Presentato in anteprima alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia e andato in onda su Sky con un notevole riscontro di pubblico, la serie di Paolo Sorrentino - già rinnovata per una seconda stagione - è uno dei casi televisivi dell'anno
Al di là dell'incipit onirico in piazza San Marco a Venezia, dove un neonato gattona su una montagna di bambini per rinascere Papa, a stupire veramente è lo spiazzante esordio di Lenny Belardo, pontefice neo-eletto col nome di Pio XIII che, affacciandosi dalla finestra in piazza San Pietro, apostrofa le decine di migliaia di persone lì accorse con un discorso la cui apertura progressista sbanda e diventa anticlericale. Si rivelerà essere solo un sogno, o un incubo, perché in realtà le idee di Lenny in materia di fede e di comportamento religioso si manifestano in direzione opposta. Discepolo dell'anziano cardinale Spencer, un conservatore, Lenny è stato apparentemente scelto dal conclave guidato dal potente Segretario di Stato Voiello perché molto giovane e probabilmente più malleabile, rispetto all'anziano maestro. Ma Lenny si mostra sin da subito ben poco incline a farsi pilotare, assumendo un atteggiamento rigidamente formale e autoritario. Il nome scelto, Pio XIII, allude al ritorno alla tradizione più conservatrice della Chiesa cattolica, ma sicuramente nessuno e, in particolare il disorientato cardinale Voiello, poteva immaginare di trovarsi davanti un papa del genere: Lenny pare volerli punire per aver scelto qualcuno che non conoscevano e che pensavano di poter manipolare, chiarendo immediatamente che sarà lui a giocare il ruolo del grande burattinaio. È per questo che dopo i primi due episodi molti hanno facilmente paragonato "The Young Pope" a "House of Cards", con il Vaticano, al posto della Casa Bianca, come scenario. In realtà, le trame politiche, seppur gustose nel loro sviluppo, interessano a Paolo Sorrentino quale hitchcockiano mcguffin per condurre il proprio pubblico verso un'altra direzione, quella della riflessione sul ruolo di Dio nella vita degli uomini e sul rapporto con la religione al giorno d'oggi.
Lenny decide di iniziare una rivoluzione all'interno della Santa Sede: la rivoluzione consiste nella chiusura del Vaticano nei confronti dell'esterno, al fine di ricreare il mistero di Dio. Nel sapido confronto con la capo del marketing di Città del Vaticano, il Papa fa notare che gli artisti più importanti degli ultimi anni, da Stanley Kubrick in campo cinematografico ai Daft Punk in quello musicale, sono coloro i quali hanno deciso di non mostrarsi al pubblico, di accrescere il senso di attesa senza fine nei confronti di una possibile dichiarazione o nuova manifestazione della loro opera.
Dio non si mostra, non si fa fotografare né rilascia interviste. E allo stesso modo dovrà comportarsi il pontefice. Inutile dire che la dietrologia più facile è quella della sottile satira nei confronti del pontificato di Francesco, papa dell'apertura totale, ma Sorrentino ha smentito che vi siano veri riferimenti all'attualità e le coordinate della narrazione sembrano poste all'indomani della morte di Giovanni Paolo II, il papa che sul piano della visibilità ha spianato la strada a quello che la Chiesa è oggi. La nuova strategia di marketing porta a una disaffezione dei fedeli, tanto più che il primo Angelus è una sferzante arringa nei confronti della mancanza di fede dei cristiani presenti, in adorante attesa per la tanto agognata presentazione del nuovo papa: solo quando avranno trovato Dio nei loro cuori, potranno vedere Pio XIII, tuona la voce di Lenny dalla penombra, una voce invisibile e incorporea, la voce del vicario di Cristo. Consapevole di essere considerato poco più che un ragazzo da cardinali anche più che ottuagenari, Lenny pone l'accento sulla forma dell'essere Papa: sebbene stilisticamente Sorrentino sia agli antipodi di Rossellini, siamo dalle parti del disegno generale di "Presa del potere di Luigi XIV", dove l'esercizio del potere diventava rituale volto a ottundere il prossimo e allontanarlo; allo stesso modo, Pio XIII vuole mettere distanza tra sé e i fedeli, arrivando a farsi chiamare "Sua Santità" anche da Suor Mary, la donna che l'ha cresciuto in orfanotrofio e a umiliare i suoi ex-pari, facendosi baciare i piedi dopo il discorso tenuto alla congregazione dei cardinali. Ma Lenny è solo un politico spregiudicato? I suoi discorsi incendiari e integralisti sono dettati da una visione religiosa fanatica o da una machiavellica strategia?
