All'inizio degli anni Novanta, dopo aver realizzato una sequenza irripetibile di cult del cinema di Hong Kong - "A Better Tomorrow" (e sequel), "The Killer", "Bullet in the Head" e "Hard Boiled" -, John Woo decide di trasferirsi negli Stati Uniti, anticipando altri registi cantonesi della sua generazione, come Tsui Hark, Ringo Lam e Kirk Wong, chiamati a rinnovare i codici dell'action hollywoodiano. John Woo rimane a Hollywood per un decennio e, nonostante abbia un limitato margine di movimento nella scelta dei copioni, la sua lezione formalista lascia il segno. Tornato in Cina per realizzare l'ambizioso epos di "La battaglia dei Tre Regni", quivi rimane diventando un ponte tra l'abilità e la fantasia artigianale della golden age di Hong Kong e la professionalità produttiva di Hollywood così da costituire un nuovo modello per il cinema cinese del Terzo millennio.
Dopo diversi film in costume, John Woo torna all'azione pura in "Manhunt" (2017), remake di un crime movie giapponese del 1976 con Ken Takakura, e negli Stati Uniti con questo "Silent Night - Il silenzio della vendetta". Il plot è l'ennesima variazione sullo schema di "Death Wish", benché in una versione working class che meglio si sposa con l'etica umanista di Woo.
Il protagonista Brian Godlock, interpretato dal monolitico Joel Kinnaman, è un operaio che vive nella suburbia di una grande città e si vede morire tra le braccia il figlioletto a causa di uno sparatoria tra gang rivali. Questa scena chiave, scaturigine traumatica all'origine della diegesi, è ricostruita per frammenti analettici mentre l'incipit si svolge in medias res. Si tratta di una ripresa effettuata con il drone che scende dall'alto verso il basso, inquadrando un palloncino rosso che si leva leggero in volo mentre Brian che, in basso, corre per strada. Il montaggio stacca sui dettagli dell'uomo: il buffo maglione amaranto natalizio, il volto contratto dalla fatica e dalla rabbia, le mani e il vestiario sporco di sangue, segni di una violenza già avvenuta. Il ralenti, in particolare, sottolinea il peso del corpo che ricade dopo ogni passo per poi scattare quando viene liberato dalla tecnica adoperata: la dialettica tra leggerezza e gravitas è alla base dell'estetica di Woo e veicolata dall'interazione tra il movimento della macchina da presa e il corpo eroico dei suoi protagonisti.
All'inizio di "Silent Night" Brian insegue - a piedi - le automobili delle gang rivali che gli hanno ammazzato il figlio e, nonostante la dimostrazione di resistenza e riflessi, finisce per essere ferito gravemente perdendo l'uso della voce. Come altri protagonisti del cinema honkonghese e del suo maestro Zhāng Chè, anche Brian è un crippled avenger e la mancanza di parola crea un vuoto sonoro che viene riempito dai rumori degli sfoghi di rabbia e, in seguito, da quelli della sua lenta ma inesorabile riabilitazione, durante la quale rimodella il proprio fisico e si addestra per trasformarsi in una sorta di "Punisher" di quartiere. Nella granitica e ottusa ricerca di vendetta - altro spunto ereditato dal regista di "Mantieni l'odio per la tua vendetta" - il protagonista svolge le indagini al posto della polizia per individuare la rete di traffico di droga e gli uomini chiave per risalire al capo-clan, l'assassino che l'ha privato della parola. Woo sembra quindi tornare negli Stati Uniti per rielaborare ancora una volta i topoi della tradizione di Hong Kong, adattandoli (nuovamente) al mutato scenario americano così da sottolineare l'alterità del proprio sguardo, attraversato da un surplus sentimentale spesso sconosciuto ai registi americani che frequentano lo stesso genere. Infatti, in Woo, la violenza dell'azione è inscindibile dal tono melodrammatico assegnato alla vicenda e alla statura tragica e mortale dei suoi eroi. Non a caso si dice spesso che il suo sia un cinema di lacrime e pallottole e questa massima viene qui esibita in un'analogia di montaggio che sublima il pensiero cinematografico del suo autore: il dettaglio di una lacrima, che scende rigando il volto della moglie di Brian, con un match cut si trasforma in un proiettile che cade. È il momento più puro nei termini dello stile di Woo.
L'anzidetta riduzione al minimo delle linee di dialogo permette una maggiore concentrazione sulle immagini che di fatto sono i vettori di senso del cinema di Woo che, a partire dagli anni 80, ha profondamente influenzato la forma del genere action. In tal senso, è ingiusto chiedere al regista di continuare a essere innovativo, ma proprio per questo è anche difficile sorvolare sulla carenza di idee e di soluzioni di montaggio incisive. Nello showdown dell'ultimo (e più corposo) atto del film viene orchestrata una girandola d'azione che si propone di riassumere tutte le caratteristiche del genere degli ultimi anni e, pertanto, possiamo individuare l'incursione in casa, il rapimento e la tortura di un informatore, l'inseguimento automobilistico (e motociclistico), il blitz all'interno del fortino nemico, il pianosequenza vorticoso nell'ascesa delle scale che restituisce la linearità del gameplay di alcuni importanti e influenti videogiochi degli anni 2000 (si pensi a "Max Payne"). L'esecuzione è precisa e la balistica dell'azione partecipa a un esaltante crescendo ritmico che procede in una cupa violenza fino al sanguinoso finale, ma lo sviluppo resta meccanico. La griglia di passaggi obbligati imbriglia la libertà espressiva di un regista da sempre eccessivo e barocco e non è sufficiente la detonazione, sul finale, della componente melò - in modo così ingenuo da rasentare il kitsch - per operare un completo scarto da una formula logora. Woo, rimettendo piede sul suolo americano per ricordare da dove provengono i vari John Wick - che col suo quarto capitolo ha settato lo stato dell'arte dell'action hollywoodiano - finisce per cadere vittima nel paragone con la creatura di Chad Stahelski che ha segnato l'ultimo decennio.
cast:
Joel Kinnaman, Scott Mescudi, Harold Torres, Catalina Sandino Moreno, Valeria Santaella
regia:
John Woo
titolo originale:
Silent Night
distribuzione:
Plaion
durata:
103'
produzione:
Lions Gate Entertainment, A Better Tomorrow Films, Capstone Studios, Thunder Road Pictures
sceneggiatura:
Robert Archer Lynn
fotografia:
Sharone Meir
scenografie:
Grant Armstrong
montaggio:
Zach Staenberg
costumi:
María Estela Fernández
musiche:
Marco Beltrami