Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, prima che il titolo fosse tramutato in "Episodio IV - Una nuova speranza", prima ancora che le ragioni del copyright lo facessero conoscere alle nuove generazioni come "Star Wars", c'era solamente "Guerre Stellari", e assieme a lui un uomo chiamato George Lucas, con i propri sogni e le proprie ambizioni smisurate.
La storia che sta dietro alla genesi di quello che probabilmente è il film più importante, popolare e influente della storia del cinema assieme a "Quarto Potere" di Orson Welles, è appassionante e travagliata quanto le avventure spaziali di Luke Skywalker e dei suoi compagni, alleati contro il malvagio Impero galattico. Il film che avrebbe spalancato le porte per un nuovo tipo di fantascienza, sino ad allora relegata al rango di serie B (salvo nelle incursioni filosofiche e "colte" di Kubrick o Tarkovskij), inaugurato il concetto di blockbuster, portato il tecnicismo e la professionalità degli addetti agli effetti visivi a nuovi standard qualitativi, ispirato generazioni e generazioni di filmaker e ridefinito il concetto di "marketing" applicato a un prodotto "artistico", è in primo luogo la sfida di un solo uomo all'establishment hollywoodiano: George Lucas. Un regista, ma forse ancora di più, un produttore e un imprenditore alla Howard Hughes, nonché un infaticabile sperimentatore sulle orme di David Wark Griffith, laureato all'Ucla (assieme ad altri illustri colleghi) che si è totalmente creato da solo, e che nel 1975 era reduce dall'enorme successo del nostalgico "American Grafitti", e prima di questo del piccolo, cupissimo, gioiello sci-fi "L'uomo che fuggì dal futuro" (forse conosciuto ai più come "THX 1138"); a quei tempi, quando Lucas pensò al progetto "Star Wars", le cui basi, a partire dal concetto della "Forza", furono gettate durante una lunga degenza ospedaliera causata da un brutto incidente automobilistico (il regista in giovane età voleva diventare un pilota di auto da corsa e si dilettava in gare "clandestine" simili a quelle immortalate nel finale del suo "American Graffiti"), nessuno, assolutamente nessuno, volle credere in lui. L'unico a scommettere sul progetto fu l'amico Steven Spielberg che ipotizzò il film potesse incassare circa "cento milioni di dollari" (alla fine ne fece solo sul territorio americano oltre quattrocentocinquanta, che inflazionati alla valuta attuale corrispondono alla ragguardevole cifra di un miliardo e quattrocento milioni di dollari, secondo incasso della storia del cinema dopo "Via col vento"), ma, cifre a parte, resta la scommessa di una singola persona, testarda e determinata, che si vide chiudere in faccia le porte di tutte le major statunitensi, non intenzionate ad investire su quello che a loro parere era un progetto suicida.
Lucas creò così la propria compagnia di produzione, la Lucasfilm, così come edificò per l'occasione la propria azienda specializzata in effetti speciali, l'ormai celeberrima Industrial Light & Magic, per non parlare di un nuovo sistema audio (chiamato, guarda caso, Thx), circondandosi di quelli che poi sarebbero diventati i maggiori esponenti dell'industria cinematografica hollywoodiana (da John Dykstra a Dan O'Bannon).
In accordo con la 20th Century Fox, che avrebbe dovuto solo occuparsi della distribuzione della pellicola, Lucas investì su "Guerre Stellari" tutto il proprio capitale e tutto il proprio impegno e dedizione, un samurai solitario deriso dagli altri registi e addirittura dal cast del suo stesso film (Harrison Ford e Carrie Fisher furono i primi ad ammettere che le battute dello script gli parevano ridicole, degne di un film di serie Z) che presto si sarebbe preso la sua rivincita nei confronti di Hollywood e del mondo intero. Nessuno, a partire dallo stesso regista, era preparato per il successo sbalorditivo che avrebbe accolto "Guerre Stellari", un trionfo al di là di ogni immaginazione o ottimistica previsione.