"Assenza più acuta presenza", scriveva Attilio Bertolucci, e Lenny aspetta a manifestarsi perché in realtà vive una profonda crisi spirituale: Dio non gli parla o forse non esiste. Alla fine della prima puntata, il papa, tra il serio e faceto, rivela al manipolabile confessore Don Tommaso di non credere in Dio.
Un Papa orfano, un mondo orfano di Dio
"The Young Pope" è, seguendo la definizione del suo autore, un film lungo dieci ore, sebbene il regista partenopeo sfrutti a pieno le regole e gli stratagemmi della narrazione seriale, costruendo episodi che - al netto di un calo tra settimo e ottavo - dipanano lentamente la trama perdendosi nelle trame del Vaticano, dove la temporalità ha ritmi e connotati diversi e decelera e accelera secondo il volere del demiurgo. In effetti, se i primi episodi sono occupati dal racconto degli esordi del pontificato, presto i tempi si dilatano, senza che l'ellisse venga mai sottolineata: è la capacità di sintesi del cinema che abbrevia il racconto televisivo.
Il trait d'union di tutte le puntate consiste nella condizione dell'orfano, l'assenza cioè del punto di riferimento paterno o materno: per Lenny questo è un dolore mai superato e l'abbandono subìto si riversa nel lucido distacco con cui guarda alle relazioni con l'Altro, in bilico tra sospetto e slancio umano. E sempre per questo, come intuisce Spencer, il papa è intenzionato a condannare l'umanità a essere orfana di Dio e della Santa Madre Chiesa: la ripicca di un bambino mai diventato uomo, come suor Mary celia ("Lenny semper puer est").
Ragionando sullle caratteristiche biografiche del personaggio, non si possono non notare le analogie con l'autore: Sorrentino è rimasto orfano di entrambi i genitori quando aveva 16 anni, un evento tragico che di tanto in tanto rispunta fuori nelle interviste rilasciate nel corso degli anni. Sorrentino è anche autore di un cinema in cui i protagonisti sono uomini di mezz'età solitari e in crisi, se non propriamente anziani ("Youth - La giovinezza") e Lenny chiosa che "gli orfani non sono mai giovani". Verrebbe da dire che il regista si sia finora raccontato solo per mezzo di personaggi molto più maturi di lui: fatta salva l'eccezione dell'altro Pisapia de "L'uomo in più", per la prima volta mette qui in scena un protagonista suo coetaneo, orfano, ossessionato da tale evento e che si ritrova un potere immenso per le mani. Curioso aggiungere come l'autore, in un'intervista, abbia fatto un paragone tra i preti e i cineasti: i primi sposano Dio sfuggendo al mondo, i secondi sposano il cinema per fuggire dalla realtà. Sostenendo una tesi psicologista che ci interessa solo quale suggestione, "The Young Pope" rappresenta il lavoro più autobiografico di Sorrentino, nel quale, trincerandosi in Vaticano, egli parla essenzialmente della sua solitudine attraverso un personaggio fragile ma megalomane, a cui lo accumuna anche il potere/successo avuto in età relativamente giovane.
