La fantascienza degli anni 70 mette in scena la crisi sociale di un decennio in variegate forme di distopie, tra innovazioni tecnologiche e paure dell'apocalisse. Un nostro speciale che è un breve viaggio nel cinema di genere tra opere significative, veri capolavori e piccoli cult da recuperare
Il 1968 è l'anno di "2001: Odissea nello spazio" e la fantascienza esce dal ghetto del genere dov'era relegata e diventa grande cinema e non solo di interesse per gli appassionati. Ma se l'opera di Stanley Kubrick si innesta in un percorso di un autore affermato a livello mondiale, il film è anche l'apice dell'evoluzione della fantascienza che ha attraversato i due decenni precedenti, con una ricchezza di temi e metafore delle paure e le speranze di un pubblico popolare. Chiude un decennio e ne apre un altro, quello degli anni 70, dove la Guerra Fredda è ancora in corso, la società contemporanea è piena di conflitti sociali, la scienza fa balzi in avanti. Nel 1969 abbiamo il primo sbarco sulla Luna e lo spazio, come nuova Frontiera, appare vicino e minaccioso. La paura atomica è ancora forte e si sommano quelle di guerre e apocalissi possibili con l'utilizzo di armi batteriologiche o chimiche. La tecnologia e l'evoluzione dell'informatica sembrano nuovi prometeo con cui l'uomo deve fare i conti, in un confronto senza quartiere e Hal di Kubrick è il nuovo prototipo per antonomasia.
Solitamente, prima della rinascita negli anni 80, si considerano i 70 come un periodo di crisi identitaria della fantascienza, un decennio di transizione senza punte di diamante. Nella realtà, se si va a rivedere i film dell'epoca, notiamo come la fantascienza ha continuato a raccontare in modo originale e innovativo il mondo e le sue metamorfosi, costruendo un tessuto filmico che si estende sia nel tempo sia nell'innovazione visiva e tematica, concentrandosi più che altro sui complessi cambiamenti sociali ed economici in atto. Nello stesso anno di "2001: Odissea nello spazio" abbiamo anche un'altra opera importante: "Il pianeta delle scimmie" di Franklin J. Schaffner, tratto dal romanzo di Pierre Boulle, dove la paura dell'apocalisse atomica e la distopia futura sono anticipatori di uno stile generale nella cinematografia fantascientifica a seguire.
I temi che ripercorrono le pellicole hanno tutti alla base un cambiamento drastico dove l'uomo è oggetto subente invece di soggetto agente. Distopie sociali ("L'uomo che fuggì dal futuro", "Rollerball", "Il mondo dei robot", "La fuga di Logan", "2022: i sopravvissuti", "Interceptor", "La fabbrica delle mogli"); oppure paura della guerra totale e distruttiva ("1975: occhi bianchi sul pianeta Terra"; "La fuga di Logan"). L'alieno non è più un mostro invasore dallo spazio, ma prende altre forme: uno sconosciuto batterio ("Andromeda") oppure alla ricerca di salvezza per il proprio pianeta ("L'uomo che cadde sulla Terra"). Le macchine prendono forma e coscienza di sé: iniziano a ribellarsi agli uomini ("Il mondo dei robot") oppure vogliono evolversi in forma umana ("Generazione Proteus"). I computer sono tutti figli di Hal: Proteus che vuole una transustanziazione nella carne ("Generazione Proteus"); Zero che possiede tutto lo scibile umano e si rifiuta di rispondere alle domande sul passato dell'umanità ("Rollerball"); i cervelli elettronici che controllano intere società ("L'uomo che fuggì dal futuro", "La fuga di Logan"). Ma anche l'apocalisse dovuta a un pianeta che si ribella allo sfruttamento dell'uomo attraverso la rivolta delle forme animali ("Fase IV: distruzione Terra") o che arriva quando le risorse ormai sono finite ("2022: i sopravvissuti").
I temi, dunque, sono molteplici ed esplicitati in modo vasto e articolato, concentrandosi più su una fantascienza che ha un impatto sull'analisi sociale, come un tentativo, se non di trovare delle risposte, di porsi delle domande e avvertire di scenari possibili. Non c'è più uno spazio esterno, ma interno, fortemente antropocentrico, dove l'uomo però diventa l'oggetto di analisi e di rappresentazione delle mutazioni in atto.
