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recensione di Luca Sottimano
7.5/10

Per ammissione del suo stesso autore, "Mon Crime – La colpevole sono io", nuovo film di François Ozon, costituisce l’ultimo capitolo di una trilogia iniziata con "8 donne e un mistero" e proseguita con "Potiche – la bella statuina". Questi titoli sono infatti l’adattamento di un testo teatrale d’annata, di cui viene mantenuta l’epoca di ambientazione ma che viene riletto in chiave revisionista, ovvero evidenziando gli elementi che più parlano della contemporaneità. In questo caso si tratta dell’opera omonima scritta da Georges Berr e Louis Verneuil nel 1934.

Nella Parigi degli anni 30, Madeleine (Nadia Tereszkiewicz) e Pauline (Rebecca Marder) sono due giovani amiche coinquiline e squattrinate: la prima sogna di diventare attrice, la seconda di fare carriera come avvocato. Un giorno, Madeleine torna a casa raccontando di aver ricevuto delle avances da un produttore a cui era andata per proporsi per un ruolo, che poco dopo viene trovato morto. La ragazza viene subito accusata del delitto: dapprima si dichiara innocente, poi, su invito dell’amica, colpevole. Presentandosi come vittima di un abuso, viene infatti perdonata dalla corte e elogiata dall’opinione pubblica: la sua carriera prende così uno slancio inaspettato.

Il 22° lungometraggio del prolifico regista francese (ad appena 25 anni dal primo) si pone in primo luogo come il più riuscito della trilogia sopra citata. "8 femmes" era un’opera realizzata con un giocoso intento metacinematografico: la parata di all star femminili del cinema francese che mettevano in scena la loro immagine sul grande schermo. "Potiche" invece, nonostante presentasse comunque elementi meta (Catherine Deneuve in una fabbrica di ombrelli...) era invece più focalizzato sull’aspetto socio-politico contemporaneo: la rivalsa femminista, l’eco delle elezioni presidenziali del 2007. Il nuovo film riesce a unificare perfettamente queste due direttrici, con un approccio che, dentro la confezione da commedia, è serissimo.
In "Mon Crime", l’obiettivo del regista è riproporre atmosfere da commedia americana anni 30, da Ernst Lubitsch a Billy Wilder, a partire dalla patina luccicante d’altri tempi. Nel corso del film, alcune scene (che raccontano il re-enactment dell’assassinio, in diverse versioni) sono rappresentate in bianco e nero con cartelli da cinema muto, lasciando però emergere i segni della contemporaneità. A un certo punto, Pauline in un cinema guarda un cinegiornale che dà notizia del processo all’amica, di cui lei ha preso le difese legali. Le immagini la mostrano fare un gesto alla camera che le riprende, affinché distolga le attenzioni da loro, come è solito vedere porsi tante celebrità di oggi che, più o meno consapevolmente, sono assediate nelle loro vite private. "Mon Crime" mette così in scena una dinamica assolutamente attuale, ma rende più complessa la questione, perché le due protagoniste non sono due vittime innocenti date in pasto ai media, ma due truffatrici, che calcano l’onda dell’omicidio per aumentare la propria fama.

Ozon, dunque, parte da una posizione scomoda per compiere un discorso acutissimo: assumendo il punto di vista delle due protagoniste, parteggiando per loro, porta avanti una riflessione legittima con personaggi non esemplari. Con il loro atteggiamento, Pauline e Madeleine scoperchiano tutte le ipocrisie e le falsità che stanno dietro al femminismo di facciata, a chi si fregia dell’hashtag #Metoo ma poi si comporta diversamente. Così, l’orizzonte di Ozon è dunque femminista, ma sinceramente femminista, che non abbellisce niente né propone soluzioni edificanti, ma anzi rende più evidenti le problematiche del contesto che rappresenta. La violenza subita dalla ragazza è un fatto reale e non viene cancellato dalla sentenza del tribunale, così come lo è il sistema oppressivo presente nell’industria cinematografica: la bugia è l’unico modo per la protagonista di fare carriera. Così come il matrimonio è per lei l’unico di sopravvivere. Madeleine sembra innamorata di André, figlio di un ricco industriale che sposerà alla fine della storia, ma una scena nella vasca ci mostra che forse tra le due amiche c’è qualcosa di più, e lo sguardo rammaricato di Pauline quando l’altra le condivide i propri progetti sembra rafforzare questa ipotesi. Così come un’alleanza femminile, al di là di quella tra le due protagoniste, sembra essere possibile solo nella rappresentazione scenica. La confezione da commedia brillante si scontra con la durezza della realtà.

