Costruzione di un'opera filmica
Dopo la grande produzione con "Intrigo internazionale", Alfred Hitchcock stava cercando un nuovo soggetto per il suo prossimo film. Lo trova leggendo il supplemento letterario del New York Times che recensiva il romanzo di Robert Bloch "Psycho" su un serial killer psicopatico gestore di un motel. Hitchcock presenta il progetto alla Paramount con cui era sotto contratto per un ultimo film, prima di passare alla Universal. Il soggetto viene rifiutato perché ritenuto troppo violento e contrario alla morale, ma Hitchcock stizzito e che non tollerava rifiuti alle sue idee, propone di produrlo direttamente con la sua casa di produzione Shamley Productions (che nel frattempo si era già trasferita negli studi della Universal), se la Paramount si faceva carico della distribuzione.
Così inizia l'avventura di "Psyco", film girato interamente alla Universal, ma distribuito da un'altra grande major hollywoodiana, con un basso budget (meno di un milione di dollari) e girato in trenta giorni come un b-movie. Per attuare questa idea, Hitchcock, che all'epoca lavorava alla serie televisiva "Hitchcock presenta" con grande successo, prende un'intera troupe televisiva di un episodio e la porta sul set per girare il suo nuovo film. Il regista inglese crede molto nel progetto e pensa che "Psyco" avrebbe cambiato anche il modo di vedere un film. Dopo un primo trattamento di cui non è soddisfatto, di James P. Cavanagh, che licenzia quasi subito, ingaggia il giovane sceneggiatore Joseph Stefano che, riducendo il romanzo di Bloch, trasforma il personaggio di Norman Bates da un uomo grasso, calvo, basso e con gli occhiali, in un giovane nervoso e affascinante, impregnandolo di tematiche freudiane (all'epoca Stefano è in analisi e conosce bene la materia psicoanalitica che affascina Hitchcock). Dopo cinque revisioni del trattamento discusse con il regista, Stefano consegna una prima versione della sceneggiatura che soddisfa pienamente le aspettative del Maestro, diventando in pratica quella definitiva.
La scelta del protagonista Norman Bates cade subito su Anthony Perkins, mentre quella di Marion Crane, la vittima di Bates e personaggio principale della prima parte del film, è assegnata a Janet Leigh che accetta subito la proposta pur di lavorare con Hitchcock, sapendo che il personaggio sarebbe scomparso dopo un terzo della storia. Il regista ha ancora un contratto con Vera Miles (con cui si era arrabbiato perché aveva pensato a lei come protagonista di "Vertigo", ma l'attrice rifiutò perché incinta) e la ingaggia per il personaggio della sorella di Marion, Lila. Per il ruolo del fidanzato di Marion, Sam Loomis, gli propongono il giovane John Gavin (Hitchcock in seguito si pente della scelta per la legnosità della recitazione dell'attore, in particolare nelle scene iniziali con la Leigh, a cui chiede esplicitamente di prendere in mano la situazione), mentre per il detective Arbogast scrittura un grande caratterista come Martin Balsam. Per mantenere la suspense e lanciare il film, Hitchcock impone la segretezza a tutta la troupe e al cast e proibisce l'entrata al set. In più continua a dire che sta cercando un'attrice per il ruolo della madre di Bates, ricevendo numerose proposte da agenti per quel ruolo. La campagna pubblicitaria e di marketing, per aumentare l'interesse intorno alla pellicola, continua con la proibizione di entrare in sala a proiezione iniziata (fatto unico per quell'epoca), con l'obbligo di non parlare del film. La Paramount acconsente, anche grazie alla disponibilità dei direttori dei cinema, che fiutano l'affare, e infatti, in parecchi cinegiornali dell'epoca, si vedono code infinite di un pubblico che brama di entrare a vedere il film dell'"orrore" del maestro del Brivido che in prima persona si spende per la pubblicità. Ovviamente "Psyco" diventa immediatamente un grande successo di pubblico; al contrario, la critica lo massacra, proprio per l'ostracismo di Hitchcock nel rilasciare qualsiasi indizio e costringere i giornalisti a vedere la pellicola nelle proiezioni pubbliche. Gli stessi critici che poi anni dopo dichiarano "Psyco" come uno dei migliori film del Maestro.