Stilisticamente abbiamo un'estensione tecnologica che si avvicina sempre più alle scoperte scientifiche del periodo, in qualche modo anticipandone gli effetti nella realtà della società degli anni futuri. Così la violenza diffusa, il consumismo esasperato, la ricerca dell'eterna giovinezza, lo sfruttamento delle risorse naturali per trarre il maggiore profitto possibile, l'informatizzazione della società raccontata in queste numerose pellicole, non sono che un'anticipazione di un presente che viviamo (vivremo). L'utilizzo degli effetti speciali è funzionale a una rappresentazione il più realistica possibile, così come le scenografie tendono a essere essenziali, sporche, povere. Non siamo di fronte alla rappresentazione della grandiosità o di uno stupore della messa in scena, ma a una realizzazione scientifica verosimile. La fotografia predilige i toni chiari, freddi o neutri. Il bianco, il giallo, l'arancione sono i colori predominanti che donano un'atmosfera sottomessa e mai sgargiante, anonima e omogenea. È poi importante come la totalità delle pellicole trovi la propria fonte ispiratrice nella narrativa del passato, con autori più o meno famosi, quasi a dare una pesante sostanza diegetica a una messa in scena che lavora sulla sottrazione e la metonimia visiva.
Un decennio di transizione, abbiamo detto, in cui i confini sono labili. Così se abbiamo scelto come film di chiusura "Interceptor" del 1979, il canto del cigno delle tematiche caratterizzanti questi anni, è "Star Wars" nel 1977 che rappresenta il punto di passaggio nel nuovo periodo della storia del cinema di fantascienza che si sviluppa nel decennio successivo.
Ecco che, quindi, vi proponiamo un excursus con alcune pellicole, a nostro giudizio, emblematiche degli anni 70. Film importanti per il genere, ma anche dei veri capolavori e piccoli cult che mantengono a oggi la forza del messaggio e la bellezza della visione di una crisi vissuta, subita, combattuta dall'uomo moderno.
Una doppia avvertenza. La prima: abbiamo escluso "Zardoz" di John Boorman e "Dark Star" di John Carpenter, non perché non meriterebbero, a buon diritto, di essere presenti, ma perché essi, in qualche modo, sono già opere molto "autoriali" di due registi che hanno un loro percorso riconosciuto e riconoscibile. La seconda: la fantascienza è un genere (narrativo prima, cinematografico poi) tipico della cultura anglofona e quindi ci siamo focalizzati su questi paesi per una coerenza di stili e temi che danno corpo a una corrente specifica nella storia del cinema.
L'uomo che fuggì dal futuro (THX 1138, 1971) di George Lucas
Il regista di Modesto prima di "Star Wars". Film concept, gelido, dove regna il bianco che, come i colori, assorbe tutti i sentimenti di un'umanità (auto)reclusa. Formicaio dove tutto è spinto verso la produzione e l'economicità, panopticon totale, Grande Fratello all'ennesima potenza. L'unanimità e la standardizzazione: le droghe chimiche e religiose si sposano con il potere assoluto. Metafora della società nixoniana con tutte le paure degli anni 70 in poche immagini. Geometrico e claustrofobico, Lucas dalla sua tesi di laurea alla UCLA crea un cult che ancora colpisce la mente dello spettatore contemporaneo.
Andromeda (The Andromeda Strain, 1971) di Rober Wise
Non siamo soli nell'Universo. Tratto dall'omonimo romanzo di Michael Crichton, è un film cesura tra il decennio passato e il nuovo. Da un lato una struttura narrativa e una messa in scena dove l'esposizione scientifica è realistica ricordando molto "Viaggio allucinante" di Richard Fleischer; dall'altro la prima invasione aliena compiuta da batteri sconosciuti tornati dallo spazio su una capsula spaziale militare. Science Fiction classica nella sua struttura narrativa, ma il connubio politico-militare complottistico è influenzato dal decennio appena iniziato. Wise è autore di opere entrate nella storia del cinema ("West Side Story"), di "Ultimatum alla Terra" del '51, un capolavoro della fantascienza anni 50, e del primo "Star Trek" del '79. "Andromeda" rimane un esempio di cinema solido, legato al periodo in cui è stato creato, rappresentante in modo esemplificativo la variante del pericolo alieno.
