Si sa che a M. Night Shyamalan piacciono i fumetti. La trilogia sui supereroi – “Unbreakable”, “Split” e “Glass” – è un omaggio da fan boy tanto esplicito quanto rielaborato in modo originale e personale, che ne fa un unicum nella cinematografia contemporanea sotto molti punti di vista. Dunque, non stupisce che la sua ultima fatica “Old” sia tratta dal fumetto del 2013 (o graphic novel, come si usa dire oggigiorno) “Castello di sabbia” di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters (edito in Italia da Coconino Press).
Sceneggiatore dei suoi lavori (e anche produttore), l’autore indoamericano si affida dunque a una fonte pregressa invece di sviluppare un soggetto originale come suo solito. “Castello di sabbia” racconta di due gruppi familiari che arrivano su una spiaggia isolata e ben presto si accorgono che iniziano a invecchiare. Tutti cercano una via di fuga, ma non riescono più a lasciare il luogo e alla fine l’invecchiamento accelerato li porta alla morte. Storia metafisica, con un finale tragico e aperto e molto ispirato a “L’angelo sterminatore” di Luis Bunuel, come dichiarato dallo stesso Lévy.
Shyamalan prende il soggetto e alcune dinamiche e scenografie descritte, ma cambiando radicalmente la fabula e creando un’opera piena delle ossessioni ricorrenti nella sua filmografia.
Guy (Gael García Bernal) e Prisca (Vicky Krieps) sono in vacanza presso un’isola caraibica insieme ai due figli, Maddox di undici anni e Trent di sei. La coppia è in crisi: sono in procinto di separarsi e lei è affetta da un tumore in attesa di operazione. Il viaggio è l’ultima occasione per passare uniti un momento felice prima della disgregazione del nucleo familiare. Sono invitati dal direttore del resort dove alloggiano a una gita esclusiva presso una spiaggia isolata in un parco naturale protetto e chiuso al pubblico. Insieme a loro si aggiunge un’altra famiglia composta da un cardiochirurgo paranoico e geloso, dalla giovane e bella moglie, dalla madre di lui e dalla figlioletta della stessa età di Trent. Arrivati alla spiaggia, dopo aver attraversato un passaggio tra una spessa e alta scogliera, trovano prima un ragazzo nero, che Maddox riconosce come un famoso rapper, e sono raggiunti da una coppia in un secondo momento.
Subito dopo hanno inizio strani avvenimenti: viene ritrovato il corpo di una ragazza morta e i bambini iniziano a crescere e gli adulti a invecchiare. Il tempo scorre velocemente e tutti cercano di lasciare la spiaggia ma senza successo. Sia che ripercorrano il sentiero tra la scogliera, sia che cerchino di allontanarsi a nuoto, sia che scalino le rocce, svengono e ritornano sul bagnasciuga. La spiaggia e l’insenatura sono una bolla spaziale – delimitata per terra, mare e cielo - in cui il tempo è accelerato, dove un giorno equivale ad aver vissuto una vita intera e da cui non si può fuggire.
Al di là dell’elemento fantascientifico – il luogo dove sussiste un’anomia temporale – e del thriller – perché proprio quelle persone sono state condotte lì dal direttore del resort? – a Shyamalan preme mettere in scena uno dei temi a lui più cari. Come in tutte le sue storie, in “Old” la vicenda è vissuta dal punto di vista dei bambini e la coppia femmina maggiore-maschio minore è una figura retorica già vista in precedenza (ad esempio, in “The Visit”, “L’ultimo dominatore dell’aria” o “Signs”). Così come la famiglia, nelle sue diverse declinazioni e la sua crisi identitaria, è elemento ricorrente. Il rapporto tra bambino/a e figura genitoriale (sia essa coppia, padre o madre) è sviscerato sempre dal regista in un conflitto emotivo in cui la comunicabilità intra e intergenerazionale preannuncia da un lato la difficoltà del passaggio dall’infanzia all’età adulta con tutti i traumi derivanti, dall’altro l’importanza dell’esempio della figura genitoriale sempre in crisi che si riflette negli occhi infantili di adulti alle prese con le parallele avversità della vita quotidiana. Da questo punto di vista, “Old” è una variazione tematica che si può dire riuscita all’interno del percorso registico con l’approfondimento di un altro aspetto, quello del passaggio del tempo.
In “Old” un tema preponderante è la limitatezza della vita, di come i problemi e le avversità, che appaiono insormontabili nel presente, siano in realtà momenti effimeri lungo un percorso che va dalla nascita alla morte di un individuo.
