Pochissimi cineasti, come Herzog, sanno rinnovarsi nella continuità, sanno imporre il proprio segno distintivo, il proprio posizionamento autoriale in maniera così assidua e costante.
Il regista tedesco, ormai ottantenne, sembra proporre sempre lo stesso film, sembra ripetersi continuamente, eppure sorprende ogni volta di più con la sua pur consolidatissima poetica, con la sua visione del mondo, con il suo sguardo critico sulla bellezza e sulla natura, sulla morte e sulla vita.
In "The Fire Within" Herzog ripercorre davvero – e forse mai come in questo caso – la sua intera filmografia per darci un messaggio, una sintesi, una morale. E forse anche un lascito.
L’ultima fatica dell’autore bavarese è innanzitutto un omaggio ai vulcanologi Katia e Maurice Krafft, coppia di alsaziani che ha portato la propria passione per la scienza alle più estreme conseguenze, quelle del sacrificio.
Da scienziati, talvolta anche un po’ improvvisati, che filmavano le proprie ricerche, i coniugi Krafft hanno finito per diventare dei veri e propri filmmaker.
A un certo punto Herzog lo dice chiaramente: navigando nell’archivio dei Krafft ha come l’impressione di ripercorrere i capitoli di una grande opera sulla creazione che i loro autori non hanno avuto il tempo di montare.
I filmati raccolti negli anni dai coniugi Krafft sono opere di una straordinaria potenza visiva che intendono raccontare e fotografare gli elementi - l’acqua, il fuoco, la terra - nella loro accezione più dinamica, come le colate laviche che scorrono inarrestabili. Sono opere che intendono raccontare e fotografare gli elementi e le loro commistioni: in uno dei momenti visivamente più suggestivi della pellicola l’acqua incontra il magma – che è a sua volta l'unione tra fuoco e terra – durante un’eruzione filmata dai Krafft alle isole Hawaii.
Commistioni che danno vita a fenomeni quasi ultraterreni, forgiando nuove forme di materia. E la mente corre ad "Apocalisse nel deserto" e soprattutto a "The Wild Blue Yonder", le opere in cui Herzog usava lo stesso procedimento, ma per fini completamente diversi - nel caso di "L’ignoto spazio profondo" per creare un intreccio tra fantascienza e documentario, tra realtà terrena e fantomatici paesaggi extraterrestri.
La scienza come opera d’arte, dunque, e l’arte come scienza. Un percorso intrapreso ormai da anni dall’Herzog documentarista, quanto meno da "Il diamante bianco" (2004) e soprattutto da "Encounters at the End of the World" (2007), passando per "Into the Inferno" (2016) e il recente "Fireball" (2020). Uno sguardo che non è mancato nemmeno all’Herzog dei film di finzione, come nel bistrattato "Salt and Fire" (2016).
Quel che è certo è che da un po’ di anni abbiamo a che fare con un Herzog più materico e meno astratto. Un Herzog sempre più vicino alla sua idea di un cinema "fisico", ma comunque non meno teorico.
Il tema dei vulcani era già stato affrontato svariate volte da Herzog. Nei citati "Encounters" e "Into the Inferno", dove peraltro apparivano i Krafft. E nel fondamentale "La Soufrière", il mediometraggio che per certi versi può essere considerato la sua opera concettualmente più vicina a "The Fire Within", se si considera che in quel documentario girato nel 1976 Herzog aveva immortalato una delle sue tante imprese folli, il viaggio sull’isola di Guadalupa nell'imminenza di un'annunciata, devastante eruzione vulcanica.
L’incoscienza dell’Herzog di "La Soufrière" è però soltanto una lontana parente del rischio calcolato che costituiva il metodo di lavoro dei Krafft, un rischio che sfocerà nella loro tragica fine: i due coniugi troveranno la morte il 3 giugno 1991, in Giappone, sul Monte Unzen, a causa di un improvviso, devastante flusso piroclastico, mentre erano impegnati nelle loro ricerche e nella loro attività di documentazione.
Si è detto di un Herzog che si ripete e che pure non smette di sorprendere. Si ripete perché lo schema di "The Fire Within" è del tutto analogo a quello di uno dei documentari più celebrati della maturità del regista bavarese, "Grizzly Man". Identica è infatti la struttura, quella di una tragedia raccontata con le stesse immagini di chi l’ha vissuta, con Herzog che si limita a commentare le riprese con la sua iconica inflessione, senza che la tragedia gli impedisca di sfoderare il suo velato, pragmatico cinismo. Herzog commenta riprese altrui, montate secondo il classico schema che riserva alla parte centrale un lungo flashback, che segue l’annuncio della tragedia e precede la sua effettiva realizzazione.