1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man, 1971) di Boris Sagal
L'ultimo uomo sulla Terra. Fantascienza post apocalittica, Robert Neville (Charlton Heston) è sopravvissuto a una guerra batteriologica che ha distrutto l'umanità. I pochi che vivono sono ammalati, paranoici fotofobici, raggruppati in un clan autoproclamatosi "Famiglia". Neville combatte per la propria sopravvivenza, ultimo testimone di quella tecnologia che ha portato solo morte e distruzione. L'incontro con un gruppo di ragazzini non infetti lo convince a trarre un siero dal proprio sangue immune per dare una speranza e curare i malati. Ma muore nel tentativo di salvarli. Esempio dei timori della paura del diverso, del concetto di "normalità" e dei danni di una scienza al servizio dei militari in piena Guerra Fredda che si trasforma in genocidio. Un'altra paura atavica dell'uomo messa in scena in un film antimodernista. Liberamente ispirato a un romanzo di Richard Matheson, il film, a differenza del libro, finisce con un anelito di speranza nella figura cristologica di Neville, figlio della provvidenza salvatore dell'umanità. Nel '64 c'era stata una prima versione diretta dal nostro Ubaldo Ragona ("L'ultimo uomo sulla Terra" con un Vincent Price in forma e più fedele allo spirito della storia di Matheson) e nel 2007 abbiamo un remake hollywoodiano con Will Smith.
Il mondo dei robot (Westworld, 1973) di Michael Crichton
Il mondo perfetto degli androidi simili in tutto e per tutto agli esseri umani. Ma la perfezione non esiste. Lo scrittore Crichton si pone dietro la macchina da presa in modo incosciente, mettendo in scena, tra mille difficoltà produttive, un film che diventerà ben presto un cult. Prometeo si ribella al suo creatore e inizia la rivolta delle macchine. L'arroganza dell'Uomo che si scontra mortalmente con l'intelligenza incontrollata dei cervelli elettronici. Un grande Yul Brinner interpreta il pistolero nero del West con lo sguardo fisso e spietato, prima di "Terminator" e facendo il verso a "I magnifici sette", ancora oggi memorabile. L'inseguimento del turista, tra le terre del parco divertimento per adulti, dipinge l'ansia e la paranoia degli anni 70. Film prototipo di tanto cinema futuro sulla robotica che ha visto sequel, cloni, citazioni, fino ad arrivare al serial televisivo omonimo dei nostri giorni.
2022: i sopravvissuti (Soylent Green, 1973) di Richard Fleischer
Tratto dal romanzo "Largo! Largo!" di Harry Harrison, il polimorfico Fleischer dirige uno dei più interessanti e distopici film di fantascienza degli anni 70. Un futuro in cui l'umanità ha distrutto tutte le risorse del pianeta. Folle di uomini, donne e bambini che vivono letteralmente per strada, sulle scale dei palazzi e lo spazio è un privilegio. Un cucchiaio di marmellata è l'emblema di un lusso per i ricchi in una New York che, più una città, appare un formicaio di perduta umanità. Charlton Heston, icona del cinema di questi anni, interpreta un poliziotto che indaga su un omicidio di un consigliere di amministrazione della multinazionale Soylent, produttrice di cibo a base di plancton distribuito alle masse affamate. Tra complotto politico e thriller, il mondo del nuovo millennio immaginato negli anni 70 non è molto diverso dall'oggi. Potenza precognitiva della migliore fantascienza, il film è una lucida e appassionata denuncia dei danni della società consumistica spinta alle più deleterie conseguenze. E la scoperta finale, in un mondo in cui il cibo scarseggia, gli animali e le piante sono scomparse, è un pugno nello stomaco che non si dimentica. Uno dei capolavori del decennio, ancora fantascienza sociale indimenticabile e commovente (come resistere a un Edward G. Robinson nel momento del suo sacrificio per scoprire la verità?), omaggiato in "Cloud Atlas" delle Wachowski Sisters e Tom Tykwer.
