Leigh Whannell è entrato con fragore nel mondo del cinema nel 2004 scrivendo il soggetto della saga horror più fortunata del nuovo millennio. A creare “Saw – L’enigmista” è stato anche il coetaneo e amico James Wan, che nel corso del decennio successivo si è segnalato a più riprese come astro nascente del genere horror (“Insidious”, “The Conjuring”). Al contrario di Wan, Whannell non ha sfruttato la scia del successo come regista e si è eclissato egregiamente nelle vesti di sceneggiatore e produttore, il più delle volte per lo stesso Wan.
Che Whannell ci sapesse fare con il mestiere del cinema, insomma, è cosa nota, anche se solo cinque anni fa ha deciso di cominciare a seguire le orme dell’amico dietro la machina da presa. L’esordio nel 2015 con il terzo capitolo della saga “Insidious” (da lui creata), ma è nel 2018 che Whannell dà sfoggio delle sue brillanti doti, scrivendo e realizzando un B-movie notevole quale “Upgrade”.
Un segno particolare di Leigh Whannell è la libertà con la quale dirige i suoi film, totalmente ideati e scritti da nessun altro se non da lui stesso. Per tale motivo un progetto come quello de “L’uomo invisibile” non avrebbe potuto che essere una rivisitazione autoriale e funzionale a distanza di centoventi anni dalla prima stesura del celebre romanzo di Wells.
La prima parte del film è preparata con meticolosa tecnica e indirizza lo spettatore verso un thriller sempre più marcato da una depalmiana suspense. La fantascienza è solo un pretesto di scrittura e le azioni della protagonista Cecilia (una più che convincente Elisabeth Moss) sono al servizio dei virtuosi e mai triviali movimenti di camera. Il ritmo accelera nella seconda metà, ma a risentirne è la scrittura, soprattutto in virtù dei molteplici percorsi che il film intraprende. La trepidazione lascia così il posto alla pura azione, a inevitabili inserti horror (specialità della casa), al dramma personale di impronta psicologica e infine al revenge movie.
“The Invisible Man” riesce però a colmare le fisiologiche lacune di una sceneggiatura coraggiosa e impervia con uno stile asciutto (ri)animato da imprevedibili coup de théâtre, così come abilmente già visto nelle saghe di “Saw” e in “Upgrade”, arricchendo l’identità del suo pensiero autoriale incentrato sulla vendetta, sullo studio delle tematiche di fantascienza e sul narcisismo patologico del nemico, elaborando altresì un paio di intelligenti appigli extratestuali: il primo, voluto, rimanda al triste quanto attuale fenomeno di stalking e di violenza sulle donne, il secondo getta luce involontariamente sulla tremenda esperienza che tutto il mondo sta vivendo da alcuni mesi contro un nemico “invisibile” che ci rende vulnerabili fisicamente ed emotivamente (una solitudine fervidamente e profeticamente descritta attraverso frequenti campi lunghi e vuoti). Un approccio al cinema di genere che guarda al passato (il già citato De Palma, Cameron, Carpenter), prendendo le dovute distanze dagli adattamenti classici di Whale e dalla morbosità del corpo di Verhoeven (ultima trasposizione di ormai vent’anni fa) ma che è scientemente messo in scena con una profonda lucidità capace di gettare luce sul presente.
La prossima tappa del sorprendente Whannell passa proprio per Carpenter. È in pre-produzione infatti il reboot di “1997: fuga da New York”. Neanche a dirlo, con la Storia del cinema non si può sbagliare, ma è anche doveroso rimarcare che gli ultimi due lavori da regista avvalorano una fiducia obiettivamente da riservare a un autore così intraprendente sulla scena del circuito di genere indipendente americano.
cast:
Elisabeth Moss, Oliver Jackson-Cohen, Storm Reid, Aldis Hodge, Harriet Dyer
regia:
Leigh Whannell
titolo originale:
The Invisible Man
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
124'
produzione:
Blumhouse Productions, Goalpost Pictures, Nervous Tick
sceneggiatura:
Leigh Whannell
fotografia:
Stefan Duscio
scenografie:
Alex Holmes
montaggio:
Andy Canny
musiche:
Benjamin Wallfisch