Ondacinema

recensione di Antonio Pettierre
8.0/10

In "Trap", l'ultima opera di M. Night Shyamalan, appare tutto chiaro fin dall'inizio (persino molto anticipato nel trailer): Cooper (Josh Hartnett) un serial killer, soprannominato "Il Macellaio", perché fa a pezzi le sue vittime dopo averle tenute rinchiuse per giorni e torturate prima di ucciderle, porta la figlia dodicenne al concerto della sua popstar preferita, Lady Raven - Saleka Shyamalan, figlia maggiore del regista, cantante e autrice di molte canzoni nel film, qui alla sua prima interpretazione (dopo aver prodotto il primo film dell'altra figlia "The Watchers"). Si tratta di una trappola organizzata dall'Fbi e dalla polizia di Filadelfia avendo saputo che l'assassino è lì presente. Si assiste a un gioco di suspense all'interno del palazzetto con un meccanismo di mosse e contromosse a distanza tra la profiler dell'Fbi, la dottoressa Josephine Grant (Hayley Mills) che ha ordito l'operazione, e il serial killer. Ma, appunto, non è tutto qui. O, almeno non solo questo.

Trap(pole) visive e metaforiche

Shyamalan crea un meccanismo in cui sovrappone differenti piani visivi e tematici attraverso una sceneggiatura ben strutturata in tre atti e un epilogo: una prima parte ambientata durante il concerto; una seconda nella casa di Cooper con la famiglia e Lady Raven; una terza con una fuga e il redde rationem con la moglie (Alison Pill); un breve epilogo che lascia il finale aperto. La cura della messa in scena si evidenzia nella gestione dello spazio interno, che diventa metafora delle diverse trappole in cui i personaggi si muovono. Così se la trappola principale è sicuramente quella messa in piedi per catturare Cooper, ne abbiamo almeno altre quattro. Una è quella di Cooper nei confronti dell'ultima vittima, che tiene prigioniera e che osserva dal suo cellulare, in un gioco tra chi controlla chi e che il regista compie attraverso la messa in quadro di uno schermo (quello del telefono) all'interno dello schermo cinematografico in un gioco in cui lo sguardo dello spettatore diventa stroboscopico. Un'altra trappola è quella di Lady Raven in cui costringe Cooper tenendogli testa nella sua tana per liberare sé stessa e l'ultima vittima. Una terza è quella psicologica del "mostro": così parla Cooper della sua personalità interiore che lo spinge a uccidere e sentenzia più volte di avere "due vite", quella del serial killer e quella del buon padre di famiglia, vigile del fuoco, felicemente sposato e con due figli che lo adorano, amato dalla comunità. Cooper è intrappolato dal "mostro" che lo eterodirige come una marionetta, facendogli interpretare sempre la parte giusta al momento opportuno. E, infine, la trappola finale della moglie – che lasciamo far scoprire allo spettatore – ma che dà il collegamento a un'ulteriore chiave di lettura su un piano diverso.
Trappole fisiche, psicologiche, emotive, culturali, personali. Lo stesso concerto appare come una trappola per il giovane pubblico adorante di fronte alla popstar che è intesa come una predicatrice di una nuova religione collettiva in cui il magnetismo adorante è dato dai buoni sentimenti provocanti la performance, dalla rinascita della leader che affronta e supera problemi personali. Ancora di più se questo lo si può diffondere al pubblico più vasto possibile tramite la rete della comunità virtuale, con le migliaia di condivisioni permanenti. L'importante è apparire, esserci, essere visibili. E Cooper in questo senso è l'unico che non condivide nulla. Una matrioska di trappole che si (s)chiudono una nell'altra senza soluzione di continuità.

