Una giovane si diploma con successo e decide di seguire i corsi di medicina all'Università. Inizia a studiare spinta dal desiderio di diventare un medico al servizio della comunità. Ma si accorge che quello che le interessa maggiormente è la mente delle persone. Quindi cambia facoltà e si iscrive a psicologia, ma dopo poco tempo anche questo ambito non la convince più, attratta da ciò che vede e, dopo aver acquistato una macchina fotografica, abbandona definitivamente gli studi per dedicarsi all'attività di fotografa. Una sera in un locale incontra un famoso fumettista, s'innamora e va a vivere con lui. Inizia così "La persona peggiore del mondo" di Joachim Trier, con sequenze rapide, pennellate visive con ellissi narrative per mostrare immediatamente la personalità complessa di Julie (Renate Reinsve), ragazza alla ricerca di sé stessa e di esperienze che possano dare un senso alla propria vita.
Il regista norvegese struttura la sceneggiatura in dodici capitoli (più un prologo e un epilogo) – a volte con un lungo minutaggio, altre di breve durata – con cui mette in scena il percorso esistenziale e amoroso di Julie. Così, ogni capitolo affronta argomenti come il rapporto di coppia, le relazioni familiari, la maternità imposta e rimandata, il trauma di un padre che non la considera, avendola abbandonata per crearsi un'altra famiglia, il confronto con una madre sempre presente e comprensiva, la morte e l'assenza delle persone amate, il tradimento e l'esplorazione dei propri sentimenti. Il tutto intervallato anche da altri temi come il sessismo culturale, la società intellettuale effimera e superficiale.
Trier inizia il film in medias res, con Julie che, solitaria, sta partecipando alla festa data in onore del suo attuale compagno Aksel (Anders Danielsen Lie), in occasione della pubblicazione e del lancio del nuovo romanzo a fumetti, e poi in flashback con il prologo ci presenta Julie dall'inizio della sua vita da adulta.
Rielaborando la tradizione del cinema scandinavo, Trier compie una ristrutturazione in chiave moderna della drammaturgia basata sulle dinamiche di personaggi che agiscono in interni di stampo teatrale, abbattendo la quarta parete e posizionandoli nel tempo e nello spazio – la città di Oslo magnificamente fotografata da Kasper Tuxen che diventa sfondo etereo e avvolgente delle azioni di Julie.
Una delle scene più belle del film mostra la città come spazio finzionale vissuto dalla protagonista. Julie ha incontrato un altro ragazzo, Eivind, la sera prima (quella della festa di Aksel che aveva lasciato anzitempo) e sente nascere un sentimento irresistibile. La mattina si sveglia e vede il suo compagno che le chiede cosa vuole per colazione. Ma tutto si blocca e Julie esce di casa e inizia a correre per le strade e i quartieri della città in mezzo alla folla e al traffico paralizzati, fino a raggiungere il caffè dove lavora Eivind e lo bacia, per poi tornare a casa e il flusso del tempo riprendere regolarmente. La rappresentazione della forza inevitabile di un amore nascente che spazza via tutto il mondo intorno a sé. Julie, alla fine, lascia Aksel e va a vivere con Eivind in una rinnovata relazione di coppia.
Un'altra sequenza significativa di questo modo non convenzionale di mettere in scena il gioco amoroso è quella in cui Julie s'imbuca a una festa di matrimonio mentre cammina verso casa, dopo aver lasciato la festa di Aksel. È qui che incontra per la prima volta Eivind: si piacciono e c'è attrazione tra loro due, ma si dichiarano subito impegnati e innamorati dei rispettivi partner. Inizia un flirt basato sul gioco di cosa non sia un "tradimento": dal respirare il fumo della sigaretta emesso dalla bocca di uno nell'altra a mostrarsi in bagno mentre urinano a raccontarsi paure e desideri privati, in una notte in cui non c'è mai un vero contatto fisico, ma in cui l'intimità tra i due personaggi si realizza attraverso sguardi, sorrisi e parole che accompagnano una profonda esperienza sinestetica.
Trier lavora all'interno dei codici del genere – come aveva già fatto con l'horror nel suo precedente e riuscito "Thelma" – e ibrida la commedia con il dramma, creando un dramedy contemporaneo. Il riavvicinamento di Julie ad Aksel, nel momento in cui scopre che quest'ultimo è malato terminale di cancro, è un capitolo del film in cui con misura si rappresenta il mistero della morte, ma soprattutto la fugacità dell'esistenza umana e la perdita dei ricordi, in sequenze di drammaticità che rappresentano l'eredità bergmaniana lasciata al cinema scandinavo e con cui Trier – volontariamente o meno – è cresciuto culturalmente.
"La persona peggiore del mondo" si rivela come un romanzo di formazione di una continua e incerta esplorazione di un posto nel mondo da parte di Julie, nella sua ricerca di felicità e realizzazione personale e nel rimandare alcune scelte che la società e la famiglia le vorrebbero imporre, come il matrimonio e i figli. Alla fine, il tempo delle scelte passa e nell'epilogo Julie lavora come fotografa di scena in un film dove la protagonista è la moglie di Eivind, che ha lasciato da tempo. Viene inquadrata nel suo appartamento mentre sistema le foto scattate, comprese quelle rubate all'esterno dell'incontro della famiglia felice di Eivind con moglie e figlio. Julie è ormai adulta e realizza nella sua solitudine di non essere né peggiore né migliore, ma una donna che ha vissuto nel bene e nel male la sua storia.
Il regista dirige un'opera di fattura tecnica pregevole al servizio degli attori e, in particolare, dell'espressività di Renate Reinsve, al suo primo vero ruolo da protagonista (premiata come miglior attrice al 74° Festival di Cannes), con un registro stilistico che alterna elementi divertenti ad altri di estrema melanconia. E se Hitchcock diceva a Truffaut che "il cinema è la vita senza le parti noiose", Trier con "La persona peggiore del mondo" lo realizza (il cinema) con grande passione (per le parti interessanti di una vita).
cast:
Renate Reinsve, Anders Danielsen Lie, Herbert Nordrum
regia:
Joachim Trier
titolo originale:
Verdens verste menneske
distribuzione:
Teodora Film
durata:
121'
produzione:
Oslo Pictures, MK2 Productions, Film i Väst, Snowglobe, B-Reel, Arte France Cinéma
sceneggiatura:
Eskil Vogt, Joachim Trier
fotografia:
Kasper Tuxen
scenografie:
Roger Rosenberg
montaggio:
Olivier Bugge Coutté
costumi:
Ellen Dæhli Ystehede
musiche:
Ola Fløttum