La scena, più volte reiterata, dell'abbandono da parte dei genitori davanti al cancello dell'orfanotrofio è "la cosa", il vuoto intorno a cui ruota l'intera esistenza del papa giovane e il motivo per cui le sue azioni tendono a essere punitive nei confronti degli altri. E se, da una parte, Pio XIII si presenta acceso da una religiosità quasi controriformista, dall'altra Lenny è umanissimo, fragile, sensibile, capace di leggere immediatamente nel cuore degli altri e di gesti compassionevoli e sinceri. "Sono una contraddizione", dirà a un certo punto della serie, rispondendo alla domanda "Chi sei, Lenny?". Egli vive a metà tra gli abissi del suo cuore e lo slancio estatico della fede, così potente in lui da permettergli di operare miracoli fin da adolescente.
Pertanto, coloro i quali si sono fermati all'asserzione di Pio XIII di non credere in Dio, si sono persi intenzioni e direzioni sorrentiniane che, nelle dieci puntate, assumono l'aspetto di un zigzagante periplo intorno alla contraddittoria personalità del protagonista. Egli vive nel dubbio eterno del silenzio divino e in bilico tra il credersi una nullità e credersi Dio stesso. Il machiavellismo di Belardo è letterale: sentendo su di sé la pressione di essere un sovrano, fa prevalere la ragione di stato su ogni idealismo e riesce a manipolare gli altri, capitalizzando vere e proprie battaglie dialettiche per far trionfare le proprie tesi reazionarie. Da ricordare, l'umiliazione che infligge al presidente del consiglio italiano, giovane e smart esattamente come Matteo Renzi, anche se ha l'aspetto di Stefano Accorsi, convincendolo a bloccare le proposte di legge sui matrimoni gay e riconsiderare la legalità dell'aborto.
Eppure, cosa c'è di più ideale della fede in Dio? Per questo nel suo estremismo ottuso, l'agire di Lenny cade ulteriormente in contraddizione, forse consapevolmente o, forse, in attesa che qualcuno gli indichi la via da seguire.
La seduzione dell'iperbole
In questo tracciato Sorrentino fa leva sulle proprie armi, come l'abilità di costruire dialoghi e sentenze che passino dal Napoli Calcio al peso di Dio, finalmente incanalati in un meccanismo narrativo che non gli permetta di parlarsi addosso (non più di tanto, per lo meno). I fellinismi utilizzati altrove qui divengono un piano onirico-surreale volto alla continua messa in scena di visioni, simboli che corredano di un senso ulteriore ciò che viene mostrato: più che satira al vetriolo, quella di Sorrentino è ironia e consapevole trasgressione nei confronti di un apparato in cui sacro e profano convergono e diabolicamente coincidono. Da antologia le scelte musicali, degne di un discepolo della scuola scorsesiana, dal ballo del primo ministro della Groenlandia che chiude il quarto episodio sulla voce fascinosa di Nada, alla vestizione di Lenny prima del discorso ai cardinali sulle note di "Sexy And I Know it" e alla chicca "I Can't Escape Myself" dei Sound.
