Sopravvissuta al massacro di "X", Maxine (Mia Goth) è a Hollywood, dove cerca di passare dal cinema porno al cinema "vero". L'occasione arriva con "The Puritan II", sequel del brillante esordio horror di Elizabeth Bender (una statuaria Elizabeth Debicki), regista cruda, spietata, radicale. Ma anche quando hai chiuso col passato, non è detto che il passato abbia chiuso con te: un lurido poliziotto privato (Kevin Bacon), con i denti d'oro e la faccia trapunta di cerotti alla John Gittes (il Jack Nicholson di "Chinatown"), minaccia di farle perdere il lavoro se non farà questo e quello. Nel frattempo un misterioso serial-killer le fa il vuoto intorno e due agenti della omicidi (una granitica Michelle Monaghan e un johnnybravesco Bobby Cannavale) cominciano a indagare. In tutto questo l'agente di Maxine, che è pure il suo avvocato (un Giancarlo Esposito à-la Saul Goodman), cerca disperatamente di far rientrare i buoi nella stalla. È nata una stella.
Come un gatto sornione Ti West gioca con il gomitolo della storia, tira i fili, li disfa e li riallaccia, perdendoli ogni tanto. Sin dall'esordio il plot non è il centro del suo cinema bensì un pretesto per parlare d'altro. Le hit degli Eighties, le interviste di Reagan, gli split screen, le wipe transition si offrono come reperti per un'archeologia cinefila orientata in parte a commentare criticamente e in parte a lasciarsi sedurre dal suo oggetto d'indagine, la decade d'oro del Novecento, gli anni 80. Ci sono lo Schrader di "Hardcore", il Ferrara di "Ms. 45" e tanti altri, ma il nume tutelare è sicuramente Brian De Palma, non solo per il suo tentativo di scritturare la pornostar Annette Haven in "Body Double" (1984), ma anche per gli ammiccanti piani sequenza, la materialità del cuoio che fa squeak, del gesso che cola, del corpo femminile che si flette, e soprattutto l'idea che la violenza venga innescata dallo sguardo.
Non quello perverso e penetrante del voyeur, ma quello negato e negativizzante di un pubblico che si nega. Tema attualissimo in questa epoca social di quindici minuti di celebrità (ormai sempre più quindici secondi). Gli sconfitti – il finto Buster Keaton, detective Labat, detective Torres, il killer misterioso – sono altrettanti Narcisi a cui lo specchio dorato di Hollywood non restituisce alcuno sguardo, frustrati nella loro smania di riconoscimento. La stessa smania di Maxine che però, grazie a una furba combinazione di virtù tipicamente americane (hard work e self-reliance), realizza un'ascesa letterale dalle stalle (la prima inquadratura di "X") alle stelle dello star-system losangelino, perfezionata dopo i titoli di coda. In questo, "MaXXXine" si rivela in fondo meno rivoluzionario e più cerchiobottista di quanto vorrebbe far credere.
Hollywood è scagionata, nessuna satira alla "Barton Fink"; per Ti West il cinema è come il potere secondo Andreotti, logora soltanto chi non ce l'ha. Proteste e cartelloni sullo sfondo rimandano a un tradizionalismo più in auge ora, sotto lo stendardo del Trumpismo, che nei rampanti anni 80. Agganci facili, ma efficaci: Ti West denuncia l'ipocrisia di chi denuncia il cinema di genere e ogni genere di cinema, realizzando nel contempo un'accorata apologia di Hollywood che si regge sulla celebrazione delle sue virtù salvifiche. Non a caso la sfida rusticana tra Maxine e Labat, cominciata su un set western, si sviluppa in una corsa cieca tra le quinte come i romanzi gialli di Ray Bradbury per terminare ai piedi della villa Bates di "Psyco"; potere immenso del cinema che malgrado il sangue e la violenza, attraverso la materialità di set e cineprese, trasfigura i suoi interpreti nella dimensione astratta e anacronistica degli idoli – eidola, simulacri appunto, specchi, fantasmi, portenti, immagini mostruose come gli scroti spiaccicati, i corpi ricoperti di gesso, gli occhi infilzati dai crocefissi, per tornare alla citazione di Bette Davis in apertura: "Finché non ti conoscono come un mostro, non sei una star".
Al netto dell'ironia che lo anima, della nostalgia che lo pervade e del cast stellare, "MaXXXine" è soprattutto questo, una teogonia moderna: racconto della genesi mostruosa di quegli déi senza religione che sono le star e di noi adoratori cinefili che in essi amiamo innanzitutto la mostruosità.
cast:
Mia Goth, Giancarlo Esposito, Kevin Bacon, Elizabeth Debicki, Moses Sumney, Michelle Monaghan, Bobby Cannavale, Halsey
regia:
Ti West
titolo originale:
MaXXXine
distribuzione:
Universal Pictures, Lucky Red
durata:
103'
produzione:
Little Lamb, Mad Solar
sceneggiatura:
Ti West
fotografia:
Eliot Rockett
scenografie:
Jason Kisvarday
montaggio:
Ti West
costumi:
Mari-An Ceo
musiche:
Tyler Bates