Ondacinema

recensione di Mario Vannoni
4.5/10

È un film furbo "Blink Twice" (2024). Esordio alla regia per Zoë Kravitz, attrice (e cantante) in ascesa, già sotto i riflettori nella serie "Big Little Lies - Piccole grandi bugie" (David E. Kelley, 2017-2019) e per il suo ruolo come Catwoman in "The Batman" di Matt Reeves (2022), che si inserisce nel filone della new black comedy a tinte horror, genere di cui Jordan Peele è il principale esponente nonché maggior ispiratore. Partiamo da qui.

Fondamentalmente "Blink Twice" è la versione femminista (o forse sarebbe più corretto dire al femminile, ma ci arriviamo), deprivata di ogni carica di denuncia e manchevole di un’analisi precisa del contemporaneo di "Scappa – Get Out" (Jordan Peele, 2017). A dire il vero, l’intero impianto formale e narrativo del film di Kravitz si fonda sulla derivazione. Oltre al già citato Peele, infatti, l’ambientazione su un’isola separata dal resto del mondo richiama sia quella di "Glass Onion - Knives Out" (Rian Johnson, 2022) che quella, ancora più simile da un punto di vista geografico, di "The Menu" (Mark Mylod, 2022), al fine di restituire un microcosmo indipendente, sinonimo di libertà ma anche, mutatis mutandis, di assenza di regole, e quindi di prevaricazione, abuso e sopraffazione.

Lo schema è semplice, se non altro perché già percorso un’infinità di volte e qui ricalcato senza originalità: lo status quo eccezionale di un idillio paradisiaco viene progressivamente insediato dall’emergere di una serie di dettagli che destabilizzano le certezze – dei protagonisti e degli spettatori. O forse solo dei protagonisti. Sì, perché Kravitz gestisce male i tempi con cui rivelare gli indizi (i serpenti, il veleno, la sigaretta elettronica), non è in grado di padroneggiare l’acume narrativo che sembra millantare e citofona tutte le scelte narrative rilevanti sottovalutando l’intelligenza dello spettatore, che si trova ad anticipare i colpi di scena come il compagno di conversazione pedante che conclude le frasi al posto tuo. Le scene si accumulano ordinatamente quasi fossero i versi di un componimento poetico di scarsa pregnanza ritmica, un compitino eseguito rispettando tutte le regole del gioco, un esercizio dilettantesco che non ha nemmeno il pregio di svolgersi in esercizio di stile, didascalico sin dalle premesse e lungo tutto il suo sviluppo, un teorema dell’inerzia.

Come in "The Menu", almeno secondo chi scrive, siamo di fronte a una buona idea iniziale che si perde nell’insicurezza formale – senza particolari pecche in "Blink Twice", pur pedissequa e di mestiere, di fatto inconsistente – e nel bisogno insistente di dimostrare la veridicità della propria tesi anche a costo di forzare scelte, situazioni, circostanze, caricando elementi banali di simbolismi spropositati (caratteristica comune di certo cinema odierno, che deve mostrarsi sofisticato a tutti i costi) che debordano nel naïf e nel ridicolo (vedi il coniglietto rosso), o quanto meno nel cliché.

Tarkovskij era fermamente convinto che nel cinema andasse evitato il ricorso a quelle che lui definiva "convenzioni fittizie", ovvero tutte quelle formule, soluzioni formali e stereotipie non intrinsecamente fondate sulla specificità della forma cinema[1]: ad esempio, l’inquadratura di reazione è, secondo il regista e nella maggior parte dei casi, una convenzione inutile che si trasforma in pregiudizio; un altro esempio si ha quando un personaggio si muove nello spazio alla ricerca di qualcuno e improvvisamente, con un movimento di macchina, quel qualcuno si rivela essere dietro di lui.

Ecco, in "Blink Twice" l’utilizzo di espedienti abusati, al contrario, sembra ricercato se non perfino rivendicato quale strumento su cui costruire l’infrazione della norma. Sia chiaro, questo è un problema che riguarda molto del cinema contemporaneo, che sembra divertirsi a giocare con formule consolidate, fingendosi intelligente. Un’altra uscita di quest’estate, "Trap" (2024) di M. Night Shyamalan, ha dimostrato quanto la decostruzione dei meccanismi del thriller possa portare a una seria riflessione sul mezzo cinematografico. Ma un conto è giocare, un altro decostruire, e "Blink Twice" perde proprio sul tavolo dove era andato in all-in: la prevedibilità scenica dello smontare un ingranaggio è l’altra faccia dell’effetto sorpresa che dovrebbe derivare dallo scarto con cui la convenzione è affrontata. Di nuovo: "Blink Twice" non prende sul serio i propri spettatori.

