Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
7.0/10

fireball: messaggeri dalle stelle

Dopo aver parlato di eruzioni vulcaniche in "Into the Inferno" (2016), Werner Herzog prosegue il suo discorso sulla natura - madre affascinante, capace di riempire gli occhi di meraviglia, ma al tempo stesso da temere e rispettare per il suo ruolo potenzialmente distruttore - dedicando il suo ultimo documentario, ennesima fatica di una filmografia sterminata, ai meteoriti e al loro incontro con la terra. Un incontro che può essere devastante, come nel caso del corpo celeste che 66 milioni di anni fa causò l’estinzione dei dinosauri. O che può essere un’occasione di studio, per tentare di conoscere meglio l’universo e per capire magari come si possa formare la vita fuori dalla Terra, intrecciando chimica e biologia.

Il regista è ancora una volta in compagnia di Clive Oppenheimer, il vulcanologo britannico che Herzog aveva conosciuto in Antartide ai tempi di "Encounters at the End of the World", e con cui aveva collaborato proprio in "Dentro l’inferno", di cui lo scienziato inglese aveva fornito lo spunto e a cui aveva partecipato come inviato-intervistatore. Qui Oppenheimer aggiunge ai ruoli già ricoperti nel film del 2016 quello di co-regista, per un’opera che del resto ha fortemente voluto in prima persona.

I due si recano in giro per il mondo in cerca di meteoriti, passati o presenti, tornando in molti luoghi tipicamente herzoghiani. L’Australia del cratere di Wolfe Creek. O l’Antartide del loro primo incontro, dove una spedizione scientifica sudcoreana ricerca meteoriti sfruttando l’omogeneità visiva e cromatica del paesaggio, con discreti risultati. O ancora quella Siberia - già immortalata dal bavarese in "Rintocchi dal profondo" e in "Happy People" - teatro di alcuni dei più importanti eventi meteoritici nella storia recente del pianeta (l’ultimo, nel 2013, ben documentato, essendo avvenuto in piena era digitale).

Ma vi sono anche luoghi mai toccati dalle precedenti narrazioni herzoghiane. Dalle Hawaii del telescopio Pan-STARRS, incaricato di monitorare la volta celeste per identificare potenziali minacce per il pianeta provenienti da asteroidi o altri corpi celesti. Alla Norvegia in cui è nata – grazie a un amatore non professionista, un jazzista di fama che si è dato alla scienza per passione, senza mai rinnegare la sua condizione di dilettante – una nuova branca della geologia (o, per meglio dire, dell’esogeologia) che si occupa di studiare i micro-meteoriti raccogliendoli dai tetti dei grandi edifici urbani.

Si va in Messico, nello Yucatan, a Chicxulub Puerto, la località che 66 milioni di anni fa fu colpita dal meteorite le cui conseguenze portarono all’estinzione dei dinosauri (e non solo). E si va in Rajasthan, in un tempio hindu costruito all’interno di un cratere meteoritico e dedicato a Shiva, non a caso divinità che reca in sé l’apparente antitesi tra distruzione e creazione. E si va anche in Italia, alla Specola vaticana, l’osservatorio astronomico di Castel Gandolfo gestito dai gesuiti, per un intermezzo che consente di affrontare l’annoso tema dei rapporti tra fede e scienza. Un argomento che nel film diventa centrale quando si ricorda il ruolo che ha per la religione islamica la pietra nera della Ka’aba, quella che secondo molti scienziati non è altro che un meteorite, pur non essendovene la controprova, considerato il sistematico rifiuto di renderla oggetto di analisi scientifica (a causa della sacralità del luogo gli stessi registi, non essendo di fede islamica, non si sono potuti nemmeno avvicinare alla Ka’aba e sono stati perciò costretti a delegare le riprese a un credente in pellegrinaggio). L’aggancio al tema religioso è peraltro quello che conduce a una delle definizioni più suggestive dei meteoriti, quella di "e-mail inviate da Dio" fornita da uno degli intervistati. E dà lo spunto, altresì, per captare la peculiarità herzoghiana del progetto, che è volto non tanto a fornire il solito resoconto accademico di un fenomeno scientifico ampiamente studiato, bensì a valutare l’impatto che tali fenomeni hanno sulle persone e sulle comunità – con un piglio, dunque, anche sociologico e antropologico.

Quello di "Fireball" è il solito Herzog documentarista, che si mostra poco o nulla, ma che fa sentire la sua ingombrante presenza con la consueta voce narrante schietta e ruvida, che non risparmia commenti e giudizi, anche clamorosamente off-topic, come quando coglie l’occasione di un’inquadratura tecnicamente sbagliata (nelle riprese effettuate dalla spedizione sudcoreana in Antartide) per criticare l’ottusità dogmatica delle scuole di cinema (da sempre bersaglio degli strali del regista). È un Herzog che non manca di rispolverare i suoi cavalli di battaglia, concettuali e stilistici. Dal viaggio a piedi, con le missioni sul ghiaccio antartico alla ricerca di meteoriti (immortalate da immagini straordinarie catturate per mezzo di droni) che vengono definite la "ultimate experience" degli appassionati di cammini. All’utilizzo all’interno della colonna sonora dei brani dei tenores sardi, di cui Herzog si innamorò (almeno) da quando vide "Padre padrone" dei fratelli Taviani.

Ogni documentario di Herzog è un evento e se quelli della sua senilità lo sono forse un po’ meno – essendosi innegabilmente attenuata la dirompenza teoretica e filosofica delle sue più acclamate opere non fiction della giovinezza e della maturità artistica (i vari "Fata Morgana", "Apocalisse nel deserto", "Paese del silenzio e dell’oscurità") – e se sicuramente un po’ meno riusciti sono questi documentari itineranti (visivamente straordinari, ma eccessivamente frammentati), rispetto a quelli in cui il regista riesce a far valere la sua statura morale e intellettuale di personaggio a tutto tondo (come in "Meeting Gorbachev"), resta pur sempre la sensazione – che nell’ambito del cinema di finzione era tipicamente kubrickiana – che ogniqualvolta Herzog si accinga a parlare di un determinato argomento all’interno dei suoi documentari, quella possa essere l’opera definitiva su quello specifico tema.

Va infine rilevato, giusto per non tralasciare gli aspetti distributivi, come faccia notizia il fatto che Apple si sia accaparrata il film per rilasciarlo sulla piattaforma con cui si propone di competere con le più blasonate e rodate compagnie di streaming, innestandosi in un mercato ormai ai limiti della saturazione. Come aveva fatto Netflix con "Into the Inferno" (e sebbene Netflix abbia una politica decisamente meno selettiva di quella della mela), a Cupertino hanno evidentemente valutato positivamente l’opportunità di avere un Herzog in esclusiva in un catalogo che pur stenta ancora a decollare. Un po’ come esporre un Modigliani in una villa in costruzione, ma tant’è.


11/12/2020

Cast e credits

cast:
Clive Oppenheimer


regia:
Werner Herzog, Clive Oppenheimer


titolo originale:
Fireball: Visitors from Darker Worlds


distribuzione:
Apple


durata:
97'


produzione:
Sandbox Films, Spring Films, Werner Herzog Filmproduktion


sceneggiatura:
Werner Herzog


fotografia:
Peter Zeitlinger


montaggio:
Marco Capalbo


musiche:
Ernst Reijseger


Trama
Werner Herzog e Clive Oppenheimer girano il mondo in cerca di meteoriti, passati o presenti, e di storie su di essi…