Detour e meccanismi diegetici
Ma perché questo mistero? Proprio per la tematica trattata da "Psyco": Norman Bates è uno psicopatico con doppia personalità, che gestisce un remoto e isolato motel, con la madre morta che tiene imbalsamata nella casa dietro il motel. Ma il film inizia in un momento preciso a Phoenix, Arizona, nel primo pomeriggio, in una stanza di un motel a ore, dove assistiamo a un incontro passionale tra Marion e il suo amante Sam (divorziato e pieno di debiti, che vorrebbe sposare Marion ma non può per motivi economici). Sam vive in California e si vedono solo in rare occasioni. Marion lavora presso un'agenzia immobiliare e proprio quello stesso venerdì prende in carico una somma in contanti di quarantamila dollari, per l'acquisto di una casa da parte di un cliente, ma invece di portarli in banca, come gli chiede il proprietario dell'agenzia, scappa verso la California con i soldi nella pazza idea di consegnarli a Sam. Durante il lungo viaggio si ferma al motel di Bates, incappata in un improvviso temporale, per passarvi la notte. E qui, dopo il primo approccio con Norman e la vista da lontano della madre malata, Marion viene uccisa, nella celeberrima scena della doccia, dalla donna pazza di gelosia. In questo momento, dopo appena un terzo della pellicola, la supposta protagonista scompare e diventa personaggio principale Norman con le sue manie, tic nervosi e il suo rapporto malato con la madre, che non vedremo se non in lontananza e sentiremo la sua voce distintamente, ma in modalità mai diretta. "Psyco" compie il primo detour, con un cambiamento di trama di centottanta gradi: da un dramma a tre (Marion divisa tra Sam e Norman), con la storia di un furto, a un assassinio da parte di una donna malata invisibile, rinchiusa in un motel sperduto, in un horror-thriller, con lo sviluppo di un'inchiesta che coinvolge sia la sorella Lila che il fidanzato Sam e l'investigatore privato Arbogast alla ricerca di Marion fuggita con il denaro. Il secondo detour (più sottile, più subliminale) lo abbiamo con l'indagine di Arbogast, che finisce per essere ucciso dalla madre, e con l'inchiesta continuata, nella parte finale di "Psyco", da Lila e Sam che scoprono la verità con il finale, dove si vede che Norman e la madre sono la stessa persona.
È lapalissiana la necessità, per mantenere intatto il meccanismo a orologeria costruito da Stefano e da Hitchcock, di vedere il film dall'inizio per l'inusuale e rivoluzionario sviluppo e per la costruzione diegetica, dove la suspense è data anche dalla surprise, in momenti precisi durante lo svolgimento della narrazione.
La madre, il doppio e la sua moltiplicazione
Il tema psicoanalitico freudiano è l'aspetto determinante di "Psyco", e tutta la tematica la dobbiamo allo sceneggiatore Stefano, a cui, come abbiamo detto, Hitchcock affascinava e interessava molto. In questo caso il rapporto, intuitivamente incestuoso, tra Norman e la madre è definito nella sua gelosia e nel dialogo che Norman ha con Marion, nel salottino dietro la reception del motel, mentre la donna mangia un pasto frugale. La doppia personalità di Norman, l'assorbimento della personalità della madre, diventa totale possessione dell'oggetto amato. Si scoprirà che il suicidio-omicidio di lei e del compagno è in realtà un duplice omicidio compiuto da Norman, che fin da piccolo aveva un attaccamento morboso dopo che il padre li aveva abbandonati. Norman vive in un conflitto perenne, dove le due personalità prendono il sopravvento uno sull'altra. E il risveglio di interesse per un'altra donna, fa scoppiare la gelosia assassina della madre-norman che deve eliminare fisicamente l'oggetto del desiderio. Ma la figura della madre in ottica freudiana, come soggetto occlusivo della personalità dei personaggi e nella modifica dei loro atteggiamenti, lo avvertiamo anche nei dialoghi tra Marion e Sam: la donna parla della foto della madre sul caminetto, mentre discute sul possibile invito di Sam a casa propria; così come la collega di Marion dell'agenzia (interpretata dalla figlia di Hitchcock, Pat) parla della madre che la consiglia e la controlla nel rapporto con il marito. La figura materna viene moltiplicata, si espande, si allarga, si incista, non solo nella psicopatologia di Norman, ma è una costante intradiegetica sempre presente in tutti i personaggi della storia. Potremmo dire che lo scontro tra Norman e Marion è tra due figure-madri che cercano di difendere