Realismo sociale alla francese. L'assistente sociale e una madre oppressa dalla soffocante quotidianità casalinga, divisa tra figli da accudire e un uomo che l'ha lasciata. Obblighi all'ordine del giorno e un frustrante lavoro in fabbrica. Sembrano i Dardenne, soltanto un po' addomesticati.
L'incontro con un uomo, una bruciante passione (sessuale), un figlio un po' per caso un po' per desiderio. Che nome scegliere per il bebè? A questo punto pare un ritratto di donna in territori da commedia più che da dramma umana.
Le prime poppate del neonato, un'accennata gelosia della sorellina più grande (che cambierà però comportamento e idee) e una vita famigliare tutto sommato idilliaca. Poi la mamma accusa ingiustamente il papà di aver picchiato il piccolo Ricky, che si ritrova due lividi sulle spalle.: l'uomo se ne va di casa a causa della donna.
Sembra un percorso di "normale amministrazione" di realistica vita vissuta. Un'altra piccola storia di incomprensioni famigliari da parte di un regista che in passato aveva esplorato la borghesia più che la classe operaia. Una micro-analisi sociale corretta, forse priva di sbavature ma raramente meritevole più di un qualsiasi altro progetto medio di un filone cinematografico che vede Ken Loach come padre putativo.
"Una via di mezzo tra i fratelli Dardenne e Walt Disney", dice Ozon. Walt Disney? Avete capito bene. Perché quelli di Ricky non sono ematomi, come crede inizialmente la madre, ma un qualcosa che trasforma il bimbo in un essere unico. Difficile parlare di "Ricky" senza fare i conti con il fulcro stesso della pellicola, ma affrontarlo senza una preventiva documentazione è il modo ideale per lasciarsi cullare e sorprendere dalle piccole grandi situazioni che constellano la seconda parte.
La particolarità del film risiede nella cifra stilistica adottata da Ozon: da un lato la dimensione fiabesca che fa capolino e assume connotati di primaria importanza nell'ambito narrativo, dall'altro l'impianto realistico che resta ancorato alla visione della prima parte. Un corto circuito che rende il film indecifrabile, tuttalpiù circoscrivibile alla categoria grottesca (esagerati, però, quelli che hanno tirato in ballo Luis Buñuel: troppa grazia).
"Ricky" è un Ozon meno cinefilo che altrove, fortunatamente libero da quel citazionismo talvolta tanto forsennato da saturare film di una melodrammaticità che finisce con l'affogare il prodotto (valgano per tutti due esempi di film pur diversi tra loro come "5x2 - Frammenti di una vita amorosa" e "Angel - La vita, il romanzo"). Siamo più in zone di certa narrativa fantastica (e difatti il film è stato ispirato da un racconto di Rose Tremain).
Resta da chiedersi se la lievità di questa fiaba nasconda in profondità un cuore autentico, una valenza che vada al di là dell'operina piacevole. Si può comunque affermare che, pur in un film che si presta a facili metafore (in primis sui temi di libertà e diversità) François Ozon evita il messaggio, la morale metaforica, lasciando lo spettatore un po' spiazzato, ma libero di costruirsi la propria personale interpretazione.
Certamente lontano dall'intensità di "Sotto la sabbia" (il suo miglor lungometraggio), "Ricky" si colloca comunque tra i film meritevoli di un regista da sempre tanto interessante quanto discontinuo.
cast:
Alexandra Lamy, Sergi López, Mélusine Mayance, Arthur Peyret, André Wilms
regia:
François Ozon
titolo originale:
Ricky
distribuzione:
Teodora Film
durata:
90'
produzione:
Claudie Ossard, Chris Bolzli
sceneggiatura:
François Ozon
fotografia:
Jeanne Lapoirie, AFC
scenografie:
Katia Wyszkop
montaggio:
Muriel Breton
costumi:
Pascaline Chavanne
musiche:
Philippe Rombi