Nella scena già citata del dialogo con il personaggio di capo del marketing interpretato da Cécile De France, Jude Law afferma che la Chiesa è sopravvissuta grazie a un'iperbole. Sarà per questo che il linguaggio cinematografico sorrentiniano, fondato sull'iperbole visiva, oltre che su quella verbale, trova qui una misura e un'aderenza congruente col contenuto narrativo, come non accadeva dai tempi de "Il Divo": non a caso, anche quello un film sull'iperbole del potere costituita per convesso dalla figura grigia e tutto sommato austera di Giulio Andreotti la cui vita, grazie allo sguardo del regista, diventava "spettacolare" (come recitava il sottotitolo). Sorrentino deve stavolta saper dosare dolly e carrelli e cercare di sfruttare gli aforismi per indirizzare la trama e i protagonisti da qualche parte, in un universo che comprenda la contemplazione di Dio come lo studio dei personaggi, tanto caro alla grande serialità americana targata Hbo. Ad abbondare sono qui le carrellate ad allontanarsi e ad avvicinarsi in traiettorie simmetriche e centrali che incorniciano il pontefice ponendolo al centro del senso diegetico, un certo gusto per le inquadrature plongée che suggeriscono ambiguamente la superiorità intellettuale, morale e spirituale di Pio XIII e l'uso, altrettanto ambiguo, di una ricca fotografia che avvolge alcune sequenze nell'accecante e divina luce della sovraesposizione. Inoltre, il montaggio costruito su raccordi sul movimento e sullo sguardo moltiplica i punti di vista e, anche qui, Sorrentino è un bravo allievo della serialità americana, riuscendo a sbozzare un coro di personaggi tutt'altro che secondari, con una fisionomia vivida che amplifica di sfaccettature sia il ritratto della Chiesa che quello del protagonista. Memorabili alcuni passaggi con protagonista Silvio Orlando che recita in inglese esattamente come ci si aspetterebbe da lui, sebbene rimanga teneramente imbarazzante il suo platonico amore per la Sister Mary di Diane Keaton, alle prese con un ruolo veramente interessante dopo anni di arzille vecchiette. Ma il migliore è sicuramente il cardinale Gutierrez di Javier Cámara, protagonista del nono episodio: sembra essere l'unico prete a non fumare, ma è un alcolizzato spaventato dal mondo e dalla propria omosessualità; guarda con riverenza il pontefice che, a sua volta, lo stima pur conoscendone i vizi: il loro rapporto è probabilmente tra i più fecondi della serie, se non altro per l'immagine della "chiamata" di Gutierrez, con l'apparizione della Vergine. E, infine, c'è l'autentica rivelazione: Jude Law che, tra mimica minimale e accensioni divistiche, tira fuori la migliore interpretazione della sua carriera. Il già citato discorso ai cardinali sul finire del quinto episodio è sia un capolavoro di scrittura sia un picco recitativo dell'attore.
La leggerezza del Caso, il peso delle fede
L'unica scena interessante dell'ottavo episodio si risolve nella passeggiata per i giardini vaticani (naturalmente ricostruiti, come tutte le scenografie) fatta dal Papa e dal suo scrittore preferito, Elmore Coen, dietro il quale si celano due se non tre personalità: il nome potrebbe essere una fusione a freddo tra Elmore Leonard e i fratelli Coen, mentre il personaggio di grande letterato ebreo ancora non insignito del Nobel parrebbe essere un omaggio a Philip Roth. A proposito di Joel ed Ethan Coen, ammiratissimi da Sorrentino, la serie potrebbe essere la risposta italiana e cristiana al modo con cui i fratelli cineasti hanno affrontato il loro essere ebrei e la loro prospettiva del mondo in alcune delle loro ultime opere. Come sempre a essere una spia è l'eterna contraddizione-Lenny, machiavellico sì, ma anche santo. I miracoli che opera Lenny non sono sempre comprensibili: se quello compiuto in adolescenza e di cui non vuole che si parli può essere considerato lo sfogo mistico di un adolescente, quelli che vediamo o non vediamo durante la serie dovrebbero farci riflettere meglio. Lenny confessa a Don Tommaso di aver pregato con tutte le sue forze per diventare Papa, chiedendo a Dio di non far eleggere né il suo padre spirituale, Spencer, né il suo più caro amico, il cardinale Dussolier. Capiamo che sta raccontando il vero, perché Voiello aveva ammesso precedentemente che non erano state le sue manovre a far convergere i voti su Belardo ma che veramente, su di loro, aveva soffiato lo Spirito Santo. Prega, anzi, intima a Dio di far rimanere incinta la sterile Esther (con il mantrico "You Must!") e dopo nove mesi la donna partorirà; prega, in ginocchio sotto la pioggia, per risolvere il problema di Suor Antonia, che sfrutta il potere derivatole dai villaggi che gestisce per scopi personali: e in quello stesso momento, in Africa, la donna muore. Se Lenny è davvero in contatto con Dio perché i suoi miracoli sono di così bassa portata, se non invisibili? E perché il suo agire è in contraddizione con la morale comune, inizialmente, addirittura terrificante per i fedeli cattolici? Il nodo - anche teologico - della questione sta qui: chi ha stabilito che la santità rimi con simpatia, con totale apertura? E, inoltre, non c'è scritto nelle sacre scritture che il disegno di Dio è per gli uomini imperscrutabile, quindi, di fatto, incomprensibile?
