Partendo da "Suspiria" come recente riferimento, analizziamo la danza e le sue rappresentazioni nella contemporaneità cinematografica: una performance che deforma, vitalizza, interroga la realtà
Nessuna immagine esprime meglio del sabba di "Suspiria" la tendenza di un cinema contemporaneo a trascendere le maglie strette della narrazione per convertirsi alla purezza dell’immagine-movimento. Ogni sentiero comunicativo si interrompe davanti ai corpi delle streghe, torti e sinuosi come ideogrammi, che nella loro danza ossessa si configurano come proiezioni dinamiche dell’ineffabile. L’adolescenza espressa di "And Then We Danced", quella repressa di "Dogtooth", la danza spleen di "Climax", quella simbolica di "Orgoglio e pregiudizio", quella glitterata di "Vox Lux", senza citare – per ora – i travolgenti finali di "Beau Travail" e "Un altro giro", la sensualità contagiosa di "Ema"…
A onore del vero, non sappiamo se questa reviviscenza della danza sia una tendenza di chi fa il cinema o di chi lo guarda; se indichiamo la luna o non facciamo che agitare il dito. Anche se fosse, ci preme sottolineare che persino il dito, ogni tanto, ha i suoi punti d’interesse.
Introduzione di Rudi Capra
Bisce e ciarlatani: impressioni di "Flashdance" nell'impianto satirico di "Dogtooth"
Danza significa espressione, e invece in "Dogtooth" figura piuttosto come una forma di impressione. Il ballo disarticolato di Angeliki Papoulia, mimesi grottesca del provino di "Flashdance", racconta il modo in cui le immagini del cinema si imprimono nell’immaginario. Se ad esempio le immagini storiche dell’Eden, del Cristo e del serpente discendono da un vasto immaginario collettivo, nel mondo contemporaneo è invece l’immaginario collettivo a discendere dalle immagini post-storiche della pubblicità e del cinema. In questo processo, il cinema non si offre come specchio fedele della realtà, è invece la realtà a farsi specchio deformante del cinema – "classico caso di arte che imita la vita che imita l’arte".
Sarebbe quindi limitante ridurre la danza di Papoulia a semplice rigurgito vitale di un’adolescenza catechizzata e repressa. L’effetto comico scaturito dalla palese incongruenza tra mimesi e modello non opera solo un distanziamento ironico dai modelli veicolati dal cinema commerciale, ma anche una derisione dell’istanza repressiva che velatamente fonda e foraggia quei modelli. Nella totale ed esilarante assenza di grazia che anima la coreografia, Lanthimos persegue una poetica che si identifica apertamente con la necessità di sfidare, violare, provocare, scandalizzare, ridicolizzare le convenzioni dell’arte e dell’etica, e con esse le istituzioni che proteggono e promuovono tali convenzioni – personificate in "Dogtooth" nella figura genitoriale.
L’arte, quella genuina, finisce sempre per sfuggire al controllo della matrice, come la proverbiale bèsa chi s’arvolt a e’ zarlatàn (biscia che si ribella al ciarlatano). In questa memorabile "flashdance dei poveri" l’impressione (impronta) del linguaggio cinematografico provoca impressione (turbamento), perché restituisce al soggetto la verità risibile e grottesca delle impressioni (suggestioni) che lo condizionano a livello subliminale e subcosciente.
Rudi Capra
Dance Before Getting Stoned - "Climax" di Gaspar Noé ft. Spleen di Charles Baudelaire
I debiti stilistici Noè li aveva enunciati in apertura di film, per mezzo delle VHS che contornano lo schermo del televisore in cui si susseguono le interviste ai ballerini che di "Climax" saranno i protagonisti: "Salò", "Un Chien Andalou", "Suspiria", tra gli altri.
E il film ha vari inizi, ma quello ufficiale, consacrato dai rituali cartelli con le società di produzione e distribuzione, è sicuramente la dance scene.
Piano sequenza, ça va sans dire. La musica è quella di Cerrone, "Supernature", la risposta francese a Moroder, ma anch’egli con sangue italiano nelle vene, da parte di padre.