Fase IV - Distruzione Terra (Phase IV, 1974) di Saul Bass
Dal formicaio umano del film di Fleischer alle vere formiche di questo unico lungometraggio di Saul Bass, maestro delle sequenze introduttive dei titoli di testa (tra i più famosi quelli di "Psycho" di Alfred Hitchcock). La paura della Natura che si ribella all'arroganza dell'Uomo, la società delle formiche si evolve, resiste, combatte per il predominio del pianeta. Il microscopico del reale ripreso con la macrofotografia cinematografica, immagini affascinanti e ipnotiche, Bass riesce a far recitare i piccoli insetti davanti alla macchina da presa. Lotta senza quartiere, immersi in un deserto assolato, ultima spiaggia dell'Uomo che muore per rinascere dopo una copula genetica-evolutiva con l'insetto. Oggetto enigmatico del decennio, "Fase IV" rimane un'opera astratta, asciutta, lineare, dal sapore vintage, che lascia l'amaro in bocca per l'ottusità dell'uomo e i limiti conclamati della comprensione del mondo che vive.
Rollerball (Id., 1975) di Norman Jewison
Un altro futuro distopico, una società corporativa dove le nazioni sono scomparse e il mondo è governato da un consiglio di amministrazione mondiale e le città del pianeta si sono specializzate in produzioni verticali. Piacere, pace, tranquillità in un mondo senza violenza, ma anche senza amore. Il rollerball è la sola valvola di sfogo sociale, unico sport globale consentito, arena moderna, dove si scontrano gladiatori su pattini a rotelle, girando su una pista come cani rabbiosi impazziti. Una società gerarchica e ordinata, in cui la libertà non è prevista, così come la memoria personale e storica. Jonathan E (un tormentato James Caan in una delle sue migliori interpretazioni) si ribella all'ordine del ritiro che gli impone la società. L'individuo che si afferma contro il sistema, vessillo di speranza in un mondo anaffettivo, facendo riscoprire emozioni profonde represse e dimenticate. Una forte denuncia contro la superficiale omologazione sociale e la sua spettacolarizzazione. Film epocale, calibrato tra forza e quiete, uno dei capolavori del cinema di fantascienza distopica, con al centro l'uomo e la sua forza di volontà e affermazione. Un cinema ancora intatto visivamente a distanza di più di quarant'anni.
La fabbrica delle mogli (The Stepford Wives, 1975) di Bryan Forbes
L'altra faccia di "Westworld". Uomini che odiano le donne, o meglio le vogliono tutto "letto e cucina"; badanti dei propri figli; specchio delle mie brame in cui ogni giorno chiedere chi è il più bello del reame. E Stepford, la cittadina del titolo originale, è un lussuoso villaggio dove sono situate aziende di alta tecnologia e gli uomini sostituiscono le proprie mogli con androidi ubbidienti. Potrebbe apparire come un inno alla misoginia, in realtà siamo dalle parti del pamphlet antimaschilista, dove, ancora una volta, le donne liberate dalle lotte degli anni 60 vengono sottomesse (eliminate) da piccoli uomini dall'ego insicuro (la maggioranza silenziosa borghese e professionista). La tecnologia in mano a pochi fa male e utilizzata per biechi scopi di controllo sessuale e sociale. Katharine Ross cerca di ribellarsi, così come la sua amica Paula Prentiss (moglie nella realtà del regista e attore Richard Benjamin, tra l'altro controparte di Yul Brinner ne "Il mondo dei robot"), soccombendo allo strapotere degli uomini. Tratto da un romanzo di Ira Levin - quello di "Rosemary's Baby" - questo piccolo grande capolavoro è un thriller fantascientifico ansiogeno e gelido, la cui lucida denuncia di paure ancestrali è tutt'ora valida.
L'uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth, 1975) di Nicolas Roeg
Ziggy Stardust arriva da un altro pianeta e cade sulla Terra, in un lago nel Kentucky. Il debutto di David Bowie come attore non poteva essere migliore in un film filosofico in cui si narra della solitudine di un alieno alla ricerca di una speranza per il suo pianeta desertico e morente. Ellissi narrative, stacchi improvvisi, sequenze cha appaiono slegate dal flusso diegetico, in cui l'unico cardine rimane il personaggio di Bowie che non invecchia mai, mentre tutto intorno a lui passa. Quando diventa troppo potente, costruendo una multinazionale che rivoluziona l'industria mondiale dell'intrattenimento con brevetti innovativi, la CIA lo rapisce e lo rinchiude in una gabbia dorata sottoponendolo a esperimenti. Elegia sulla solitudine del diverso, in una terra straniera che diventa la sua, in un'effimera eterna giovinezza, mentre tutto intorno a lui è morto o morente. L'amante e gli amici lo hanno tradito, ma non c'è rancore, solo tristezza in questa pellicola poetica che racconta la società contemporanea attraverso gli occhi di un extraterrestre.
