la speranza: Quella di avere ancora una possibilità di fuga verso un mondo che sembra esserci scappato di mano quando abbiamo abdicato ai sentimenti per la maturità.
Francesca d'Ettorre

Prima il bacio poi l'onda
"Moonrise Kingdom" è il momento in cui sta per cominciare la notte e cala il sipario sull'innocenza. La fuga come desiderio di conoscere, come istinto passionale che ognuno di noi ha provato almeno una volta e magari rimosso. Il bambino invece non si tira indietro, il suo sogno d'amore diventa realtà e la confonde. Le prospettive, le simmetrie, la meticolosa pianificazione della fuga sono prima scosse dal bacio poi da un'onda lunga che travolge gli accampamenti e li trasforma in solida dimora.
Lorenzo Taddei

Lib(e)rarsi in fuga
Dopo l'esperimento rigenerante di "Fantastic Mr. Fox", Wes Anderson trova il quadro perfetto per il suo insopprimibile talento stilistico: una spericolata fuga di due preadolescenti ribelli e in cerca di amore, lontano dall'incomprensibile e disfunzionale mondo adulto. Girando quasi un "Pierrot le fou" ad altezza boy scout (ma i rinvii cinefili sono numerosi), quest'avventura, che accumula metanarrazioni e un originale campionario di oggettistica, sprigiona tutto il potere fascinatorio e affabulatorio del cinema andersoniano. "Moonrise Kingdom", scritto in punta di penna e baciato dall'aggraziata scelta delle musiche di Benjamin Britten, riesce in breve a farci sorridere beati per la danza liberatoria dei due ragazzi in spiaggia, o a colpirci per gli sguardi assassini che Suzy rivolge direttamente alla macchina da presa. Tra le innumerevoli scene che si librano in volo per forza emotiva, ce n'è una più mesta e grigia, che dimostra la qualità della sensibilità del regista texano: quando Sam è nella roulotte di Sharp (Bruce Willis), questi gli cucina un pasto improvvisato e parlando da "uomo a uomo", allacciano quel rapporto padre-figlio che in seno alla famiglia Wes Anderson non è mai riuscito a trovare in modo pacifico. Un magico microcosmo tascabile che ha la statura del classico.
Giuseppe Gangi


1. I TENENBAUM (The Royal Tenenbaums, 2001)
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Famiglia e familiarità
Secondo Danny Boyle, il primo film di un regista è sempre il migliore. Allievo di Bogdanovich, Wes Anderson non debutta con I Tenenbaum, ma è come se lo facesse. Il suo stile continuativo rappresentato da inquadrature frontali, carrellate laterali, zoom improvvisi, repertorio musicale anni 70, colori accesi e maniacalità nelle composizioni sceniche accompagna le tormentate vicende di una famiglia che ricorda gli Amberson wellesiani, in bilico tra commedia e melò, con un Gene Hackman perfetto per incarnarne lo spirito volubile. È la summa del suo cinema, bussola necessaria per orientarsi in una filmografia variegata: ritroviamo il declino di una famiglia (Il Treno per il Darjeeling), l'amore impossibile (Moonrise Kingdom), il desiderio di rivalsa (Fantastic Mr.Fox), la narrazione episodica (Grand Budapest Hotel), la disillusione (Le avventure acquatiche di Steve Zissou). Un cinema ricorrente animato da personaggi discontinui, eroi popolari e familiari.  
Valerio Carta

Di adulti bambini e bambini adulti
I mondi immaginari di Wes Anderson, così sgargianti, così hipster, sono trappole da cui fuggire. Nei film più recenti, anche i migliori, l'ironia non è sempre sufficiente a tenere l'autoindulgenza a debita distanza: "I Tenenbaum" resta il suo film che più amo. I mondi di Wes Anderson son gabbie di conformismo da cui evadere di corsa. Magari basterebbe un movimento a schiaffo, se non tornasse a posarsi su di un'altra inquadratura perfettamente composta. Nelle rigide geometrie, si riflettono le ipocrisie del destino farlocco che hanno creduto di assegnarci. Bambini troppo adulti, adulti troppo bambini: i primi devono riuscire a esser maturi recuperando la fantasia, i secondi rinunciando all'infantilismo. Di paradosso in paradosso, di eccentricità in eccentricità, grazie alla determinazione di uscire dal gruppo gli eroi di Wes Anderson scoprono alla fine la via giusta per crescere, e meritano di accedere a una dimensione più autentica di libertà.
Stefano Santoli

I Tenenbaum e il ruolo di un padre
Correva l'anno 2001, quando irruppe sul grande schermo una famiglia eccentrica, kitsch, bizzarra e nevrotica come quella dei Tenenbaum. "The Royal Tenenbaums" altro non è che un meraviglioso compendio del cinema di Wes Anderson: qui le componenti diventano sempre più evidenti dal tipico umorismo al modo di strutturare il racconto. L'umorismo è quello cerebrale e lieve che spesso sconfina in comicità da cinema muto. Questa ironia proviene soprattutto dai personaggi, sempre vestiti allo stesso modo e caratterizzati da una sofisticata imperturbabilità. Tale atmosfera, apparentemente leggera, è sempre legata a doppio filo alla fragilità e alle debolezze degli stessi personaggi passando spesso al dramma (in quasi ogni film di Anderson la storia si misura con una morte). La struttura del racconto, poi, è scandita da capitoli o parti e il regista texano esercita un controllo al pari della ricercatezza di ogni inquadratura, sempre ricca di particolari e rimandi (ormai un marchio di fabbrica è la ripresa frontale con carrelli in orizzontale e verticale). In ultimo, ma ben più importante, ne "I Tenenbaum" la figura del vecchio padre (Gene Hackman), che vuole ricucire con i figli, diventa simbolo della perdita o riscoperta di un padre spesso assente, tematica ricorrente nei successivi film: basti pensare all'incipit del sottovalutato "Il treno per il Darjeeling" in cui Bill Murray perde il treno, quindi un padre che non c'è più, o in "Grand Budapest Hotel" dove Ralph Fiennes assume quasi vesti paterne verso il giovane inserviente. E' uno dei temi portanti di tutta l'attuale filmografia, che ha modo di confutare chi reputa Wes Anderson un mero divertimento fine a se stesso.
Alessandro Corda