Torniamo quindi ai Coen. Indubbiamente Sorrentino lavora dentro le mura vaticane con l'idea di sovvertire e trasgredire, ma permane una dose di fascino e di umanissima curiositas per il clero: essi sono prigionieri della loro fede, schiacciati dal peso di dubbi e debolezze e il regista è abile a sfruttare monumenti, siepi, cancellate di ferro, per sottolineare visivamente il loro isolamento, anche quando sono a pochi centimetri di distanza. Il vuoto di senso, l'accettazione del mistero e del Caos, caratteristiche prepotenti del cinema coeniano, qui sono convertite in maniera meno radicale e, appunto, maggiormente contraddittoria: in sostanza, Sorrentino non sceglie, per lo meno non ancora, di risolvere tutte le questioni relative al personaggio ponendo l'accento sulle sfaccettature psicologiche e umane.
La serie si conclude con un'ultima carrellata e zoom-out che da Piazza San Marco ci mostra l'Italia, l'Europa e infine la Terra: sarebbe una citazione di "Burn After Reading", se non fosse che quello è davvero lo sguardo dell'Altissimo. Dio c'è, almeno per Lenny, ma non sappiamo cosa pensi, cosa dica e cosa faccia. Il silenzio di Dio che tanto aveva provato l'anima e il cinema di Ingmar Bergman non viene scalfito. Ma abbiamo fatto conoscenza del suo strumento, Lenny Belardo, un uomo.
Si tratta dunque di un capolavoro o di un'opera rivoluzionaria? Per chi scrive, no. Non tutto gira alla perfezione, alcuni passaggi sono farraginosi, altri fin troppo meccanici e bruschi (la crisi del settimo episodio) e una puntata si rivela un buco nell'acqua (la sortita africana dell'ottavo). I dialoghi talvolta spiegano troppo (anche se il monologo di Voiello su "Che fine ha fatto Tonino Pettola?" è retoricamente rivolto allo spettatore, un pezzo di meta-tv), come se fossimo in "Game of Thrones" e ci fossero decine e decine di personaggi da gestire; probabilmente dovuto al timore nei confronti di un pubblico italiano ampio ma non ancora completamente svezzato dalle fiction di Mamma Rai. Ciononostante "The Young Pope" ci restituisce un Sorrentino che credevamo di avere smarrito dopo la sbornia e la grandeur de "La grande bellezza", con i suoi vizi e le sue virtù artistiche, ma che approcciando un mezzo nuovo e una materia delicata dimostra di essere ancora capace di mettersi da parte, per far spazio alle voci e alle storie dei suoi personaggi.
Adesso, non ci rimane che attendere di vedere come il pontificato di Pio XIII continuerà nella già annunciata seconda stagione...
NOTA
"L'anteprima veneziana" è a cura di Carlo Cerofolini, la restante parte della scheda a cura di Giuseppe Gangi.
titolo:
The Young Pope
titolo originale:
The Young Pope
canale originale:
Sky Atlantic, HBO, Canal+
canale italiano:
Sky Cinema
creatore:
Paolo Sorrentino
produttori esecutivi:
Lorenzo Mieli, Mario Gianani, Viola Prestieri, Paolo Sorrentino, Caroline Benjo, Carole Scotta, Simon Arnal, Jaume Roures, Javier Méndez, Tony Grisoni, John Lyons, Nils Hartmann, Sonia Rovai, Roberto Amoroso
cast:
Jude Law, Silvio Orlando, Diane Keaton, Javier Cámara, Cécile de France, Scott Shepherd, Toni Bertorelli, James Cromwell, Ludivine Sagnier
anni:
2016