la propria prole, al di là della vita terrena, introiettate nell'inconscio dei personaggi, dove per Bates essa prende vita, forma, si iconizza, persino nell'abbigliamento e nel trucco, fuoriuscendo dalla cornice fotografica. La moltiplicazione della figura materna, il troppo amore, porta alla (auto)distruzione dei personaggi e il conflitto, con relativa nascita di nevrosi e psicopatologie, diventa tema di un tentativo di uscire da una trappola mentale in cui, sia Marion sia Norman, sono caduti. In modalità extradiegetica del resto, la madre-norman non la vedremo mai chiaramente, nascosta dalle ombre dell'inconscio, in un incubo racchiuso nel nero della memoria. Del resto, stilisticamente, Hitchcock lascia un paio di indizi sulla vera natura della madre-norman. Quando viene ucciso Arbogast all'interno della casa, la prima pugnalata avviene sul pianerottolo del primo piano: con un'inquadratura plongée vediamo la madre che attacca Arbogast; la stessa identica inquadratura l'abbiamo quando Norman trasporta la madre in braccio in cantina per nasconderla. Se nella prima si assiste alla fusione iconica, nella seconda si assiste al raddoppio dei corpi, tra quello di Norman e quello della madre, ma il linguaggio cinematografico usato ti parla di morte e quindi si può supporre che la madre non sia viva e che Norman e la madre siano uniti nella mente di un unico corpo. L'altro indizio lo abbiamo con gli uccelli impagliati nel salottino del motel di Norman: la tassidermia è più di un hobby, come lo stesso Norman afferma: è una ragione di tempo, di vita, di passione. Del resto lui non potrebbe mai impagliare i mammiferi, ma con l'aiuto degli uccelli (trasportatori di anime nell'Aldilà) può mummificare il corpo della madre per averne sempre a fianco la presenza corporea. La messa in quadro utilizzata da Hitchcock anche qui è particolare: primo piano di Bates (in un campo-controcampo con Marion) leggermente asimmetrico, con focale larga e inquadratura dal basso, che fanno apparire gli uccelli impagliati sovrastanti la testa di Norman, come se fossero appollaiati, escrescenze che escono dalla sua mente. Lo spettatore attento intuisce quindi da questi indizi lasciati da Hitchcock che la madre di Norman è morta e che siamo di fronte a un pericoloso psicopatico, ancor prima del finale a sorpresa. Questo non per sminuirne l'opera, ma anzi per sottolineare la bravura di un autore che vuol far divertire il pubblico, spaventarlo, risvegliare sopiti fastidi inconsci, farlo partecipare attivamente alla visione filmica, renderlo co-protagonista della storia insieme a Sam, a Lila, ad Arbogast, nella ricerca della verità che è di fronte a noi per tutta la durata filmica, fin dal primo incontro tra Norman e Marion.
Scontro tra Eros e Thanatos
La pulsione scopica richiesta al pubblico da parte di Hitchcock viene confermata anche dai personaggi di "Psyco" che osservano e pensano di vedere, ma in realtà non sempre quello che vedono è la verità della visione. E viene introdotto una secondo tema forte del film, con una esplicitazione del linguaggio cinematografico hitchcockiano che si può esemplificare in almeno tre scene significative. Fin dai titoli di testa (curati da Saul Bass, che sarà anche consulente visivo con i suoi story board), fatti da linee rette in bianco e nero, che s'intersecano in velocità, e la musica di Bernard Herrmann, composta da archi che suggeriscono l'idea psichica di lame che tagliano, c'introduce in un aspetto disturbante dell'opera. La cinepresa poi panoramica su Phoenix e zooma su una finestra, entrando nell'intimità della coppia. La scena, ardita per l'epoca, con i due amanti abbracciati e che si baciano, chiaramente mette in scena un incontro sessuale appena consumato: Gavin a torso nudo e la Leigh in reggiseno bianco danno immediatamente la tensione erotica e illustrano il voyerismo dell'autore, che si allinea con quello dello spettatore. Tutta la sequenza trasuda un forte erotismo, ma allo stesso tempo introduce l'idea della madre morta di Marion e del padre che ha lasciato Sam in un mare di debiti da ripagare. La pulsione scopica tra sesso e morte l'abbiamo poi nella seconda scena fondamentale, quando Norman spia, da un buco nel muro, la stanza a fianco, dove Marion si sta spogliando per la doccia. Il quadro, di gusto rinascimentale che mostra delle figure femminili nude, viene tolto dal muro e il buco sembra il mirino di una macchina da presa. Abbiamo l'allineamento