Una piacevole vacanza all'inferno, dopo lo stressante gigantismo produttivo della trilogia di "
Spider Man". Sostanzialmente è questo "Drag Me to Hell", sospirato ritorno all'horror di
Sam Raimi. Eppure quelli che hanno visto nell'ultimo lavoro del regista de "La casa" "solo" un omaggio-riproposizione del suo cinema degli esordi sono parzialmente nel torto. "Drag Me to Hell" è sì una pellicola horror che onora tutti i
topoi del genere (streghe, sedute spiritiche, sangue a fiotti, porte che sbattono), ma è anche filtrato attraverso la consapevolezza classica del Raimi post-"Soldi sporchi". Il viaggio all'inferno della giovane e sprovveduta Christine Brown è soprattutto una macabra parabola morale, ambientata in un mondo (gli Usa) cinico, avido e dedito ai miti del successo e dell'apparenza.
Le banche si portano via le case dei poveracci (Raimi ha realizzato il primo horror sulla crisi economica?) come succedeva in "
Spider Man 2" (basti confrontare la dolce Zia May che non riesce a pagare il mutuo con l'orripilante zingara Ganush), la gente è disposta a tutto pur di far carriera sul posto di lavoro (Christine, per dimostrarsi tenace e ottenere una promozione, nega la proroga alla zingara, Stu tenta di affabulare il capo), la protagonista rinnega il proprio passato proletario (l'infanzia in una fattoria, l'alcolismo della madre) per affascinare i genitori snob del proprio fidanzato. Se l'Ash di "Evil Dead II" e "L'armata delle tenebre" incarnava soprattutto i valori più ingenui e innocui della cultura
yankee, risultando in definitiva un simpatico "idiota", Christine è un degno mostro dell'epoca contemporanea. Ed è in questo frangente che il film convince, e diverte, di più, quando mostra le piccolezze e la disperazione della malcapitata protagonista (ben personificata dalla solare e rassicurante Alison Lohman) disposta a scendere davvero in basso pur di salvarsi la pelle (si veda l'esilarante sequenza del gattino, oppure quella della caffetteria, dove Christine vorrebbe "passare" la propria maledizione a uno sfortunato vecchietto). Altrettanto significativo il beffardo finale, che pare negare quella redenzione che il pubblico auspicava sin dall'
incipit.
La pellicola di Raimi funziona meno quando vuole suonare a tutti i costi autocitazionista e parodica. E' palese che una sequenza da cartone animato come quella dell'incudine che finisce in testa alla strega facendole saltare i bulbi oculari, voglia fare il verso a quella praticamente identica della soggettiva dell'occhio che schizza per aria de "La casa 2", e senza dubbio i fan del primo Raimi andranno in delirio, ma all'interno dell'impianto narrativo del film, francamente, pare gratuita. Lo iato tra la saga di "Evil Dead" e "Drag Me to Hell" è evidente anche nella "maturazione" della messa in scena del regista (il classicismo di "Soldi sporchi" e "Gioco d'amore" non è passato invano), meno artigianale e nervosa (qualche zoom e carellata giusto nei momenti di maggior tensione, mentre, per fortuna, gli effetti digitali sono utilizzati al minimo), più controllata e tradizionale.
Il budget è ridotto, ma Raimi ora gioca in serie A e può permettersi collaboratori di altissimo livello, dal direttore della fotografia Peter Deming (spesso al lavoro con Lynch), al compositore Christopher Young, che realizza una colonna sonora spettacolare e avvolgente, piena di cori e organi, in pieno stile Hammer.
Pur rimanendo confinato entro i limiti dell'opera "minore", "Drag Me to Hell" è un horror sanamente divertente e scacciapensieri, all'antitesi di pellicole fintamente estreme e trasgressive (da "Saw" a "
Hostel") che tanto vanno di moda oggi.
10/09/2009