Da "Brave", tredicesimo lungometraggio nel 2012, i Pixar Studios hanno iniziato a mostrare un vistoso cambio di traiettoria, soprattutto estetica. Lo studio californiano, parallelamente all’evoluzione dei software, ha scelto un approccio fortemente ancorato al reale sia nei testi, sia nella rappresentazione artistica. I coming of age di ogni sorta nascosti nei mondi altri dei vari "Toy Story", "Alla ricerca di Nemo", "Up", sempre distanti dal reale attraverso punti di vista inusuali e imprevedibili, ora sono immersi in una bolla che dialoga col presente e in esso relegati.
Tra l’urgenza del qui e ora di una generazione ("Inside Out", "Onward", "Red"), cartoline di immediata riconoscibilità ("Il viaggio di Arlo", "Monsters University", "Luca"), anche quando è brillante la resa di tematiche delicate come il ricordo e la mortalità ("Coco", "Soul"), vi è sempre un attaccamento alla rappresentazione realistica, perdendo quel dialogo distaccato con essa come accadeva nei primi lungometraggi.
Il largo incipit serve a entrare nei radar di questo "Lightyear", uno spin off da cassetta che difatti riprende i prodotti animati 2D del 2000 (film e serie "Buzz Lightyear da Comando Stellare") e li adatta alla potenza di fuoco artistica della CGI Pixar. "Lightyear" è probabilmente il film più consciamente high concept dello studio, adattando non soltanto la storia del personaggio di Toy Story ma anche il suo portato concettuale di giocattolo. Difatti Buzz è (era) il feticcio del merchandising della contemporaneità in quanto rappresentato nei vari media (il sogno eroico di Andy nel film e quello videoludico del giocattolo Rex) e allo stesso tempo era il giocattolo sognante che non accettava la sua condizione di oggetto ludico. Ecco che "Lightyear" è il disvelamento del sogno dello spettatore, a cominciare dalla didascalia pre-film: questa è la storia di quel film che Andy vede con occhi sognanti.
La palla della regia passa allo storico animatore Angus MacLane, in Pixar da "Il gioco di Geri" del 1997, che aveva fatto le prove generali nello spazio di "WALL-E", come direttore d’animazione, e in quello del corto "BURN-E", come regista.
Catapultato fin dal vorticoso incipit in una cornice sci-fi, "Lightyear" saccheggia da tutto il filone avventuroso del genere, amalgamando perfettamente ogni derivazione fantascientifica possibile, da "2001" a "The Martian". L’impianto principale è l’avventura d’azione e infatti le flebili premesse del concept sono attese: "Lighyear" inizia, continua e finisce come un rollercoaster in un susseguirsi di ottime quanto ridondanti scene madri action. La gestione esasperata dei picchi finisce purtroppo per schiantarsi in baratri di raccordo in cui la sceneggiatura si chiude in una zona di comfort e riciclo allarmante: escludendo Buzz (e non sempre considerata la superficialità delle svolte finali), il resto dei personaggi si muove nel magma delle riflessioni tra tecnologia, lavoro di squadra ed errori umani.
Il problema di "Lightyear" si evidenzia nel procedere della narrazione, subito dopo uno snodo emotivo fondamentale nel primo terzo di storia, dal cui punto in poi si finisce per estrarre dal cilindro della fantascienza ogni diavoleria possibile senza poi eviscerarne la magia.
Lo spazio in cui si muove Buzz è dunque irriconoscibile e derivativo, spettacolare quanto vaporoso, legato più ai suoi limati e realistici props 3D che alla voglia di raccontare una storia. I confini di "Lighyear" finiscono per essere pericolosamente quelli del genere di cui si dichiara innamorato ma dei quali tradisce qualsiasi originalità, bastandone l’accumulo in una confezione lussuosa.
L’attaccamento al perfezionismo tecnico, che si traduce in uno sguardo fortemente realistico e teso al dettaglio, non trova sempre una quadra con un testo rivolto ad un pubblico giovane. Esclusi alcuni notevoli apici emotivi, il resto del film si muove verso una semplicità bambinesca, lontana dalla comicità universale di altri baluardi filmografici di casa Pixar. Se la declinazione artistica in stile anni Novanta è un capolavoro di design (intelligenze artificiali dentro cartucce dell’Atari) che condensa lo stile giocattoloso in una retro-fantascienza, la stessa non abbraccia la traiettoria di un film confinato dentro sé stesso, progetto evidentemente secondario, che finisce per essere ciò che promette, nulla di più, nulla di meno. Sembrerebbe, almeno per "Lightyear", che alla semplicità geometrica di una lampadina e di una palla, cara alla visione di Lasseter e Docter, siano state preferite le asperità di una fantascienza indecisa.
cast:
Chris Evans, Peter Sohn, James Brolin, Uzo Aduba
regia:
Angus MacLane
titolo originale:
Lightyear
distribuzione:
The Walt Disney Company Italia
durata:
110'
produzione:
Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures
sceneggiatura:
Jason Headley, Angus MacLane
fotografia:
Jeremy Lasky (camera), Ian Megibben (lighting)
montaggio:
Anthony J. Greenberg
musiche:
Michael Giacchino