dell'occhio di Norman (in soggettiva con quello dello spettatore) che osserva Marion, questa volta con un reggiseno nero. Se prima era bianco per dimostrare la purezza e l'onestà della ragazza, adesso è nero, fuggitiva e ladra, ma pronta a disfarsene per una doccia purificatrice, ormai decisa a tornare a Phoenix per porre rimedio al misfatto che ha provocato. La pulsione scopica di Bates è quella dello spettatore: ancora un forte erotismo che scatena il desiderio di Bates. Ciò che si osserva si desidera (cfr. un altro grande film come "Il silenzio degli innocenti") e il desiderio di Norman risveglia la gelosia di madre-norman. In realtà è lo stesso Norman che è in conflitto con se stesso, perché il desiderio erotico per Marion lo allontana da quello per la madre e per reazione scatta in lui l'attuazione della morte. Ma la scena clou, la sequenza celeberrima, è quella della doccia e della morte di Marion assassinata da madre-norman. Della durata di 45'', la sua lavorazione ha richiesto una settimana di riprese. La sequenza è frastagliata, con una minuziosa messa in scena e una precisa messa in serie, grazie anche al lavoro di story board fatto da Saul Bass (che, a discapito di alcune dicerie, non ha mai diretto la scena, totalmente di Hitchcock, come testimoniato dalla Leigh e dai suoi più stretti collaboratori che lavorarono con lui in quei giorni). Certo Hitchcock creava molto in pre-produzione ed era molto veloce a girare, ma per la scena della doccia ci sono diverse difficoltà tecniche da superare: dalla nudità del "visto-non visto" della Leigh, con tutto uno studio della messa in quadro fatto con una controfigura (una spogliarellista che girava nuda sul piccolo set); dall'acqua del sifone che non doveva bagnare l'obiettivo della macchina da presa; dai costumi che indossava la Leigh, fatti di lattice color carne; allo sguardo fisso della stessa Leigh che ha dovuto interpretarlo direttamente, visto che all'epoca per abituarsi alle lenti a contatto ci volevano molte settimane e non c'era tempo. Insomma, una scena tecnicamente molto difficile e complessa, ma allo stesso tempo una scena che è un punto di svolta della diegesi e sintesi del tema di erotismo e morte, corpo nudo e sangue, vita che scorre via nello scolo della vasca da bagno e dal dettaglio dell'occhio della Leigh, con la macchina da presa che zooma all'indietro fino al primo piano dell'assassinata. E poi la simbiosi tra filmico, profilmico e postproduzione: il "cut" delle inquadrature corrisponde ai fendenti del coltello di madre-norman e agli archi di Herrmann, in una messa in quadro millimetrica, una messa in serie perfetta e un missaggio della colonna sonora, senza soluzione di continuità.
Se tecnicamente è complessa, lo è altrettanto tematicamente, dove l'erotismo e la morte sono simbioticamente legati, aggrovigliati, arrotolati dalla tenda strappata della doccia. Il corpo erotico della Leigh diviene il corpo materico senza vita, corpo da nascondere, da immergere nel subconscio di Norman (la palude dove affonda le auto è la sua metafora). Nella scena finale, nella penultima inquadratura, in primo piano sul volto di Norman, ormai trasformatosi nella Madre, abbiamo un frame subliminale in cui si vede un teschio (la prepotenza e la vincita di Thanatos sull'Eros) e in dissolvenza poi l'ultima inquadratura sull'auto di Marion, che viene tirata fuori dalla palude: il corpo di Marion viene "estratto" dal subconscio di Norman per restituirlo agli spettatori.
cast:
Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles, Martin Balsam, John Gavin
regia:
Alfred Hitchcock
titolo originale:
Psycho
distribuzione:
Paramount
durata:
109'
produzione:
Shamley Productions
sceneggiatura:
Joseph Stefano
fotografia:
John L. Russel
scenografie:
Robert Clatworthy, Joseph Hurley
montaggio:
George Tomasini
costumi:
Rita Riggs, Helen Colvig
musiche:
Bernard Herrmann
Marion Crane, dipendente di un’agenzia immobiliare a Phoenix in Arizona, fugge con quarantamila dollari per raggiungere il suo fidanzato in California. Imbattutasi in un temporale e persa la strada, si ferma al Bates’s Motel. Il giovane proprietario Norman vive con una anziana e psicotica madre e dopo una frugale cena insieme decide di ritornare sui suoi passi per restituire il denaro rubato. Ma Marion viene assassinata mente fa una doccia e inizia l’indagine da parte di un investigatore assicurativo, della sorella Lila e del fidanzato Sam per ritrovarla.