Come spiegare il successo di un fenomeno di tale portata? Forse "Star Wars" era semplicemente il film giusto nel momento giusto, una pellicola che riuscì a intercettare il desiderio di evasione di un'intera generazione, la necessità dell'industria hollywoodiana di rinnovare il proprio immaginario, e ampliarlo. Difficile capire e andare a fondo alle ragioni di un fenomeno di costume come questo, che ancora oggi fa parlare di sé, appassiona milioni di fan, ne crea di nuovi, e non accenna ad affievolirsi (se non siete a conoscenza dell'acquisizione della Lucasfilm da parte della Disney e della messa in cantiere di una nuova trilogia, di cui il primo capitolo, diretto da JJ Abrams, in uscita da noi a gennaio 2016, avete vissuto in una caverna).
Quello che affascina nell'epopea fantascientifica ideata da Lucas, merito tuttora ineguagliato all'interno del cinema popolare contemporaneo (anche se alcuni epigoni come "Guardiani della galassia" vi si sono pericolosamente avvicinati), è la straordinaria capacità di rimescolare generi innumerevoli, senza far pesare influenze e citazioni, ma riuscendo anzi a creare qualcosa che pur essendo reminescente del passato, suoni come fresco e originale. Così il codice d'onore dei samurai dei capolavori di Kurosawa, regista prediletto di Lucas, che arriverà a produrre il suo "Kagemusha" nel 1980, diventa anche quello dei cavalieri Jedi protagonisti della saga spaziale, così come i loro combattimenti con le spade laser richiamano nemmeno troppo lontanamente "La sfida del samurai". Ancora: la coppia di droidi C-3PO (modellato sul dorato robot femmina di "Metropolis" di Lang) e C1-P8 si rifà ai due servi de "La fortezza nascosta" (sempre di Kurosawa), il percorso di crescita del protagonista Luke Skywalker, così come la sua desertica terra natia, il pianeta Tatooine, è quello classicamente formativo del cinema fordiano (così come arriva da "Sentieri Selvaggi" la sequenza della scoperta della casa bruciata degli zii) o di molti capisaldi del cinema western.
Dal cinema western pare ispirato anche lo smargiasso Ian Solo (Harrison Ford), pistolero e fuorilegge, eroe suo malgrado e sciupafemmine, e per questo adorabile. Fare un elenco delle influenze visive e narrative presenti in "Guerre Stellari" sarebbe una pratica abbastanza sterile e inutile, ci basti ricordare che il citazionismo e il rimescolamento di generi e stili diversi verrà ulteriormente amplificato nei due capitoli successivi della trilogia, e ancora di più nei film successivi (ma cronologicamente situati prima) usciti tra la fine degli anni 90 e l'inizio del nuovo secolo.
Allo stesso tempo negli "Episodi" I, II e III, benché troppo colpevolmente snobbati dalla critica e sottostimati dai fan, Lucas preme l'acceleratore sull'allegoria politica, trasformando il protagonista Anakin Skywalker (poi Darth Vader-Fener) in un angelo caduto, sacrificato sull'altare dell'opportunismo politico di un senatore assetato di potere. Se la trilogia più recente, oltre ad azzardare nuovi avveniristici tentativi nell'utilizzo delle riprese in digitale e nella commistione tra elementi reali e altri realizzati completamente in Cgi, ci sembra impregnata di una cupezza, un fatalismo struggente e un'urgenza "politica" (erano gli anni dell'amministrazione Bush immediatamente successivi all'11/9, non dobbiamo dimenticarlo) frutto con ogni probabilità di una rinnovata maturità e consapevolezza, il terzetto di pellicole "classiche" è invece più spensierato e ancora impregnato di una naiveté impensabile oggigiorno.