I colori sono caldi come la gigante Aldebaran, una dominante di rosso come il sangue e come la sangria che giungerà a gettare scompiglio nella giornata di quei ballerini.
La mdp parte dall’alto [come un coperchio, il cielo pesa greve], si stacca dalla bandiera francese e arretra sull’avanzare della coreografa Selva (Sofia Boutella, unica attrice professionista, ma altresì ballerina) aprendo il campo medio su cui resterà ferma per buona parte del prosieguo. Corpi attraversano gli spazi secondo geometrie precise con prevalenza di diagonali, mentre al centro si alternano i performer di turno, con stili e movenze sempre differenti, talvolta inquietanti [come un pipistrello, sbattendo la sua timida ala contro i muri]. Il fuori campo si fa protagonista e continua a vomitare comparse, come una quinta teatrale, in una rappresentazione che è tuttavia prettamente televisiva e fortemente da videoclip.
I corpi si uniscono soltanto sporadicamente, si fanno mostro – o insetto [muto e ripugnante, un popolo di ragni tende le proprie reti dentro i nostri cervelli]. Oppure si respingono, come nella prima plongée, poli opposti di un magnete impazzito.
Incroci e ancora incroci – mai pericolosi –, un’altra plongée su un cerchio che si amalgama e che fa girare la mdp [in un unico cerchio stringendo l’orizzonte] per immortalare il caos che ha interrotto l’ordine, fino a un nuovo punto di fuoco respingente e poi attraente, e poi a un altro ancora.
E l’intreccio voluttuoso di corpi si riordina sulle caselle di una dinamica scacchiera di [spiriti erranti e senza patria che si mettano a gemere in maniera ostinata].
Vincenzo Chieppa
Passi, compromessi - "Orgoglio e pregiudizio"
Darcy: So, what do you recommend, to encourage affection?
Elizabeth: Dancing. Even if one partner is barely tolerable.
L’occasione si presenterà a Netherfield, la tenuta estiva di Mr. Bingley, il miglior amico di Darcy. Il gentiluomo rompe gli indugi e si arrischia a invitare la popolana Elizabeth che, a malincuore ma incuriosita, accetta. Il regista britannico Joe Wright si affida al piano sequenza: dopo un’inquadratura su Darcy nella fila dei cavalieri, a cui segue l’inchino di Elizabeth e delle altre dame, parte una lunga ripresa di circa due minuti che accompagna il Regency, popolare ballo inglese, sulla musica di Henry Purcell (qui riproposta dal compositore Dario Marianelli).
La mdp segue i ballerini al centro dell’inquadratura, mentre si alternano di posizione, cambiando di fila; la loro diventa una danza sul filo delle parole, sussurrate sopra le note e i movimenti. Il ballo si trasforma, così, in un incontro tra ruoli antitetici: quello servile della donna nei confronti dell’uomo, una prospettiva però subito ribaltata dallo spirito anticonformista di Elizabeth, che stuzzica con la sua pungente ironia il taciturno e rigido Darcy. Nella danza non c’è traccia del diverso grado sociale, di cui pur si ha consapevolezza, mentre vengono fuori le personalità contrapposte dei due ballerini, che arrivano persino a interrompere i loro volteggi con un duro faccia a faccia su Mr. Wickham, l’odiato rivale di Darcy e nuovo spasimante di Elizabeth.
Il regista stacca proprio quando il dialogo si tronca e, seguendo una delle loro giravolte, pone i due ballerini in una stanza vuota, lasciati soli a danzare, imbronciati e stavolta davvero silenti. Questo ballo rappresenta così un condensato della loro futura storia d’amore, cavalcata tra incomprensioni, ribaltamenti di prospettive e dolorose rinunce, fino al raggiungimento di un sofferto equilibrio.
