Trascurando per un istante valutazioni qualitative o di merito, l'esistenza di un moderno horror pack che funziona come sistema redditizio, indipendente, competitivo sul mercato e persistente nella produzione di cinema di genere, la si deve in buona parte a Jason Blum, James Wan e "Insidious". Nel 2010, anno di uscita del primo episodio, Blum ha già sbancato con "Paranormal Activity" - 15.000 dollari di budget, 193 milioni di incasso - dando forma definitiva alla metodologia (e al successo) dell'impresa Blumhouse, mentrer Wan è famoso per essere il demiurgo dell'universo "Saw". Attorno a loro orbitano i vari Oren Peli, John Leonetti, Leigh Whannell, in diversi ruoli tecnici, e sono in arrivo James DeMonaco, Mike Flanagan, Scott Derrickson, eccetera, destinati a implementare un dispositivo creativo e commerciale che in un decennio scarso ha raggiunto la quota di un marchio di fabbrica capace di mediare tra fondi da serie B e introiti da major.
Nel frattempo Wan ha accumulato credito a sufficienza per disporre di budget più elevati presso la New Line (quelli Blumhouse raramente toccano i 10 milioni di dollari) e ha messo in piedi un encomiabile franchise, ma i tratti di "The Conjuring" e delle sue filiali stanno in nuce tutti lì, nelle sintassi e nella semantica di "Insidious" - specie del secondo, coevo, "Oltre i confini del male", e non solo per la presenza di Patrick Wilson.
Wilson, Rose Byrne e prole, la famiglia Lambert vessata dagli spiriti nei primi due capitoli, non ci sono in questo terzo che si pone a mo' di prequel. Tornano invece la medium Elise, sempre col volto di Lin Shaye, e gli acchiappafantasmi Specs e Tucker, terzetto che va dunque configurandosi come pilastro della saga. A loro, non al monstrum, è dedicato lo sforzo cosmogonico di cui si incarica Leigh Whannell, che tanto vorrebbe spuntare la casella "regia" nella lista dei talenti che finora hanno segnato in positivo la sua carriera di attore e sceneggiatore. Purtroppo (per lui, per noi) non può ancora farlo, a giudicare da "Insidious 3", che paga l'ambizione da factotum esordiente di chi fin dal principio tiene le fila della storia, senza riuscire in questo caso a divincolarsi fra il potenziamento dell'arsenale horror e l'esplicita intenzione di consolidare il personaggio di Lin Shaye dotandolo di spettro emotivo e background narrativo. Whannell gli cuce addosso una piccola riflessione etica sulla responsabilità, quasi di gusto supereroico (in sostanza, se si ha la possibilità, aiutare gli altri diventa un dovere perfino a proprio scapito), il che non stona con i toni drammatici su cui muove la nuova vicenda e stona ancor meno con il taglio psicologico grossolano della caratterizzazione. Specs e Tucker mantengono invece inalterato il profilo di macchietta umoristica con il preciso compito di arieggiare il plot, mentre la famiglia resta il campo prediletto dove scatenare l'azione sovrannaturale, come se i rapporti affettivi sotto attacco fossero il costante banco di prova di uno stare al mondo (e all'altromondo). Suspense e terrore viaggiano meno nell'oggettistica e nel sonoro, specialità di Wan, e più nei movimenti di macchina (vedere la riuscitissima plongée dentro-fuori la finestra), sterrando qua e là reperti di j-horror e found footage. Al netto di uno standard estetico coerente e anzi, forse di brutalità maggiore rispetto ai predecessori, l'efficacia del film varia in base al grado di simpatia suscitato da Shaye/Elise, dato che i novelli malcapitati Quinn (figlia) e Sean (padre), e la disavventura che nasce a partire dalla loro volontà di contattare nell'aldilà l'amatissima madre-moglie deceduta, sono un MacGuffin lampante e perciò indigesto quando ruba lo spazio dei primi quaranta minuti (in un arranco di preliminari e goffa tridimensionalità) e dell'epilogo (che vorrebbe alimentarsi di un nostro improponibile coinvolgimento emotivo).
Fare le pulci agli horror di consumo in termini di caratterizzazione (ergo, sceneggiatura) è spesso un esercizio vuoto. Lo sarebbe anche ora se "Insidious 3" non presentasse un divario fra intento ed esito troppo ampio per essere colmato dalla singola scena, dall'atmosfera ereditata, dal design generale che riesce in alcuni squarci macabri notevoli. Laddove Wan nel secondo capitolo (parere personale: non soltanto il migliore ad oggi ma un bel film tout court) aveva reso giustizia a una scrittura che concentrava nell'obiettivo espressamente di genere un'orchestrazione narrativa relativamente complessa e completa di sfumature, Whannell nel terzo esita ad andare in direzione analoga, in funzione di un racconto che costituisca l'accesso fondamentale ai retroscena di una diegesi ramificata ancora da esplorare. Ma il vero problema è che si scorda di divertirsi, e ottiene così solo un'interlocutoria digressione.
cast:
Lin Shaye, Leigh Whannell, Angus Sampson, Dermot Mulroney, Stefanie Scott
regia:
Leigh Whannell
titolo originale:
Insidious: Chapter 3
distribuzione:
Sony Pictures
durata:
97'
produzione:
Jason Blum, Oren Peli, James Wan
sceneggiatura:
Leigh Whannell
fotografia:
Brian Pearson
scenografie:
Jennifer Spence
montaggio:
Timothy Alverson
musiche:
Joseph Bishara