La sfida al patriarcato

Abbiamo citato la trappola della moglie che ci permette di sottolineare come "Trap" possa essere visto anche come uno scontro tra il femminino e il mascolino, come la liberazione della donna dalla morsa patriarcale. Del resto, Cooper ha non solo un totale controllo sulle sue vittime, ma anche sulla sua famiglia, sui figli e la moglie. Il "mostro" Cooper si mimetizza nella società, ci rivolge la parola, accompagna la figlia a un concerto, discute con la madre di una compagna della figlia, si fa ben volere dai commessi, dagli agenti, dalle persone intorno a lui. Alla fine, il "mostro" è conosciuto dalla madre fin da piccolo – e ci sono apparizioni di lei in momenti particolari, figura fantasmatica che Cooper teme – è inseguito dalla profiler, un'anziana esperta, alter ego materna; viene contrastato da Lady Raven che lo svela al mondo; è, infine, sconfitto dalla moglie.
Questa serie di donne – il fantasma della madre, l'anziana profiler, la giovane popstar, la moglie – rappresentano una femminilità combattente sotto diversi punti di vista contro un dominio di una mascolinità tossica, possessiva, manipolatrice, il cui unico piacere è dato dal controllo assoluto e totale. Tutte hanno una consapevolezza e una determinatezza nello sconfiggere il "mostro" senza indietreggiare, con pervicacia e insistenza. La moltiplicazione del femminino, la sua immanenza continua tra generazioni (la profiler, la moglie e la popstar) e persino trascendente (la madre morta) ne fanno una riaffermazione di un potere salvifico contro il "mostro" nascosto in ognuno di noi.

Ancora (nuovi) sguardi

Shyamalan in "Trap" riprende il gioco di sguardi e di messa in quadro che appariva già in altre sue pellicole precedenti, come in "The Visit" e "Glass". Abbiamo già detto dell'utilizzo del cellulare da parte di Cooper, che prova piacere a controllare le sue vittime. Ma c'è un discorso su ciò che la piazza virtuale, lo sguardo globale, conduce e provoca: da un lato, l'immersione in un "corpo sociale", quello del pubblico di preadolescenti adoranti di Lady Raven, che annulla di fatto ogni individualità per poi riaffermarla nel momento di essere scelti per salire sul palco; dall'altro, come spazio di salvezza nel momento in cui Lady Raven lancia l'appello ai suoi follower per trovare la casa dove è prigioniera l'ultima vittima di Cooper. Un'ambiguità dello sguardo irrisolta (e irrisolvibile) che Shyamalan esprime oltre che con primi piani (stilemi del suo cinema) anche con movimenti sinuosi della macchina da presa, in particolare all'interno del concerto, e con split screen impliciti, costruiti attraverso una messa in quadro che si avvale di profondità di campo e utilizza le cornici fornite dalle porte dei camerini, dei bagni, dei vari locali del palazzetto, citando Brian De Palma e il suo "Omicidio in diretta" dove si assisteva a un attentato proprio durante un incontro di boxe all'interno di un edificio.
Shyamalan quindi compie uno scarto in avanti, rielaborando sé stesso e il cinema di altri. Anche l'utilizzo della soggettiva dello sguardo di Cooper rientra in questo processo: la sua pulsione scopica gli provoca un piacere continuo e una capacità di comprensione della realtà fuori dal comune. In questo senso, dobbiamo sottolineare la grande prova interpretativa di Josh Hartnett (forse la migliore in assoluto a nostra memoria) che riesce a lavorare in sottrazione e con micromovimenti facciali – le palpebre che vibrano, le sopracciglia mobili, le labbra che si serrano o si aprono in sorrisi-sogghigni – resi esplosivi dai primi piani a cui Shyamalan lo sottopone, che ricordano per bravura e intensità quelli di Anthony Hopkins per Hannibal Lecter de "Il silenzio degli innocenti". E che conferma Shyamalan come un grande direttore di attori e attrici, capace di ottenere sempre il meglio dalle performance dei suoi interpreti.


09/08/2024

Cast e credits

cast:
Josh Hartnett, Ariel Donoghue, Saleka Shyamalan, Hayley Mills, Alison Pill


regia:
M. Night Shyamalan


titolo originale:
Trap


distribuzione:
Warner Bros. Italia


durata:
105'


produzione:
Warner Bros. Pictures, Blinding Edge Pictures


sceneggiatura:
M. Night Shyamalan


fotografia:
Sayombhu Mukdeeprom


scenografie:
Debbie DeVilla, Brittany Morrison


montaggio:
Noëmi Preiswerk


costumi:
Caroline Duncan


musiche:
Herdís Stefánsdóttir


Trama
Il vigile del fuoco Cooper accompagna sua figlia dodicenne al concerto della pop star Lady Raven. Sembra un normale evento, in realtà è stata organizzata un’enorme trappola per catturare proprio lui perché l’uomo conduce una doppia vita come serial killer conosciuto come "II Macellaio".