La vita insoddisfatta, mediocre e ritirata di Gabriele Santoro (Silvio Orlando), maestro di pianoforte al conservatorio, capace di virtuosismi arditi quanto inutili, cambia radicalmente quando qualcuno si nasconde nel suo appartamento: è un bambino, il figlio dei vicini, ricercato dalla camorra che vuole giustiziarlo per aver scippato e ferito gravemente la madre di un boss.
L'ultimo film di Roberto Andò - tratto dal romanzo omonimo (La nave di Teseo, 2015) scritto dallo stesso regista - pur essendo radicalmente diverso dal precedente thriller "Le confessioni" (2018), ha con esso almeno un elemento in comune: racconta la storia di singoli personaggi che tentano di sovvertire, con sforzo titanico e prospettive incerte o tragiche, le regole del sistema/contesto in cui si trovano a vivere (là il Fondo monetario internazionale, qui il degradato quartiere Forcella a Napoli). Ispirandosi all'"Antigone" di Sofocle e a un fatto di cronaca del 1976, la tremenda strage dei picciriddi di Catania, Andò propone un dramma etico e freddamente sentimentale in cui a contare, più che la vicenda narrata – un cammino di formazione di per sé assai scontato e prevedibile – sono il talento degli attori, la regia perfezionistica e la riflessione di fondo sulla necessità di sovvertire le leggi, quando esse appaiono inadeguate o impotenti contro il male.
Ambientato – un po' come "Tre piani" di Nanni Moretti – in un palazzo i cui molteplici livelli sottendono altrettante possibili stratificazioni simboliche (dantesche o freudiane che siano), "Il bambino nascosto" se ne discosta felicemente, grazie soprattutto a una sceneggiatura (Andò, Marcoaldi) che, pur raccontando una storia più allegorica che plausibile, rifiuta spesso di esplicitare desideri e timori dei personaggi tramite l'enunciazione di battute didascaliche (non a caso Silvio Orlando, nelle varie interviste che hanno accompagnato l'uscita del film, ha parlato di un film fatto soprattutto di sguardi e di silenzi, una sfida attoriale per lui pressoché inedita). Scarto anche stilistico: se Moretti accresce la gravezza statica delle suddette didascalie con l'uso prevalente, peraltro a lui consueto, dell'inquadratura fissa, Andò confeziona un film in lento ma costante movimento (i frequenti dolly seguono le corse del bambino, le rapide dita sui tasti del piano, le varie chase, in progressiva accelerazione man mano che la fuga dai cattivi si fa più rocambolesca).
Proprio nelle numerose scene d'azione, le movenze goffe e gli sguardi spaesati di Orlando conferiscono al suo personaggio maggiore realismo rispetto al libro, in cui pareva che il mite professore si trasformasse in atletico vigilante da un momento all'altro. Realismo c'è anche nella caratterizzazione dello scugnizzo (il bravo Giuseppe Pirozzi), in perfetto equilibrio tra la grettezza, insopportabile e forzata, dell'ambiente criminale, e gli sprazzi superstiti di tenerezza infantile.
L'omosessualità del protagonista, apparentemente gratuita rispetto alle direzioni del racconto – se non come abusato veicolo del tema dell'estraneità – in effetti si inserisce nella riflessione sugli stereotipi machisti, costante lungo tutto il racconto. Stereotipi che non vengono banalmente criticati, né se ne vuol mettere in scena, idealisticamente, il fallimento: essi appaiono, piuttosto, necessari per poter sopravvivere in quel contesto. Così Ciro, per farsi coraggio, non fa che cantarsi, come ninna nanna o come litania, il ritornello di "Nisciun" (2015), brano del rapper napoletano Luchè, le cui ostentazioni apparirebbero caricaturali in bocca al bambino, se non sapessimo che corre un reale pericolo: Nun parlo comm' 'e cane ma capisco tutte cose / [...] N'tengo paura 'e nisciune! («come il cane non so parlare, ma capisco tutto [...] non ho paura di nessuno»).
L'acculturato e disorientato maestro si pone chiaramente come antitesi misurata e riflessiva – un tempo si sarebbe detto femminile – rispetto alla maschera di spietatezza con cui Ciro cerca di proteggersi: la sequenza in cui il bambino, scosso dall'aver scoperto l'omosessualità di Gabriele, reagisce insultandolo tramite i termini infamanti e i luoghi comuni fortemente sedimentati nei bassifondi, per poi riprendersi e accettarlo tranquillamente come padre surrogato, sembra quasi una riedizione dell'incontro/conflitto tra Loren e Mastroianni nella "Giornata particolare" (1977) di Ettore Scola. Un terzo personaggio si colloca su questa linea tematica: il truce Diego (Lino Musella), ex allievo del professore, sicario al soldo dei malavitosi, prono a quella legge del branco cui anche Ciro dovrebbe adeguarsi se continuasse a crescere a Napoli. Con Diego, il convincente Musella (Premio Ubu 2019 e mascella prominente) aggiunge un ulteriore tassello alla carrellata recente, ma già piuttosto fornita, di caratterizzazioni spesso ben poco rassicuranti: si pensi al fascista Carletto ne "Il cattivo poeta" (2020) o al contorto professor Bernardini in "Favolacce" (2020).
La sequenza più spettacolare e virtuosistica è un carrello quasi à la Sergio Leone che, muovendo dal primo piano di Orlando che chiude la finestra, si alza a sorvolare, in panoramica, tutto il quartiere, fino a fermarsi su una terrazza dove – come si vede – Guido compie un'esecuzione mafiosa, sparando con rapida freddezza alla sua vittima. Sequenza che scopre un paradosso, uno dei tanti, di un racconto tutto giocato sul nascondimento: ciò che dovrebbe essere nascosto (l'omicidio) avviene in piena luce, potenzialmente sotto gli occhi di tutti, con il sicario che se ne va indisturbato, mentre il bambino, colui che non dovrebbe temere di mostrarsi, è costretto a rimanere nascosto; il professore che nasconde il bambino dovrà recuperare una pistola nascosta, ma nasconde anche la propria omosessualità; il privato, dimensione nascosta per eccellenza, diviene condiviso nel momento in cui spiamo (tramite la soggettiva del bambino nascosto nell'armadio) l'incontro omosessuale, mentre la dimensione pubblica (le ricerche del bambino, il contesto degradato, le lezioni del professore) rimane ai margini della storia. Il costante gioco di sovrapposizioni (il bambino precocemente adulto, l'adulto che giocando, anche se pericolosamente, torna bambino) aumenta i livelli di lettura e confonde le acque, rendendo meno ingombrante l'opera di sensibilizzazione etica offerta allo spettatore.
Il finale, più aperto rispetto al romanzo, sembra aprire ottimisticamente alla possibilità del riscatto da una vita ingiusta, alla conquista della libertà; tuttavia tale riscatto appare possibile soltanto se da Napoli si fugge, dichiarando così implicitamente che i problemi nel Mezzogiorno sono irrisolvibili, o che comunque – come attesta il rogo finale dello studio del professore – la cultura, lo studio e le poesie di Kavafis sono del tutto inutili a risolverli.
cast:
Giuseppe Pirozzi, Lino Musella, Imma Villa, Salvatore Striano, Roberto Herlitzka, Silvio Orlando
regia:
Roberto Andò
distribuzione:
01 Distribution
durata:
110'
produzione:
Bibi Film TV, Rai Cinema
sceneggiatura:
Roberto Andò, Franco Marcoaldi
fotografia:
Maurizio Calvesi
scenografie:
Giovanni Carluccio
montaggio:
Esmeralda Calabria
costumi:
Maria Rita Barbera