Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
6.5/10

Si può dire che la cifra stilistica di Alexander Payne risieda nella sua adesione piuttosto netta ai generi classici della commedia e del dramma, ma con un approccio ondivago, visto che tali generi vengono poi inesorabilmente amalgamati tra loro - per coniugarsi nell’ibrido, ormai codificato, del dramedy - ogni volta con preponderanza dell’una o dell’altra componente. E così di Payne si può parlare di una prevalenza per i toni della commedia ("Sideways", piuttosto che "Downsizing" - l’unico film che finora aveva tentato l’incursione in generi diversi da quelli più tradizionali) o di una tendenza verso il drammatico ("Nebraska", "Paradiso amaro"). In altri casi, tuttavia, si registra un equilibrio pressoché perfetto tra comedy e drama, con la discrezionalità autoriale che si va a concentrare sulla scala dei toni, più esasperati quelli di "Citizen Ruth", più pacati quelli di "A proposito di Schmidt".

L’altro aspetto che accomuna le opere di Payne è la partecipazione del regista alla sceneggiatura, con contributi che si intuiscono fondamentali (o comunque importanti) vista la sempre puntuale aderenza tra script e messa in scena. L’unica eccezione era rappresentata da "Nebraska" (scritto dal solo Bob Nelson) a cui si aggiunge ora "The Holdovers", la cui sceneggiatura è accreditata esclusivamente a David Hemingson, volto nuovo del grande schermo visto che finora aveva scritto soltanto per il mondo della serialità. Forse in "The Holdovers" - così come in "Nebraska" - un intervento di Payne (o quanto meno un intervento che giustificasse il ruolo di cosceneggiatore) non era necessario, visto che anche questo film (come tutti gli altri del regista di Omaha) ha il pregio di raccontare una storia che sembra non lasciare nulla di intentato a una messa in scena comunque piuttosto canonica.

Qui abbiamo la storia, ambientata in New England, nel 1970, di un controverso ma appassionato professore di studi classici, che alla fantomatica Barton Academy, per l’occasione trasformata in una sorta di Overlook Hotel ante litteram, dovrà occuparsi degli studenti che non potranno trascorrere in famiglia le vacanze di Natale e che dunque saranno costretti a rimanere nei locali dell’istituto. Il professor Hunham e lo studente Angus Tully resteranno soli, insieme alla capocuoca Mary - che ha di recente perso un figlio in Vietnam - e al tuttofare Danny, dopo che altri quattro studenti verranno recuperati e portati altrove per le vacanze dal padre di uno di essi.

Si è parlato di stile New Hollywood per questo film in cui Payne riprova, dopo aver tentato un salto in un futuro indeterminato con "Downsizing", a discostarsi dal presente a lui congeniale con un tuffo in un passato ben determinato (siamo nel dicembre 1970 e nei primi giorni di gennaio del 1971). Con il periodo storico ci siamo, con le atmosfere (che ricordano soprattutto le opere di Hal Ashby) pure, e c’è anche l’omaggio a un film cardine di quella stagione, "Il piccolo grande uomo" di Arthur Penn, responsabile insieme ad alcune opere coeve ("Soldato blu", "Un uomo chiamato cavallo") di una svolta nella raffigurazione cinematografica dei nativi americani all’interno del genere western.
C’è il tema caro alla New Hollywood del loser, perfettamente calato nella figura del protagonista (un sontuoso Paul Giamatti), mentre quel che torna soltanto relativamente è invece l’ambientazione nel mondo dell’alta borghesia americana, anche se in realtà essa funge soltanto da contesto in cui si muovono personaggi appartenenti ad altre classi sociali (con l’importante eccezione del ragazzo coprotagonista, Angus Tully - ottimo esordio per Dominic Sessa). Insomma, per trovare nei film della New Hollywood delle ambientazioni idealmente assimilabili a quelle di un collegio esclusivo per ragazzi benestanti del New England bisogna pensare a opere che hanno anticipato la corrente come "Un uomo a nudo", oppure, per voler scomodare una delle opere fondatrici, a "Il laureato", con il film di Payne che potrebbe quasi essere considerato - da un punto di vista strettamente ipotetico e fatti salvi dunque gli inevitabili anacronismi - un potenziale prequel del capolavoro di Nichols, capace di mostrarci come un personaggio come Angus Tully possa rappresentare l’anticamera di un Ben Braddock e della sua inquietudine esistenziale.

Ma al di là di queste suggestioni, "The Holdovers" resta un’opera che, per quanto abbia sollevato non pochi entusiasmi, soprattutto in patria, pare discostarsi ben poco dall’ideale film medio dell’ultimo Payne, che dopo "Sideways" ha proposto una serie se vogliamo abbastanza coerente di opere agrodolci, formalmente corrette, sicuramente sempre a fuoco, ma mai veramente trascinanti e mai veramente entusiasmanti, né per gli aspetti formali, né per quelli più propriamente narrativi. "The Holdovers", con la sua congerie di tematiche di costante attualità (la guerra, le minoranze, il lutto, l’amore senile, l’educazione, le istituzioni sociali) con le quali è difficile compiere grandi scivoloni, se proprio non li si vanno a cercare, non sembra discostarsi da quel trend. Per certi versi, Payne aveva osato di più con i film precedenti ("Paradiso amaro", "Nebraska", "Downsizing"), pur senza mai centrare pienamente l’obiettivo. Con "The Holdovers" torna in una comfort zone (quanto meno narrativa) che tuttavia non consente al risultato complessivo di elevarsi oltre il livello di una scialba medietà.


26/01/2024

Cast e credits

cast:
Paul Giamatti, Dominic Sessa


regia:
Alexander Payne


titolo originale:
The Holdovers


distribuzione:
Universal Pictures


durata:
133'


produzione:
CAA Media Finance


sceneggiatura:
David Hemingson


fotografia:
Eigil Bryld


scenografie:
Ryan Warren Smith


montaggio:
Kevin Tent


costumi:
Wendy Chuck


musiche:
Mark Orton


Trama
New England, durante le feste di Natale del 1970. Un controverso ma appassionato professore di studi classici dovrà occuparsi degli studenti che non potranno trascorrere in famiglia le vacanze e che dunque saranno costretti a rimanere nei locali della prestigiosa (ed esclusiva) Barton Academy.