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recensione di Domenico Ippolito
5.0/10

Il cinema scandinavo, si sa, è costretto a fare i conti da più di mezzo secolo con l’ingombrante figura di Ingmar Bergman, uno dei grandi Maestri della settima arte. È pur vero che l’ombra del regista e drammaturgo svedese continua a riproiettarsi lunghissima sul cinema (e sulla televisione) internazionale: citiamo perlomeno il recente omaggio a Fårö del film "Sull'isola di Bergman" della francese Mia Hansen-Løve e il remake americano delle miniserie televisiva di "Scene da un matrimonio". Però, se di Bergman, nonché dell’attrice Liv Ullmann, si è addirittura il nipote, si capisce come per Halfdan Ullmann Tøndel, regista norvegese al debutto, il riferimento rappresenti un automatismo, tuttavia più biografico che meramente poetico.

La presenza nel film di Renate Reinsve, che ha raggiunto la notorietà internazionale grazie a "La persona peggiore del mondo", nonché di Ellen Dorrit Petersen, vista in "Thelma", film entrambi firmati da Joaquim Trier, norvegese come Halfdan Ullmann Tøndel, costituirebbe un aggancio per una nuova, ipotetica affinità elettiva, invece, ci porta su un’altra falsa pista. Ma allora, stabilito a cosa non assomiglia, a quale paradigma cinematografico può iscriversi "Armand"?

In una scuola elementare, poco prima delle vacanze estive, Elizabeth (Renate Reinsve), attrice di professione, viene convocata dai dirigenti dell’istituto. Suo figlio Armand, di sei anni, avrebbe picchiato e abusato sessualmente del coetaneo Jon. Insieme a tre istitutori, la donna dovrà confrontarsi anche con Sarah (Ellen Dorrit Petersen) e Anders, i genitori della presunta vittima, in un lungo ed estenuante colloquio, interrotto e ripreso più volte, che si protrae per ore in un pomeriggio asfissiante, mettendo a dura prova la stabilità mentale dei partecipanti.

Con questa trama scarna, dalla cui messinscena resta giustamente fuori l’osceno, la violenza tra i bambini, evento cardine della vicenda, la partitura di "Armand" potrebbe risuonare in un Kammerspiel scolastico d’impianto teatrale, alla cui claustrofobia d’interni si aggiungono le interpretazioni sudate, quasi appiccicose, degli attori, tutti peraltro in parte. Halfdan Ullmann Tøndel, però, decide di ampliare a dismisura lo sguardo immettendo degli stilemi estremamente muscolari – fotografia sgranata, volti violentemente fuori fuoco, inquadrature insistite su scale, corridoi, pareti – che avvampano il film in un dramma psicologico ricco di simbolismi.

Questa intromissione dell’autore nel testo rende pressoché impossibile slegare realizzazione e interpretazione, per quanto "Armand" si riveli essere un film a tesi. Qual è l’entità del danno di una personalità genitoriale instabile verso i propri figli? Fino a che punto si possono usare i bambini come scorciatoia, dove la colpa si traveste d’innocenza, per perseguire i propri fini? Il disvelamento di questi e altri teoremi si sussegue con mirate rivelazioni, pettegolezzi e alleanze tra gli adulti che partecipano al colloquio secondo una modalità pressoché illimitata di combinazioni. Tuttavia, l’introspezione psicologica, vera chiave del film, non pare essere più di tanto suggestiva ma ripropone dei modelli consolidati di lettura e di evoluzione dei personaggi e delle loro personalità, doppie e in chiaroscuro come si conviene.  

I dialoghi non paiono mai decollare al di sopra di un canovaccio di illazioni e tic psicolinguistici, che fanno da anticamera all’utilizzo, che in "Armand" diventa quasi un abuso, di scene madri. Come l’attacco di "ridarella" di svariati minuti accorso a Elizabeth, preludio a una crisi di nervi, che Renate Reinsve prova a rendere credibile ma, pur riuscendoci, il palese intento di provocare fastidio allo spettatore non fa altro che ribadire la sua forzata intenzionalità. Oppure il balletto con cui la stessa Elizabeth si accompagna a un inserviente della scuola, i corpi che si accavallano in un’orgia superficiale, le mani che si protendono verso la protagonista superando persino l’allucinazione collettiva. Proprio in queste sequenze possiamo riscontrare alcuni riferimenti: a parere di chi scrive, non al cinema scandinavo pare guardare Halfdan Ullmann Tøndel, bensì ad alcuni episodi perturbanti di un certo cinema autoriale. "Madre!" di Darren Aronofsky, "Stavo pensando di finirla qui" di Charlie Kaufman, persino il remake di "Suspiria" di Luca Guadagnino, nonché al sommo David Lynch, sono alcune delle suggestioni.

Insignito della Camera d’Or all’ultimo festival di Cannes come miglior opera prima, "Armand" è un film certamente coraggioso nella proposta ma, considerando la portata di prospettive che propone, il funambolico e un po’ pretenzioso esordio di Halfdan Ullmann Tøndel non ci è parso possedere spalle larghe a sufficienza per sostenere, senza incespicare, un tale carico.


24/01/2025

Cast e credits

cast:
Renate Reinsve, Ellen Dorrit Petersen, Thea Lambrechts Vaulen, Endre Hellestveit


regia:
Halfdan Ullmann Tøndel


distribuzione:
Movies Inspired


durata:
117'


produzione:
Andrea Berentsen Ottmar


sceneggiatura:
Halfdan Ullmann Tøndel


fotografia:
Pål Ulvik Rokseth


scenografie:
Mirjam Veske


montaggio:
Robert Krantz


costumi:
Alva Brosten


musiche:
Ella van der Woude


Trama
In una scuola elementare norvegese, la madre di Armand e i genitori di Jon vengono convocati dal personale dell'istituto poiché il primo avrebbe abusato sessualmente dell'altro. I due bambini hanno appena sei anni.
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