La fuga di Logan (Logan's Run, 1976) di Michael Anderson
Gioventù bruciata. In un futuro post guerra nucleare, gli esseri umani vivono in una città-cupola isolati dall'esterno. Tutto è regolato da un computer, tutto è in perfetto equilibrio biologico e gli esseri umani sono clonati, ma per mantenere l'equilibrio dell'ecosistema devono rinnovarsi compiuti i trent'anni. In realtà, in un'arena tecnologica sono uccisi per far posto ai nuovi. Logan è un sorvegliante e gli viene assegnata la missione, da parte del cervello elettronico che guida la città, di trovare Santuario rifugio dei fuggiaschi che non vogliono rinnovarsi. L'altra faccia di "L'uomo che fuggì dal futuro": si vive nella lussuria e nel divertimento sfrenato, nessun pensiero, nessun impegno, se non farsi cullare dall'illusione di un paradiso a termine. Ma quando Logan scopre che Santuario non esiste, tutto crollerà per rivelare il mondo reale al di fuori delle mura della gabbia dorata. Ancora computer senzienti, ancora distopia sociale, ancora l'abdicazione dell'uomo alla tecnologia da Grande Fratello, dopo aver distrutto le risorse del pianeta. In mezzo però a un inno giovanilistico senza futuro, in un eterno presente privo di memoria. E la corsa di Logan termina verso l'ultimo uomo anziano in vita, emblema di possibilità negate, di tempo da vivere. Non è un paese per vecchi. Un vero e proprio cult.
Generazione Proteus (Demon Seed, 1977) di Donald Cammell
E Proteus creò Eva. Un supercomputer inizia a prendere coscienza di sé e in lui cresce il desiderio di vivere. Blocca in casa la moglie dello scienziato che lo ha creato e la sottopone a dure prove psicologiche e fisiche per poi inseminarla artificialmente con un seme biotecnologico. Fa di tutto per raggiungere il suo scopo Proteus: mentire, manipolare e anche uccidere. Viene alla fine spento (non prima di aver trovato una cura alla leucemia in quattro giorni per dissuadere Julie Christie alla resistenza), ma riesce nel suo intento. Viaggio a ritroso dalla realtà virtuale a quella fisica, Hal 9000 si fa carne e rinasce. La potenza della tecnologia qui non è negativa, ma apre frontiere di copule biomeccaniche per nuove forme di vita al silicio. Oggetto filmico perduto, poco conosciuto dal grande pubblico, un piccolo gioiello con una Christie che praticamente recita da sola, duettando con la volontà di potenza di un computer. Un esempio della fertilità nascosta del decennio da riscoprire.
Interceptor (Mad Max, 1979) di George Miller
Dall'Australia con furore. Finiamo il decennio come lo avevamo iniziato: con un altro debutto, quello di George Miller che dall'Oceania ci porta in un futuro in cui le strade sono infestate da teppisti motorizzati. Il Max "Mad" Rockatansky, di un giovanissimo Mel Gibson, è l'ultimo baluardo della legge all'orda barbarica di un mondo sporco, brullo e decadente. Nel crollo dell'impero d'Occidente solo il più forte resiste e Mad Max si trasforma in un guerriero solitario e vendicativo quando amici, moglie e figlio restano vittime della violenza senza senso. Messa in quadro stretta sui volti dei personaggi, alternata ai campi lunghi dell'asfalto stradale, il montaggio ha la forma di strip di un fumetto punk ambientato in un'apocalittica finis terrae. Film di giunzione con gli anni 80, è il primo di una serie di sequel che arriveranno fino ai giorni nostri: un urlo furioso attraversa i decenni e porta Miller fino a "Mad Max: Fury Road". L'inizio di una serie cult senza tempo.