Parlando de "L'abbaglio" di Roberto Andò (2025) è inevitabile considerare nel discorso anche la precedente opera del regista, "La stranezza" (2022). Entrambi i film, infatti, presentano lo stesso trio di attori principali (Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone), ma anche lo stesso trio alla sceneggiatura (Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso) e lo stesso cast tecnico in tutti i reparti, dalla fotografia (Maurizio Calvesi), al montaggio (Esmeralda Calabria), alle musiche (Michele Braga, Emanuele Bossi), alle scenografie (Giada Calabria), fino ai costumi (Maria Rita Barbera). Per giunta, "L'abbaglio" condivide con "La stranezza" anche l'impostazione del racconto e la costruzione narrativa, al punto che si può assumere il primo come un sequel ideale del secondo, non in quanto prosecuzione della storia narrata in quest'ultimo ma in quanto prolungamento dei suoi presupposti e punti di forza.
Siamo dunque nuovamente di fronte a un racconto che riarticola e rielabora un fatto storico in una formulazione finzionale, con gli interpreti a incarnare questi due aspetti contrapposti ma dialoganti: Toni Servillo – che qui si cala nei panni di Vincenzo Orsini, il colonello che guidò la finta marcia su Corleone per creare un diversivo alle truppe garibaldine e distrarre l'esercito borbonico durante la spedizione dei Mille, e che ne "La stranezza" interpretava Luigi Pirandello – a rappresentare la Storia, e Ficarra e Picone, che in entrambi i film ritraggono due personaggi di pura invenzione (qui, rispettivamente, Tricò e Spitale, lì Bastiano e Nofrio), a popolare la Storia di piccole storie. È questa dinamica che consente ad Andò di tenere insieme i grandi avvenimenti della formazione dello stato italiano attraverso la forma del racconto popolare, che, dando voce ai piccoli-grandi avvenimenti personali dei singoli individui nel contesto del Risorgimento, si presenta come uno strumento didattico la cui efficacia è garantita dall'approccio strettamente legato all'intrattenimento.
La presenza di Ficarra e Picone, a tal proposito, non è casuale, ed è anzi l'elemento cardine che garantisce alle due opere quel respiro da film di ampia distribuzione e di successo al botteghino. Ne "L'abbaglio" l'elemento comico cui il duo dà voce risulta un po' spinto dentro a forza in un incedere che altrimenti mantiene un tono serio e a tratti quasi grave. Ne sono un esempio le scene guerresche – specchio dell'aumento di budget di cui il film ha goduto rispetto al suo predecessore e girate, a dire il vero, in maniera scolastica – e il generale tono da insegnamento morale di cui il film si ammanta. La spedizione dei Mille e la conclusione del Risorgimento, a cui fa seguito la formazione dello Stato italiano, è lo scenario ideale nel quale svolgere una riflessione morale – e, in effetti, molto spesso, soprattutto nel finale, moralistica – sui temi del patriottismo e del sacrificio, opposto, da cui la vena comica, alla fannulloneria e all'arrivismo dell'Italia povera e contadina. Il film, attraverso la voce di Orsini, ribadisce a più riprese che la maggior parte (se non la totalità) degli arruolati nelle file del colonnello e, per estensione, in quelle di Garibaldi (interpretato in poche ma precise apparizioni dall'ottimo Tommaso Ragno) non aveva davvero a cuore l'impresa dell'Unità d'Italia; arruolarsi era piuttosto un modo per fuggire dalle proprie responsabilità, come nel caso di Spitale, o per tornare a casa nella speranza del matrimonio, come in quello di Tricò.
Quello di Andò, perciò, è quasi un rimprovero, o forse più che altro un monito critico rivolto alle dinamiche che hanno portato alla formazione dello Stato nazionale, svolto però senza quei picchi di riflessione metatestuale che caratterizzavano invece "La stranezza" e che costituivano il quid di un'opera capace di raccontare una storia accessibile ma anche stratificata e aperta a riflessioni non banali sui rapporti tra vita e teatro (e dunque finzione), nonché dotata di una vena malinconica che si mescolava perfettamente al generale piglio comico sul quale era strutturata. Al contrario, "L'abbaglio" cerca di innestare una serie di trovate comiche (talvolta scadenti) che irrompono nella continua didascalia morale sulla responsabilità, e lo fa senza approfondire i personaggi lungo una durata eccessiva che si fa sentire, come nel film precedente, soprattutto in una parte centrale ripetitiva e stanca.
Nel complesso, al di là degli elementi problematici sottolineati, Andò realizza comunque un'opera piacevole e godibile, che ha sicuramente il pregio, com'era ne "La stranezza", di utilizzare la regionalità del parlato come elemento connotativo (caratteristica che il regista si porta dietro almeno da "Il bambino nascosto" del 2021), un qualcosa che nel cinema italiano ad oggi è sempre più raro, salvo eccezionali esempi (su tutti i Manetti di "Song'e Napule" del 2013 e di "Ammore e malavita" del 2017), e che rappresenta un elemento di vitalità linguistica che non va perso.
In conclusione, "L'abbaglio" sembra una versione semplificata, rovesciata e adibita all'uso delle masse de "Il gattopardo" (Luchino Visconti, 1963): se nel capolavoro di Visconti la transizione storica era rappresentata dal punto di vista della nobiltà, qui sono le masse contadine siciliane a farsi emblema del mondo che cambia. Ma, come viene ribadito in maniera fin troppo esplicita nel finale, bisogna che tutto cambi affinché nulla cambi. In questo senso Andò sembra guardare (se non emulare) a "La grande guerra" (Mario Monicelli, 1959) mutandone il contesto e suggerendo, infine, non senza un tono polemico ma decisamente troppo urlato, che l'abbaglio, forse, è stato proprio quello del Risorgimento, dell'Italia e degli italiani. Sicuramente un tratto notevole in un film che, per il resto, nel ricalcare l'efficace struttura narrativa de "La stranezza", rimane incastrato nei suoi stessi presupposti.
cast:
Toni Servillo, Salvo Ficarra, Valentino Picone, Tommaso Ragno, Giulia Andò
regia:
Roberto Andò
distribuzione:
01 Distribution
durata:
131'
produzione:
BiBi Film, Medusa Film, Netflix, Rai Cinema, Tramp Ltd.
sceneggiatura:
Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
fotografia:
Maurizio Calvesi
scenografie:
Giada Calabria
montaggio:
Esmeralda Calabria
costumi:
Maria Rita Barbera
musiche:
Emanuele Bossi, Michele Braga