Ma "Mon Crime" si può leggere anche alla luce dell'intera filmografia di Ozon, che è solito ritrarre giovani figure femminili complesse e destabilizzanti. Basti pensare al celebre "Giovane e bella", dove, come nel suo ultimo lavoro, non c’era alcun giudizio morale sul prostituirsi della protagonista Isabelle, quanto invece un farsi beffe dello sguardo di chi era intorno a lei e non riusciva a comprenderla. "Perché Ozon sembra così deliziarsi nei ritratti di crudeltà, perversione e distruzione femminile? Come lui stesso dice, è un regista che semplicemente ama le donne" [1], chiosava Andrew Asibong nella sua monografia dedicata al regista, parlando delle accuse di misoginia rivolte a quest’ultimo ai tempi dei suoi esordi.
Il film a cui fa riferimento lo studioso è più precisamente il suo secondo, "Amanti criminali", che, rivisto oggi, trova un interessante parallelismo con "Mon Crime". Protagonista è la giovane Alice, che persuade il suo passivo fidanzato a uccidere Said, un compagno campione di virilità che lei falsamente accusa di aver orchestrato uno stupro di gruppo nei suoi confronti. Ad accomunare i personaggi di quest’opera e la più recente c’è il far leva sulla visione stereotipata da parte della società. Come Madeleine e Pauline sfruttano l’immagine di attrici vittime di un produttore violento, in "Amanti Criminali" "la bugia dell’abuso compiuto dai suoi amici arabi della banlieue rinchiude Said nell’immaginario sessuale di fantasia dei giovani di origine araba diffuso dai principali media francesi e dalla pornografia, che si basano su cliché razziali e stereotipi dei giovani del ghetto e delle loro attività depravate" [2].

Ma "Mon Crime" è notevole anche per come riporta a galla un’altra direttrice del cinema del regista: la questione di classe, che rintracciamo soprattutto negli esordi. Il medio "Regarde la mer" e il primo lungometraggio "Sitcom" presentavano un elemento che sovvertiva il fragile equilibrio di una famiglia borghese, portando alla luce impulsi reconditi. Nel secondo si trattava in particolare di un pasoliniano topolino che creava scompiglio nella famiglia del patriarca interpretato da François Marthouret. Il figlio Nicolas annuncia ad alta voce la sua omosessualità e inizia a organizzare orge selvagge; la madre, stanca delle poche attenzioni del marito, tenta di sedurre Nicolas per “curarlo” dal suo orientamento. La figlia Sophie comincia a praticare il sadomasochismo sul suo fidanzato David. Anche in "Mon Crime" c’è un elemento di rottura, che questa volta non è però più estraneo, ma è incarnato dalle stesse protagoniste. Con la differenza che se l'Isabelle di "Giovane e bella" era l’esemplare del carattere sfuggente e imperscrutabile di certi personaggi femminili ozoniani (come proprio l’Alice di "Amanti criminali"), ad animare Madeleine ci sono chiari obiettivi.

Dopo l’ottimo "Frantz", Ozon, nel suo continuo sperimentare generi e stili, sembrava un po’ essersi perso, come testimoniava anche il recentissimo "Peter Von Kant". Così "Mon Crime", rappresentando un apice della sua intera carriera, ne costituisce un nuovo e significativo slancio, in attesa di vedere su quali altri lidi approderà il suo percorso.

[1] Andrew Asibong, François Ozon, Manchester University Press, Manchester, 2008, pag. 63
[2] Asibong, cit., pag. 61


28/05/2023

Cast e credits

cast:
Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon


regia:
François Ozon


titolo originale:
Mon Crime


distribuzione:
Bim


durata:
102'


produzione:
Mandarin Cinéma, FOZ, Scope Pictures


sceneggiatura:
François Ozon


fotografia:
Manuel Dacosse


scenografie:
Jean Rabasse


montaggio:
Laure Gardette


costumi:
Pascaline Chavanne


musiche:
Philippe Rombi


Trama
Nella Parigi degli anni Trenta, Madeleine, un’attrice giovane e bella ma priva di denaro e senza talento, viene accusata dell’omicidio di un famoso produttore. Con l’aiuto dell’amica Pauline, giovane avvocata disoccupata, viene assolta per legittima difesa. Per Madeleine comincia così una vita di fama e successo, finché la verità non viene a galla.
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