Il cinema di Asghar Farhadi ha sempre avuto nelle tematiche affrontate un respiro che travalicava i confini del proprio paese. Pur essendo legato alla sua cultura nazionale, Farhadi ha rappresentato le dinamiche sociali dell'Iran contemporaneo nei suoi film con ossessioni ricorrenti: l'approfondimento della psicologia dei personaggi; la famiglia che diviene luogo di conflitto e di scontro/confronto tra maschile/femminino, dove la rottura del rapporto tra marito/moglie nel matrimonio, sia come istituzione sia come legame di anime, porta a drammi e tragedie sotterranee.
Un fiume carsico di emozioni che arrivano in superficie quando entrano in gioco elementi disturbanti o esterni o innestati nella cerchia dei rapporti parentali. Sono elementi universali del suo cinema: pensiamo, ad esempio, a "
Una separazione" - suo capolavoro del 2011 - dove, appunto, la rottura tra marito e moglie, porta il primo a una presa di coscienza delle ipocrisie individuali; oppure a "
Il passato", in cui ormai l'allontanamento della coppia è avvenuto e il confronto tra culture diverse (francese e persiana) viene rappresentata dal punto di vista emotivo oltre che spaziale; o persino ne "
Il cliente", che racconta metaforicamente una messa in scena duale tra realtà sociale e culturale, con l'ibridazione tra Occidente e Oriente, attraverso il conflitto morale ed etico in una giovane coppia messa in crisi dal tentativo di violenza subito dalla moglie e dalla ricerca di vendetta da parte del marito. E quindi non stupisce che la "rottura" del legame familiare ritorni puntualmente anche in "Tutti lo sanno", ultima opera del regista iraniano, allargando il discorso all'intera struttura parentale.
Farhadi non ha bisogno in questo caso di ambientare la storia in Iran, ma decide di traslarla in Andalusia con un cast internazionale ispanico, riaffermando la capacità autoriale di affrontare temi legati all'individuo e al suo contesto tribale che si ripetono - sia che ciò accada in Iran, in Spagna o in qualsiasi altro luogo del pianeta - e rafforzando ancora di più la focalizzazione indipendente del suo cinema.
Laura (Penélope Cruz), il suo ex-fidanzato spagnolo Paco (Javier Bardem) e il marito argentino Alejandro (Ricardo Darín) sono i vertici di un triangolo equilatero all'interno di una struttura geometrica più ampia, in cui si collegano i legami tra le sorelle di Laura, i cognati, i nipoti, i figli, i cugini, i conoscenti, gli amici e gli stessi abitanti del villaggio natio della donna, in un reticolo complesso di relazioni emotive che compongono una cattedrale antica, piena di crepe, meccanismi delicati, amori, odi, gelosie, rivendicazioni personalistiche. Il tutto ben rappresentato fin dalla prima inquadratura di "Tutti lo sanno", in cui vediamo in azione il meccanismo dell'orologio della torre campanaria della chiesa del villaggio. Un vecchio orologio crepato e con una frattura sulle cinque, come a ricordare che
a las cinco de la tarde (Federico Garcia Lorca,
dixit) accadono le tragedie conosciute in silenzio da tutti.
Il ritorno in famiglia di Laura, con i suoi figli, per il matrimonio della sorella minore, se in un primo momento appare come un momento di riunione felice, si trasforma ben presto in dramma: il rapimento della figlia adolescente di Laura fa emergere fratture mai sanate all'interno dei rapporti familiari e personali che hanno radici nel passato e che si trascinano fino al presente, senza soluzione di continuità, oltre il tempo e lo spazio. Le apparenze sono tutto: così Laura se, in un primo momento, appare ricca (sposata all'imprenditore argentino Alejandro che ha fatto restaurare la facciata della chiesa) in realtà deve fare i conti con il fallimento economico della famiglia; Paco è un imprenditore vinicolo di successo, ma alla fine è considerato dalla famiglia di lei come un approfittatore, avendo comprato per pochi soldi il terreno appartenente al padre; la sorella più vecchia, insieme al marito, ha un'avviata attività alberghiera che però non frutta come può sembrare e a malapena la coppia riesce a sopravvivere con una figlia a carico, la piccola nipote e il genero scappato in Germania, per trovare un lavoro a causa della crisi economica.
Il rapimento della figlia di Laura manda letteralmente in frantumi tutti i rapporti familiari, in cui nessuno si fida più dell'altro, dove il sospetto alligna, nel momento in cui si realizza che il responsabile del dramma è all'interno della cerchia parentale e, ancor di più, il dramma raggiunge il calor bianco quando l'evento traumatico avviene all'interno di un momento massimo di festa come può essere il matrimonio dell'amata sorella minore. La felicità e la tragedia convivono una nell'altra, in una matrioska emotiva che, a mano a mano che i segreti inconfessabili della famiglia sono disvelati, portano allo strappo del velo di ipocrita apparenza mostrando le macerie dei rapporti umani.
Farhadi, così come ne "Il cliente" s'ispirava a "Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller, cita una serie di fonti cinematografiche occidentali che vanno da
Alfred Hitchcock (la scala della torre che ricorda "
Vertigo") a Francis Ford Coppola (le scene del matrimonio che ricordano molti film dell'autore italoamericano fin da "Il padrino", ma non solo) in una dimostrazione della propria cultura e dell'ampio respiro del suo cinema, fino ad arrivare ad "Anatomia di un rapimento" di
Akira Kurosawa, forse la più intima contaminazione compiuta dal regista iraniano in "Tutti lo sanno".
Ma, al di là del gioco citazionistico fine a se stesso, Asghar Farhadi inserisce questo immaginario collettivo all'interno di una struttura filmica tipica del suo cinema: la sceneggiatura solidamente scritta nei minimi dettagli, il cesello psicologico dei personaggi, la grande bravura di direttore di attori - riesce a far recitare insieme Penélope Cruz e Javier Bardem (moglie e marito nella vita) controllandone il loro istrionismo e utilizzandone al massimo le capacità attoriali per la riuscita dello sviluppo drammaturgico. Inoltre, il regista iraniano compie un passo in più e agli interni e i primi piani prediletti del suo cinema, alterna scene di gruppo ed esterni dove il paesaggio diviene elemento visivo che indica l'antico isolamento dei personaggi causato da rapporti interrotti e controversi.
Farhadi si conferma un autore dal respiro internazionale, capace di affrontare nuovi generi (come il thriller) per parlare dei temi a lui cari, in un'opera come "Tutti lo sanno" che riesce a mantenere la tensione drammaturgica per tutta la durata filmica e rimanendo fedele al suo stile riconoscibile, fino al finale (aperto), fatto di qualità visive, controllo della messa in scena e di una scrittura cinematografica con pochi eguali.