Troverete a fine recensione le anticipazioni sui temi spoiler di "Malignant" in quanto non è la questione principale di questa riflessione sul lavoro low budget di James Wan. La questione non riguarda lo sviluppo ma i riferimenti cinematografici - galeotti sarebbero per la questione spoiler - che il regista australiano adora collezionare, sperimentando.
Tra "Aquaman" e il suo seguito, "The Lost Kingdom", in arrivo nel 2022, Wan dirige un soggetto di Ingrid Bisu, sua moglie, tornando al granuloso e sporco della triade di inizio carriera ("Saw", "Dead Silence", "Death Sentence") ma soprattutto ritrovando l’amore per il genere che il regista esprime nell’universo Conjuring.
"Malignant" inzia a spargere briciole di luoghi comuni, dalla clinica gotica resa in posticcia CG che raccoglie documentazioni su nastro di VHS, alla protagonista vessata da antefatti drammatici quando non sovrannaturali. Improvvisamente un vortice: scatta il giallo e ancora il body horror, e poi psicologie pencolanti che spuntano fungine tra le maglie di un dramma schiantato in atmosfere grottesche, comiche.
In un calderone di possibilità, la messa in scena di "Malignant" è dichiaratamente b-movie, in una resa plasticosa dell’effetto digitale e analogico, visivamente povera ma ricca di quella malcelata voglia di esumare un concetto prima che un effetto. Quello che Wan intende replicare è appunto un cinema di genere senza asperità artistiche e senza le nobilitazioni con cui aveva affabulato la materia tipicamente b-moviesh tra possessioni e sovrannaturale vario (il riferimento è in particolare ai movimenti di macchina, alla camera fissa, alla gestione degli spazi e del profilmico).
"Malignant" parrebbe uno iato nella filmografia di un regista che assume come concetto chiave il guardare l’orrore per conoscerlo ("Saw"), capirlo ("The Conjuring"), sguardo che diviene indissolubile da quello del collega sceneggiatore Leigh Whannell. Qui mostra invece voglia di sperimentare, di esplorare senza presunzioni e rivolgersi altrove rispetto al passato.
Certo "Malignant" si concede un ventaglio di possibilità per il quale tutto può essere accettato, valutato con un metro che Wan ricalibra a ogni switch: paranormale quale suggestione, gore, azione, orrore. Il regista parla di genre blender1, un miscela-generi la cui intuizione sta nel dosaggio, nel rigore di eccedere con cautela.
Il pregio di "Malignant" è in questo rimpasto sgangherato, movimento orizzontale acchiappa-generi di cui, soprattutto in un inizio ridondante, si attende la via d’uscita. Certamente diverte osservare una trama inespressiva in funzione del brioso pastiche, i cui concetti sono una concretizzazione di paure naturali davanti alle quali la medicina fa dietrofront e che non riesce ad arginare. La stessa paura della malattia nel cinema di oggi è vista dalla prospettiva di un bambino nell'imperfetto ma lodevole "Somnia" (2016) di Mike Flanagan.
Le svolte prevedibili sono perdonabili, nella misura in cui il lavoro di Wan non perda efficacia. Ancora una volta, dopo "The Conjuring - Il caso Enfield", il lavoro di Wan è descrittivo, possibilmente in maniera maggiore e, pur rimuovendo la patina di grasso hollywoodiana, "Malignant" rimane un inventariato e come tale andrebbe goduto.
Spesso "Malignant" incespica in un riadattamento accorato del cinema che intende omaggiare e che l’horror chiede (troppo spesso) di autocitare, ma appare legato da nodi laschi perché il solo divertimento lo giustifichi. Affascinante il picco estremo del finale inatteso, tardivamente goliardico in quanto per tutto il giallo "Malignant" chiede di ridere di ovvietà fin troppo asservite al didascalismo amplificato dai suoni ansiogeni del sodale Joseph Bishara e dalla riedizione elettronica di Where Is My Mind?.
Come "La donna alla finestra" di Joe Wright restituisce una soggettività autoriale sedotta da strazianti bordate di genere, filtrate con l’approccio di un regista che non inventa ma espande testi noti per ricomprenderli da prospettive altre, così prova a fare Wan con "Malignant" che però non riesce a esaltare l’immagine. Semplicemente i suoi contenuti straripano. Eppure l’efficacia tecnica del regista si vede nei consueti, esasperati movimenti di macchina e nel montaggio serrato.
Wan non ha intenzione di fare parodia sull’horror, non teorizza a là Jordan Peele, però non riesce nemmeno a spaventare ridendo come fa un "Drag Me to Hell" (2009), deprecando le possibilità del genere stesso.
Ed eccoci allo scatolone dei giocattoli di James Wan, che mette in chiaro i riferimenti, alcuni dei quali saranno quasi sicuramente degli spoiler: Dario Argento, in particolare i suoi gialli, è la dichiarata fascinazione primaria a giudicare dai close-ups su mani guantate, armate; a cui si aggiunga "Vestito per uccidere" (1980) di Brian De Palma in chiara compagnia del David Cronenberg di "Brood" (1979); infine il tema è quello del film di Romero/King "La metà oscura" (1993), ma impregnata dello humor del cinema indipendente di Frank Henenlotter in "Basket Case"/"Brain Damage" (1982 e 1988).
"Malignant" è anche, per fortuna, questione di prospettive, come nel twist finale che ci riporta al Wan che guarda. E dunque può ammaliare proprio con quel cambio di prospettiva suggerito dalla dottoressa all'ospedale psichiatrico. Troppo poco.
cast:
Annabelle Wallis, Maddie Hasson, George Young, Jacqueline McKenzie, Michole Briana White
regia:
James Wan
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
111'
produzione:
New Line Cinema, Starlight Media Inc., My Entertainment Inc., Atomic Monster Productions
sceneggiatura:
Akela Cooper
fotografia:
Michael Burgess
scenografie:
Desma Murphy
montaggio:
Kirk Morri
costumi:
Lisa Norcia
musiche:
Joseph Bishara