In una scena finale, quando Guy e Prisca, alla fine della giornata sono invecchiati e sono in attesa della fine, i rancori della coppia appaiono un lontano ricordo e Guy dice alla moglie: “Adesso non sono più arrabbiato con te. Non lo ricordo più perché”. La visione ancorata al presente è quella fallace, non riferendosi a quella generale di un’intera vita che colloca nella giusta dimensione ogni screzio e problema momentaneo. Vivere un’intera vita in un solo giorno dona a Guy e Prisca la giusta prospettiva della brevità stessa dell’esistenza umana.
Quando Prisca rivela a Maddox, diventata nel frattempo un’adolescente, della crisi con il padre perché lei è malata e ha una relazione con un altro uomo, la figlia si allontana dalla madre arrabbiata dicendole che deve pensare e che adesso non può perdonarla. E Prisca dice: “Non c’è tempo”. Il tempo, la sua mancanza, la velocità degli eventi è una sineddoche della caducità e dell’uso che se ne fa per una vita vissuta al meglio, in cui concentrarsi nei momenti affettivi migliori e lasciar scivolare via i problemi che ti legano e ti affliggono.
Altro elemento significante è lo sguardo. Shyamalan sembra voler dare importanza ai dettagli per comprendere i cambiamenti. Se i primi piani sono una caratteristica della sua grammatica filmica, i fuori quadro lo sono altrettanto. Così i cambiamenti fisici dei bambini avvengono sempre tramite i primi piani degli adulti: attraverso il loro sguardo attonito prolungato si preannuncia il passaggio del tempo con i controcampi sui bambini prima adolescenti e poi adulti. I dettagli delle rughe intorno agli occhi degli adulti riprendono una parte del volto, una sua metà, come a dire che il loro è un vivere da persone “dimezzate” e mai integre.
Il Cinema per Shyamalan diventa una rappresentazione di un dettaglio, una sintesi di una vita vissuta, una messa in scena di un momento isolato simboleggiante il tutto, dove il regista si trasfigura nel demiurgo dei suoi personaggi. Shyamalan stesso si ritaglia all’interno di “Old” un ruolo di osservatore dei protagonisti sulla spiaggia. Da lontano, attraverso binocoli e macchine fotografiche prende nota degli eventi straordinari della spiaggia in un innesto metacinematografico che rende edotto lo spettatore della forza della visione stessa.
Se “Old” fin qui appare come un’opera complessa e articolata, ha dei limiti che ne inficiano però la sua completa riuscita, che si possono riassumere in scelte di scrittura che risultano deboli: Shyamalan è un regista con capacità e sguardo identificabile dal punto di vista autoriale, pecca molte volte nell’elaborazione della sceneggiatura. Pur definendo sempre elementi fantastici e favolistici, alla fine deve sempre fornire una spiegazione razionale alle sue storie.
Da un lato, il suo è un cinema che parla al bambino che è in noi: Trent e Maddox da adulti fanno un castello di sabbia e nei loro dialoghi riferiscono come il tempo sia passato così in fretta, ma ricordano di essere ancora piccoli. Quante volte uno si scopre a dire da adulto: “Come sono passati in fretta questi anni, mi sembra ieri che ero un bambino/a o ragazzo/a e facevo questo e quest’altro?”. Ecco che “Old” sembra tratteggiare questo stato d’animo e il cinema di Shyamalan appare come un viaggio nel tempo.
Dall’altro lato, la razionalizzazione degli eventi fantastici sembra come un’intromissione dell’adulto a gamba tesa: a volte riuscita, altre volte meno. Così, il finale raffazzonato insieme all’incipit creano una cornice in “Old” che ne depotenzia la bellezza del racconto e ne sminuisce la messa in scena dell’unità di tempo e luogo della spiaggia in un evento creato per fini utilitaristici, facendo crollare improvvisamente la poeticità, fino a un momento prima sempre molto alta.
Il twist finale caratteristico di ogni film del regista questa volta, com’era già accaduto per “The Visit”, non riesce e fa di “Old” un grande film azzoppato dalla preponderanza dello sguardo adulto rispetto a quello infantile, ingenuo e appassionato.
cast:
Gael García Bernal, Vicky Krieps, Rufus Sewell, Ken Leung
regia:
M. Night Shyamalan
titolo originale:
Old
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
108'
produzione:
Blinding Edge Pictures
sceneggiatura:
M. Night Shyamalan
fotografia:
Mike Gioulakis
scenografie:
Naaman Marshall
montaggio:
Brett M. Reed
costumi:
Caroline Duncan
musiche:
Trevor Gureckis