C’è addirittura la stessa, ineluttabile necessità di soffermarsi sull’ultimo istante di una vita. In "Grizzly Man", quella dello scombinato Timothy Treadwell, ucciso da un grizzly dopo essersi illuso di essere stato accettato nel loro habitat. In "The Fire Within", quella dei Krafft, uccisi da un vulcano mentre cercavano di immortalarne l’imprevedibile furia distruttiva.
Lì era l’audio di una videocamera accesa rocambolescamente durante l’attacco del plantigrado, ma rimasta con il copriobiettivo inserito. Qui è la ripresa di un reporter che girava i suoi servizi accanto ai Krafft poco prima che il flusso piroclastico giungesse a prendersi le loro vite.
"The Fire Within" è puro Herzog, anche se di Herzog di fatto c’è soltanto il montaggio, la voce narrante e – aspetto non secondario e anzi caratterizzante – una colonna sonora che permea l’intera narrazione, con la sua ridondante irruenza, che crea uno scarto potentissimo tra visivo e sonoro, cosa a cui del resto il regista ci ha abituato fin dai tempi di "Segni di vita" e "Aguirre", ma anche – e non meno efficacemente – in opere minori come "Grido di pietra".
Ma "The Fire Within" può essere anche un lascito, si è detto. E non solo per l’età del cineasta, ormai ottuagenario.
Herzog presenta i Krafft come suoi sostanziali emuli, meno fortunati di lui quanto alla sorte, ma come lui attirati dalla passione per l’immagine estrema, per la documentazione della natura nel momento in cui esprime, contemporaneamente, la sua massima bellezza e la sua mortifera, letale pericolosità.
I Krafft erano famosi vulcanologi, ma nella loro vita avevano coltivato altresì una generica passione per il viaggio, per la natura, per l’antropologia, immortalando il tutto con immagini che ricordano l’Herzog di "Echi da un regno oscuro", di "Woodabe", di "Rintocchi dal profondo".
Come già accaduto con "Nomad", Herzog vuole forse semplicemente segnalarci gli altri sé da scoprire nello sterminato mondo di coloro che hanno donato la propria vita per una causa, dal più celebre Chatwin ai meno conosciuti coniugi Krafft.
La sua vita, Herzog, l’ha dedicata a forgiare una sua intensa e coerente idea di cinema. Che per quanto consolidata e ormai ben nota, sembra davvero non avere un crepuscolo.
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Post Scriptum.
Sicuramente non può tacersi del fatto che in questo 2022 siano usciti ben due documentari sui coniugi Krafft: oltre a questo di Herzog, è infatti stato rilasciato (prima in sala, poi su piattaforma) quello diretto da Sara Dosa, "Fire of Love", prodotto da Disney - National Geographic.
Il che potrebbe sembrare inusuale e anomalo, se non fosse che ultimamente si è assistito in svariate occasioni a coincidenze simili. Come è accaduto per la vicenda del salvataggio dei ragazzi thailandesi nella grotta allagata dai monsoni - anche se in quel caso si trattava di un avvenimento temporalmente più vicino e che quindi poteva giustificare un'inflazione di opere, documentarie e non.
Ad ogni modo, si è volutamente evitato ogni confronto, confinandolo in questa nota a margine, in cui non può che darsi atto delle grosse analogie esistenti tra le due opere, a partire dalla struttura (introduzione sul Monte Unzen, in cui si preannuncia la tragica fine dei due coniugi; lungo flashback biografico; epilogo tragico preannunciato).
Ma in realtà a prevalere sono le differenze. Quelle nell'accompagnamento musicale, ad esempio (e si è detto sopra quanto sia fondamentale questo aspetto nel cinema di Herzog). Oppure il fatto che il film di Sara Dosa si concentri molto (fin dal titolo) sui Krafft come coppia.
Ma la differenza principale è nell'impostazione complessiva dell'opera: nel pur più che discreto "Fire of Love", i Krafft sono in fondo due vulcanologi, raccontati secondo lo stile peculiare e piuttosto standardizzato dei prodotti National Geographic; nel film di Herzog i Krafft diventano due personaggi perfettamente calati nella galleria di eroi tragici costruita negli anni dall'autore tedesco, nel presepe vivente della filmografia herzoghiana.
cast:
Maurice Krafft, Katia Krafft
regia:
Werner Herzog
titolo originale:
The Fire Within: A Requiem for Katia and Maurice Krafft
durata:
81'
produzione:
Bonne Pioche Television, Brian Leith Productions, Titan Films
sceneggiatura:
Werner Herzog
fotografia:
Henning Brümmer, Maurice Krafft
montaggio:
Marco Capalbo
musiche:
Ernst Reijseger