Il cinema di François Ozon riflette la natura imprevedibile e cangiante del suo autore e, nel corso dei suoi sedici lungometraggi (per non dire di cortometraggi, medi ed episodi di opere collettive), il regista francese si è assai divertito ad assecondare questa sua inclinazione, cambiando genere più e più volte, passando dal giallo ("Swimming Pool") alla commedia ("Potiche") al musical ("8 donne e un mistero"), dal dramma bergmaniano ("CinquePerDue") al tema, più battuto, che riguarda l'elaborazione del lutto ("Sotto la sabbia", "Il tempo che resta", "Il rifugio"), fino a vere e proprie fantasie d'autore che sono ad oggi la massima espressione della sua vitalità artistica ("Ricky - Una storia d'amore e libertà"). Eppure, ci si accosta a ogni nuovo lavoro di Ozon con un misto di curiosità e sospetto: sebbene sia ammirevole l'impegno costante al fine di evitare di ripetersi, i risultati sono talvolta diseguali, anche all'interno dello stesso film.
"Frantz", seppur riprendendo leitmotiv peculiari del suo mondo autoriale, aggiunge un nuovo tassello a tale percorso di continua reinvenzione. Ispirato alla pièce di Maurice Rostand, da cui Ernst Lubitsch trasse "Broken Lullaby", "Frantz" è ambientato nel 1919, all'indomani della fine della Grande Guerra e mette sotto la lente d'ingrandimento l'eredità da essa lasciata, ossia il vuoto di una generazione morta in trincea e le ferite fisiche e psichiche di chi è invece riuscito a sopravvivere.
In un villaggio tedesco, in cui molti figli sono morti combattendo, i padri rimasti e i reduci si riuniscono covando quell'odio e quello spirito revanscista che avrebbe spianato la strada all'avvento del nazional socialismo di Hitler. I coniugi Hoffmaister, e in particolare l'anziano Hans, medico del paese, cercano di tornare alla normalità, grazie anche alla vicinanza di Anna, promessa sposa del figlio scomparso, che abita con loro. Un giorno, proprio Anna si accorge che sulla tomba del fidanzato sono stati posti dei fiori: secondo il custode del cimitero, un francese era venuto a porgere l'omaggio al defunto. Sa che il padre di Frantz detesterebbe conoscere un francese, possibile assassino di suo figlio, ma cede alla curiosità della signora Hoffmester dopo che questo giovane uomo di nome Adrien Rivoire viene cacciato dalla casa dove si era educatamente presentato: così, lo invita nuovamente nella dimora degli Hoffmaister. Da qui nascerà una frequentazione emotivamente provante e non priva di qualche sfumatura ambigua...
Ozon mette bene in mostra come la diffidenza e l'odio reciproco tra Francia e Germania non si dileguò con la cessazione delle ostilità, ma proseguì prima con le condizioni a cui fu costretto il popolo tedesco e, quasi di conseguenza, con la Seconda Guerra Mondiale. Ma "Frantz", per quanto sia un film pacifista, non si concentra veramente sulla guerra ma la usa quale strumento di scandaglio dell'anima, come evento-limite di fronte al quale le reazioni si fanno estreme, al pari delle traiettorie umane di chi, sopravvissuto, è costretto a fare ritorno alla vita. A tal proposito, è essenziale anche la scelta cromatica del bianco e nero che per Ozon equivale sia ai film che raccontano la Grande Guerra, sia ai colori del lutto; il colore viene utilizzato per i ricordi ante-guerra, oppure, per i rari momenti di élain vital immersi nella natura.[1]
Il mistero intorno a cui ruota almeno la prima parte del film è l'identità di Adrien e il suo rapporto con Frantz: è sottile Ozon nel far scivolare le asserzioni del giovane che, alla domanda di Anna, la quale chiedeva se fosse un amico dei tempi parigini del caduto in guerra, risponde affermativamente, iniziando a raccontare prima a lei e poi alla famiglia svariati aneddoti, caldi ricordi fotografati a colori. L'efficacia registica, ancor prima che scrittoria, consta nel filmare queste brevi scene con una delicatezza e un impaccio che non possono non anelare verso la categoria queer a cui l'autore di "Una nuova amica" appartiene senza tema da sempre. Sarebbe logico, inoltre, che il reduce francese, che ha percorso centinaia di chilometri per piangere alla tomba di un ragazzo tedesco conosciuto anni prima, e che vediamo con lui suonare il violino o ballare imbarazzato con altre donne, ne sia stato in realtà l'amante. Una volta condotto per mano lo spettatore verso tale conclusione, Ozon opta per un'altra via, piazzando a ogni turning point di sceneggiatura dei piccoli colpi di scena che, in fin dei conti, non sconvolgono la struttura drammaturgica della narrazione ma che, nell'insieme, compongono una meditazione sulla sublime/infernale arte della menzogna. La natura meta-cinematografica della riflessione è soggiogata dalla forma, interamente costruita su un découpage classico, nella cui limpida trasparenza Ozon s'immerge non avendo nemmeno paura della calligrafia.
