Nell’ambito della sua nutrita produzione cinematografica, Francois Ozon ha dimostrato di trovarsi a proprio agio con i più disparati temi della società contemporanea e di saperli affrontare con equilibrio e originalità scevra da preconcetti o piglio censorio. "Peter von Kant" è già nel titolo una riproposizione de "Le lacrime amare di Petra von Kant", opera di Reiner Werner Fassbinder del 1972. Premesso che trattasi di un libero riadattamento, tra i due film sono maggiori le coincidenze o le divergenze?
Innanzitutto, con sottile virtuosismo il regista francese omette una parte del titolo scelto dal collega tedesco, nonostante nel proprio film le lacrime siano di gran lunga più concretamente visibili, anche grazie al ricorso insistito al primissimo piano. Più che misurarsi con il soggetto originale, l’intento di Ozon è in realtà quello di alludere a Fassbinder e prendere a pretesto una sua opera per compiere una riflessione sul rapporto tra cinema e affetti, contrapponendo successo e fama artistica a pusillanimità e solitudine. L’allusione a Fassbinder e allo status di regista è evidente per la fortissima somiglianza fisica del protagonista Peter (Denis Ménochet). Mentre ne "Le lacrime amare di Petra von Kant" la protagonista è a capo di un importante atelier della moda che si invaghisce di una giovane modella, nel film di Ozon il protagonista Peter si innamora di un attore maghrebino. Completano il sistema dei personaggi il maggiordomo Karl (speculare a Marlene, la governante di Petra) e le figure della madre e della figlia dei rispettivi protagonisti. Dietro a una sostanziale fedeltà al modello tedesco, Ozon scava in profondità nel protagonista del rapporto omoerotico maschile: mentre in Fassbinder abbiamo un Kammerspiel con al centro la contrapposizione tra gli ego femminili, in Ozon è la mascolinità di Peter ad emergere prepotentemente e con una spregiudicatezza spiazzante rispetto al rapporto poco conflittuale con madre e figlia. I dialoghi e i monologhi di Peter sono infatti intrisi di una spontaneità sconosciuta anche alle trame più audaci della sua filmografia, tanto che, ad esempio, il David di "Una nuova amica" (2014) ne risulta lontanissimo. Peter è un regista di successo che non esita a umiliare il maggiordomo, un po’ come Petra fa con Marlene. Mentre però quest’ultima è quasi sempre presente sullo sfondo dell’inquadratura e il suo mutismo è accompagnato dal costante lavoro di battitura alla macchina da scrivere, Karl ha un ruolo più attivo giacchè la sua silenziosa mimica è un implacabile commento a quanto viene agito da Peter. Allo spaccato di vita rigidamente aristocratico e snobistico di Fassbinder, da cui non vi è una sostanziale uscita, tanto che il film è girato interamente all’interno dell’appartamento-atelier, Ozon contrappone, sotto il prisma dell’ironia, la società piccolo borghese con l’apparente incurabilità delle sue paturnie, rispetto alla quale tuttavia può esistere una via d’uscita. Va notato, infatti, che l’incipit scelto da Fassbinder immette fin dal primo istante lo spettatore nell’abitazione, determinando così una sensazione di soffocamento e disagio che cresce di pari passo con il lungo minutaggio; Ozon vi entra invece dall’esterno con lento carrello in avanti, quasi a indicarci che la realtà non ha per confine il perimetro della casa. Sotto questo aspetto, la fuga di Karl non è che una conseguenza logica di quanto detto. Più in generale, Ozon conferma la sua abilità nella realizzazione di film quasi completamente in interni, anche con un minor numero di personaggi rispetto a "8 donne e un mistero" (2002).
Rimanendo al profilmico, gli elementi scenografici scelti dal regista francese, pur nella loro plausibilità (celebrazione dell’amato attraverso il progressivo riempimento delle pareti con disegni che ritraggono Amir come un novello San Sebastiano trafitto dalle frecce), sanno di parodico rispetto agli affreschi in stile rinascimentale che abbelliscono le stanze di Petra. Altro aspetto che distingue i due film è la fotografia: relativamente luminosa e con colori caldi quella di Fassbinder, bluastra, oscura, crepuscolare (non a caso soprattutto nella seconda parte) quella adottata da Ozon. Interessante appare anche la scelta dei costumi: Petra è vestita con un abbigliamento che rimanda ai personaggi femminili del mito greco, quali la "Medea" di Pierpaolo Pasolini, e che mantiene tuttavia un’aderenza molto più stringente e convincente con la tematica dell’amore tradito e del conseguente furor, mentre Peter, che pure ha un look molto curato, ha i tratti e le movenze del dandy. "Peter von Kant" abbonda di citazioni cinefile: Amir, ad esempio, data la sua origine rimanda a "La paura mangia l’anima" (1974) di Fassbinder, resoconto del legame tra un immigrato marocchino e una donna tedesca; nel ruolo della madre di Peter recita Hanna Scygulla, un tempo musa di Fassbinder. Il citazionismo può essere inoltre più indiretto, come nel caso della statuetta raffigurante la donna-robot di "Metropolis" di Fritz Lang, a quasi cento anni esatti dalla data in cui il regista tedesco aveva ambientato la sua pellicola.
Poche le pecche nel film di Ozon. Il fatto che sul piano della messinscena l’eccessiva vicinanza della macchina da presa al corpo di Peter e l’eccessiva attenzione alla sua fisicità, più che monopolizzare l’attenzione sul protagonista inficia la linea melodrammatica del racconto spingendolo sulla china del divertissement dal sapore parodico. Inoltre, in un film che nella prima parte esibisce una presenza quasi ossessiva di specchi e superfici riflettenti, quasi ad orientare e predisporre lo spettatore alla visione di un’opera incentrata sull’intimismo, sul conflitto interiore e sulla personalità scissa alle prese con tematiche esistenziali, l’eccessiva insistenza sulla corporeità può risultare contraddittoria. Si può in conclusione affermare che "Peter von Kant" si è comunque ritagliato uno spazio sufficiente per aspirare alla freschezza e all’originalità della produzione, pur restando tuttavia al di sotto delle prove migliori del regista francese.
cast:
Denis Menochet, Isabelle Adjani, Khalil Ben Gharbia, Hanna Schygulla, Stefan Crepon, Aminthe Audiard
regia:
François Ozon
titolo originale:
Peter von Kant
distribuzione:
Diaphana Distribution
durata:
85'
produzione:
Foz, France 2 Cinéma, Scope Pictures, Playtime Productions
sceneggiatura:
François Ozon, Rainer Werner Fassbinder
fotografia:
Manuel Dacosse
scenografie:
Katia Wyszkop
montaggio:
Laure Gardette
costumi:
Pascaline Chavanne
musiche:
Clément Ducol