Domenico Ippolito
"And Then We Danced": Presa di coscienza a colpi di Beat
Per Merab, protagonista di "And Then We Danced", la discoteca non costituisce solo un luogo di mero divertimento o di trasgressione fine a sé stessa, ma diventa occasione di autentica espressione di sé. Giovane ballerino che fin da bambino fa parte della "National Georgian Ensemble", in cui si performa la danza tradizionale, viene guidato dal suo coreografo a "essere come un chiodo, un monumento, a non lasciare spazio alla sessualità".
La sua indefessa adesione a questo inflessibile repertorio comincia a vacillare quando, uscito dalla palestra coi suoi amici, si dà con loro a balli sfrenati con brani di musica pop georgiana per le strade e degli ABBA in una residenza estiva. Una sera, incontra per caso una ragazza in una piazza, la quale, dopo avergli offerto una sigaretta, lo porta con sé in un locale. Entrando per la prima volta in un mondo nuovo e sconosciuto illuminato da forti luci rosse stroboscopiche, Merab all’inizio è spaesato, di fronte a tutti gli altri presenti che risucchiati dalle melodie si muovono e flirtano suadenti. Ma non passano che pochi istanti e comincia ad ammiccare con la testa, bere shottini, fino a lanciarsi in pista e lasciarsi trascinare dall’ebrezza che lo circonda. Poco dopo, si reca in un'altra stanza, dove rimbomba una martellante musica techno e il gioco di luci crea un effetto di allucinazione. Qui sceglie di staccarsi dagli altri, trovare un proprio spazio in solitaria, chiudere gli occhi per compiere movenze via via più febbrili, pugni nel vuoto, in una suprema estasi.
Il suo delirio bacchico non è però una perdita dei sensi, un’ubriacatura, quanto invece l’emersione dell’interiorità fino ad allora repressa che scardina la statuaria compostezza a cui si deve attenere nella compagnia. Al termine della sequenza, un brusco stacco ce lo mostra alle prime luci del mattino davanti al locale ormai chiuso, mentre fuma una sigaretta in uno stato di dormiveglia. La nottata appena trascorsa segna una tappa irreversibile nel suo percorso di crescita che lo spingerà definitivamente a fare del suo corpo non più veicolo e incarnazione dello "spirito della nazione georgiana" e dei suoi rigidi codici, ma della loro stessa eversione come espressione di un’identità individuale e libera.
Luca Sottimano
"Vox Lux": Questo show è sulla rinascita
La rappresentazione allegorica e verosimigliante di Brady Corbet della contemporaneità si dipana attraverso una trasversalità generazionale (in "Vox Lux" dal 2000 al 2017) segnata dalla pubblicità di eventi tragici (la sparatoria scolastica, l’11 settembre e infine l’attentato terroristico in Europa). Cosa sia intrattenimento e cosa tragedia è uno degli interrogativi di "Vox Lux" laddove la sfera privata si annulla nella rappresentabilità dell’alter ego pubblico.
Lo show dal vivo di Celeste viene rappresentato unicamente nel finale senza alcun ammaliamento visivo o sonoro: la performance di danza e canto è decadente, dimessa e mostrata per la prima e unica volta nella fase discendente di una carriera, incapace di sconvolgere. La regia simula una visione distaccata dello spettacolo di Celeste, filtrata dalla una prospettiva dei partecipanti, sottolineandone la natura mortifera e al contempo tragicomica, forse derivante da un allucinato patto col diavolo (e la vestizione di Celeste con ali di angelo tagliate rimanda alla tradizione biblica dell’angelo caduto, Lucifero, così come i nomi dei capitoli, Genesis e Regenesis).
La danza di "Vox Lux", e più in generale la performance nella sua messa in scena, che più tradizionalmente è un atto rappresentato come propulsivo tanto vitalistico quanto annichilente, come si evince dai contributi dello speciale, in questo film si rivolge a un pubblico di prede (Pray/Prey è lo slogan dello show, e si faccia caso alla voluta eliminazione degli smartphone dalle mani del pubblico nonostante le riprese found footage) e incarna il moto senza uscita di un personaggio allucinato il cui ultimo atto è impresso in maniera scadente eppure culminante di fronte ad astanti che riconoscono la (morente) leadership.
Diego Testa