Se questo è il quadro, è necessario andare a spigolare tra luci e ombre, oltrepassando la prima impressione. Infatti, i capovolgimenti di fronte sul piano della narrazione potrebbero indurre in una certa delusione, poiché la realtà immaginata supera in eccitazione e trasgressione la verità;[2] ed è proprio tale assioma, fondamento della Settima arte, che Ozon è deciso a ribadire.
"Frantz" è dunque un'opera in cui si inseguono due fantasmi: quello della verità e quello di Frantz stesso. La morte del ragazzo tedesco è, secondo Adrien, la sua unica vera cicatrice: lo stesso Adrien che, dopo aver nuotato nel fiume, seduce col suo corpo seminudo Anna mostrandole le stimmate della guerra. Questo momento idilliaco, che non a caso inizia a svolgersi a colori, evidenzia un'altra questione cara al cinema del francese, cioè la trasmigrabilità dei generi: è infatti un uomo, fino a quel momento piuttosto femminizzato nella caratterizzazione, che uscendo dalle acque si mostra a una donna, seducendola. Ma da Adrien sono rapiti gradualmente anche i genitori di Frantz, che rivedono nella sensibilità e nell'emotività del francese il loro adorato figliolo e, a tale scopo, continuano ad accoglierlo a casa, spingendolo a raccontare dei tempi di Parigi, o invitandolo a suonare il violino del defunto. A tutti gli effetti, la presenza nella borghese dimora degli Hoffmaister di Adrien equivale all'evocazione di un fantasma, inseguito innanzitutto dal giovane francese che, roso dai dubbi e dai sensi di colpa, lo sussume in sé. Quasi di conseguenza, sia i genitori di Frantz che Anna se ne innamorano e la ragazza decide di partire alla volta della capitale francese, per scoprire che fine abbia fatto il nuovo amico di famiglia. Come nel "Rifugio" e come in "Una nuova amica", chi muore non cessa semplicemente di esistere ma diventa l'invisibile punto di convergenza di un nuovo rapporto: è la reinvenzione di eros e thanatos che Ozon sta compiendo da ormai molti anni a questa parte e che in "Frantz" trova probabilmente la sua sublimazione.
Nella seconda parte si assiste a un rovesciamento della prospettiva e la ragazza tedesca diventa la straniera in terra di Francia, ripercorrendo con esiti e tappe diverse lo stesso percorso di Adrien: gli sguardi di sottecchi delle persone, l'ospedale per veterani di guerra al posto del cimitero, la casa e la di lui madre, infine il concertino improvvisato e il mancamento che aveva colpito il giovane francese dagli Hoffmaister. È Anna, adesso, a inseguire un fantasma, rielaborazione mentale sulla scorta della sua idea di Adrien - il quale, in una scena simbolica, specchiandosi, vedeva riflesso il volto Frantz. La chiusura del film, al Louvre e di fronte al "Suicidio" di Manet, conclude l'arco narrativo e la parabola di Anna lasciando un'unica ineludibile verità: la morte o la sua esorcizzazione sono forme che possono liberare la vita. E il cinema contempla in sé entrambi gli stati. L'arte di Ozon, uscita dalle pastoie di giochi metanarrativi e ricognizioni inconcludenti sui medesimi temi, raggiunge ora uno dei suoi vertici.
[1] In alcuni momenti pare che Ozon omaggi l'"Heimat" di Edgar Reitz, sebbene abbia dichiarato che il suo punto di riferimento per la scelta del b&n sia stato "Il nastro bianco" di Michael Haneke.
[2] Come vedremo, ciò è vero fino all'ultima e non risolutiva sequenza: Anna contempla il quadro preferito da Frantz (secondo Adrien!), "Il suicidio" di Manet, mentre fuori campo viene letta la lettera spedita agli Hoffmaister, in cui si racconta di una quotidianità che l'immagine smentisce. Un ragazzo seduto vicino a lei chiede se le piaccia il dipinto e Anna, enigmaticamente, asserisce che le fa venire voglia di vivere.
cast:
Paula Beer, Pierre Niney, Ernst Stötzner, Marie Gruber, Anton von Lucke, Cyrielle Clair, Alice de Lencquesaing
regia:
François Ozon
distribuzione:
Academy Two
durata:
113'
produzione:
Mandarin Cinéma, X-Filme Creative Pool
sceneggiatura:
François Ozon
fotografia:
Pascal Marti
scenografie:
Michel Barthélémy
montaggio:
Laure Gardette
costumi:
Pascaline Chavanne
musiche:
Philippe Rombi