A far da corollario a quanto detto sin qui sta l’approccio strettamente manicheo con cui la sceneggiatura – scritta a quattro mani da Kravitz con l’ausilio di E.T. Feigenbaum – è stata concepita. La storia – e l’assunto etico di cui si fa espressione – è incardinata entro uno schema che separa i personaggi in base al sesso, dove gli uomini capitanati da Channing Tatum ("Magic Mike", Steven Soderbergh, 2012, "Free Guy – Eroe per gioco", Shawn Levy, 2021, "Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna", Greg Berlanti, 2024) sono brutali, aggressori, stupratori, lupi cattivi capaci di visualizzare la controparte femminile unicamente come corpo, mentre le donne al seguito di Naomi Ackie ("Lady Macbeth", William Oldroyd, 2016, "Whitney - Una voce diventata leggenda", Kasi Lemmons, 2022) sono le spaventate prede di questo gioco al massacro[2].

L’unico personaggio che potrebbe destabilizzare quest’ordine rigido è quello interpretato da Geena Davis, ma il suo arco narrativo è risolto in maniera troppo sbrigativo per incidere davvero sull’economia del racconto. Di fatto la struttura del film è mirata a sottolineare, portandolo all’eccesso, lo squilibrio di potere vigente nella società patriarcale, un po’ come faceva "Don’t Worry Darling" (Olivia Wilde, 2022). Senza addentrarsi nelle implicazioni che una tale semplificazione della questione comporta[3], la soluzione proposta da Kravitz è quella di rovesciare il sistema vigente invertendone i presupposti: in altre parole, passando dal patriarcato al matriarcato. Come darle torto! Di fronte a un maschile così mostruoso, distruttivo e abietto, che sottomette fino alla soppressione il femminile, è impossibile non stare dalla sua parte. Ma il problema, per l’ennesima volta, sta nella semplificazione, anzi nella banalizzazione, nell’immaginare il mondo come una contrapposizione tra due schieramenti in guerra.

Angela Carter in "La passione della nuova Eva"[4] aveva mostrato chiaramente i rischi di una società matriarcale, che sono gli stessi di quella patriarcale; l’universo del romanzo è post-apocalittico, dittatoriale e oppressivo, in una parola distopico. Sostituire uno squilibrio di potere con il suo opposto non risolverà il problema – la soluzione non è dicotomica, ma chiaroscurale. Per questo "Blink Twice" è un film furbo: perché vuole amicarsi i favori di un pubblico che, esposto a una separazione così netta tra bene e male, reagisce di pancia e grida alla vittoria del femmini(smo)le. Un film populista, che con un finale facile e (auto)compiaciuto nega la ricerca della parità di diritti e promuove la prevaricazione.



[1] A. Tarkovskij, "Scolpire il tempo", Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij, Firenze, 2015, pp. 65-69.
[2] L’idea del femminile come corpo unico e unitario è espresso a livello visivo, con tutte le donne che indossano gli stessi vestiti.
[3] Di film che trattano la "questione femminile" e i rapporti di genere in modo serio se ne trovano a decine. Tra i più recenti: "Una donna promettente" (Emerald Fennell, 2020) usa la contrapposizione maschile/femminile per costruire una protagonista dai tratti quasi supereroistici, pur senza risparmiarsi un finale amaro e beffardo al tempo stesso; "L'uomo invisibile" (Leigh Whannell, 2020) rilegge il capolavoro di Whale per raccontare una storia di sopruso dove l'invisibilità diventa una questione di genere; "Furiosa - A Mad Max Saga" (George Miller, 2024) ibrida il maschile con il femminile e ne confonde i confini identitari; la trilogia "X" di Ti West ("X: A Sexy Horror Story", 2022, "Pearl", 2022, "MaXXXine", 2024) mette al centro l’affermazione identitaria ottenuta per mezzo della liberazione del corpo e attraverso il sesso; ciò accade anche in "Povere creature!" (Yorgos Lanthimos, 2023), dove il sesso è completamente deprivato della componente del possesso, e in "Challengers" (Luca Guadagnino, 2024), che ripensa i rapporti di genere attraverso un’attenzione maniacale per i corpi, vissuti, sudati, tocca(n)ti.
[4] A. Carter, "La passione della nuova Eva", Feltrinelli, Milano, 1984.


04/09/2024

Cast e credits

cast:
Naomi Ackie, Channing Tatum, Christian Slater, Simon Rex, Adria Arjona, Kyle MacLachlan, Haley Joel Osment, Geena Davis, Alia Shawkat


regia:
Zoë Kravitz


titolo originale:
Blink Twice


distribuzione:
Warner Bros.


durata:
102'


produzione:
Metro-Goldwyn-Mayer


sceneggiatura:
Zoë Kravitz, E.T. Feigenbaum


fotografia:
Adam Newport-Berra


scenografie:
Roberto Bonelli, Fátima Díaz Olivera


montaggio:
Kathryn J. Schubert


costumi:
Kiersten Hargroder


musiche:
Chanda Dancy


Trama
La cameriera Frida incontra il miliardario Slater King durante un evento di raccolta fondi. Lui la invita a unirsi alle sue amiche e ai suoi amici per una vacanza sulla sua isola privata. Quella che doveva essere un'esperienza da sogno, lentamente si trasforma in incubo.