In "Guerre Stellari" si respira un'aria genuina, ogni sequenza del film è come se fosse una dichiarazione di libertà e possibilità infinite, figlia di un'epoca, e di un regista-sognatore che credeva (e crede tuttora) nelle possibilità della macchina-cinema, nelle sua capacità di creare mondi sconfinati e dare libero sfogo alla sua incredibile fantasia. Incasellare l'epopea lucasiana sotto l'etichetta di divertissment è quantomeno riduttivo: è con la saga di Lucas che vengono poste le basi di tutto il cinema postmoderno. Tanto più che gli script de "L'impero colpisce ancora" (che alcuni preferiscono addirittura al capitolo precedente, più cupo, serrato nel ritmo e con il personaggio più memorabile dei film della saga: il maestro Jedi Yoda) e "Il ritorno dello Jedi" portano la firma di Lawrence Kasdan, uno che con "Brivido Caldo" (produzione di George Lucas), "Silverado" e altre pellicole, contribuirà a ridefinire il concetto di postmoderno, abbracciando alcuni dei generi caratteristici del cinema americano, il noir e poi il western, aggiornandoli all'urgenza e alle nevrosi dell'attualità. Lucas e Kasdan (autori non a caso anche di un altro caposaldo di quegli anni "I Predatori dell'arca perduta"), in definitiva, contaminano la fantascienza del loro "Star Wars" con tantissime altre cose, dai classici letterari fantasy come "Dune" di Herbert, e "Il signore degli anelli" di Tolkien, all'horror, al cinema avventuroso degli anni 30, sino alla screwball comedy (i battibecchi tra Ian e Leila, esempio lampante), in un marasma visivo e narrativo a suo modo perfettamente coeso, coerente e irresistibile.
"Guerre Stellari" è in definitiva l'azzardo di un regista, sicuramente un po' folle a maniacalmente protettivo nei confronti della sua creatura (che arriverà a modificare e "migliorare" dal punto di vista degli effetti visivi, con risultati altalenanti, nel corso degli anni, a partire dall'edizione speciale datata 1997, per arrivare alla riedizione in Dvd-blu ray degli ultimi anni) ma anche incredibilmente coraggioso, visionario e astuto.
Con "Star Wars" Lucas ha creato un vero e proprio impero del merchandise, dando vita a un universo parallelo a quello cinematografico, composto da spin off (i due film sugli insopportabili Ewoks), videogame (con la creazione dell'apposita società, LucasArts), action figures, fumetti, romanzi, serie animate e altro ancora, che hanno amplificato oltre ogni misura il successo popolare e commerciale della saga lucasiana, quasi "obbligando" il suo factotum a un lungo, silenzioso e solitario ritiro dalle scene (interrotto solo nel 1999 per "Episodio I - La minaccia fantasma") in cui la sua sola occupazione, oltre alla produzione di una manciata di pellicole, è stata amministrare il proprio impero commerciale, dall'alto del proprio "regno" (lo Skywalker ranch), curandone le mille sfaccettature. Lucas è forse l'unico esempio vivente di regista-imprenditore, costantemente attento ad ogni aspetto della sua creazione, dai giocattoli ai videogiochi, ha sempre protetto e seguito il "suo" "Star Wars", almeno sino ad oggi, dopo essersi reso conto, forse, di aver esaurito quello che aveva da dire o fare sui suoi personaggi, cedendoli a mani più giovani e forse più adatte a trasportare il mito di "Guerre Stellari" nel nuovo millennio e farlo amare a innumerevoli nuove generazioni di spettatori.
Con "Star Wars" Lucas dirige il suo massimo capolavoro, spalancando la porta su un nuovo modo di intendere la fantascienza e di asservire la tecnologia (nel bene e nel male) alla settima arte.
Infine, impossibile non citare le leggendarie musiche di John Williams, con i vari temi realizzati per ogni personaggio, immediatamente diventate celebri, a cui va riconosciuto il valore e l'importanza nel creare il mito di "Guerre Stellari" e dei suoi sequel.
cast:
Mark Hammill, Harrison Ford, Carrie Fisher, Alec Guinness, Peter Cushing, Anthony Daniels, Kenny Baker
regia:
George Lucas
titolo originale:
Star Wars
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
121'
produzione:
Lucasfilm
sceneggiatura:
George Lucas
fotografia:
Gilbert Taylor
scenografie:
John Barry
montaggio:
Richard Chew, T.M. Christopher, Paul Hirsch, Marcia Lucas
costumi:
John Mollo
musiche:
John Williams