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recensione di Alessio Cossu
6.5/10

Da qualche tempo è attiva in Italia la Grøenlandia Film, casa di produzione che, nelle intenzioni di Matteo Rovere, ricerca il giusto equilibrio tra intrattenimento e qualità della narrazione attingendo la propria linfa dal passato, considerato solida garanzia contro la sterile emulazione della produzione cinematografica d’oltralpe. Sono nati così “Il primo re” e la serie “Romulus”. “Il cattivo poeta” di Gianluca Jodice, all’esordio nel lungometraggio, si inserisce in questa linea produttiva ibridando, nella fattispecie, il thriller e il biopic.

Il film ha l’ambizioso proposito di diradare le brume della maldicenza concentrandosi su uno degli aspetti più controversi della biografia di Gabriele D’Annunzio, ovvero il suo rapporto con Benito Mussolini. Rapporto su cui, invero, non pochi manuali di letteratura glissano. Lungi dall’essere un film storico, la pellicola restituisce con rigore filologico apprezzabile ma mai soffocante o apodittico l’atmosfera di un’epoca nella quale il declino fisico del Vate e il suo isolamento umano e intellettuale stridono con la pomposa propaganda di regime che trasuda senza sforzo quando la macchina da presa si allontana dalla residenza del Vittoriale. Lo spettatore assiste a un thriller spionistico in quanto un giovane federale, Giovanni Comini, riceve direttamente da Achille Starace, nelle gerarchie di potere secondo solo a Mussolini, l’ordine di avvicinare con amicizia il poeta e di sorvegliarne le azioni e il contegno, diventati tanto più sospetti al regime quanto più salda va facendosi l’alleanza tra Mussolini e Hitler. Si diceva del rigore filologico: tutte le parole del poeta sono state estrapolate da suoi scritti e discorsi, e riadattate ad un contesto interlocutorio fittizio. Perfino il titolo del film è tratto da una lettera nella quale il poeta si autodefinisce senza sottacere il proprio anticonformismo e la consapevolezza del proprio essere scomodo.

Il primo dei tre capitoli in cui è diviso il film si intitola “Topi”. Si tratta di una scelta dal sapore metaforico: i giardini del Vittoriale sono invasi dai roditori, di cui solo D’Annunzio si avvede, con la conseguenza che non solo agli occhi dei suoi ospiti, ma anche a quelli degli spettatori il vegliardo di prim’acchito sembra vaneggiare; sottotraccia però, i topi rappresentano i fantasmi del destino infausto su cui va incamminandosi la patria. D’Annunzio, un Sergio Castellitto in stato di grazia, è invecchiato, calvo, infiacchito nel corpo ma non nello spirito. Il tessuto dialogico del protagonista non è continuo, né, soprattutto, verboso, ma procede con frasi asciutte, incisive come chiodi, che ad iniziare dal secondo capitolo (intitolato “Il dissenso”) iniziano a rafforzare l’identificazione del pubblico col protagonista sulla base della consapevolezza storica ex post. Il carattere profetico del suo spirito si alterna agli eccessi del suo corpo: le giovani donne agghindate come silfidi, il corrosivo rito della cocaina.

Al netto di tali episodi, per quanto riguarda le scelte di inquadratura Castellitto è talvolta ripreso di spalle, quasi a sollecitare il pudore dello spettatore, ma anche per esprimere il fastidio del poeta per ciò che lo circonda. Fuor di pellicola va ricordato, a tal proposito, che il suo uggioso risentimento contro la società borghese lo aveva spinto a definire “Schifamondo” lo stesso Vittoriale. Tornando alle inquadrature, talvolta, nei dialoghi col federale, la macchina da presa indugia più impietosamente sulle rughe del poeta, quasi a conferire un’aura di maggiore credibilità alle sue parole. Il capitano, così ora si fa chiamare, ne ha per tutti: da Leopardi (apostrofato “gobbo recanatese”) ad Hitler (“ridicolo Nibelungo”).

Meno riuscita l’interpretazione del federale, considerato che l’evoluzione del personaggio, che passa dalla cieca fede nel dictat fascista al velato dissenso, appare troppo repentina, e il travaglio umano e ideologico che dovrebbe scaturire dalla frequentazione di D’Annunzio non ha il tempo di sedimentarsi nello spettatore. Anche bypassando il genere, il confronto con pellicole che presentano personaggi in situazioni simili, come il Marcello Clerici de “Il conformista”, o il capitano Willard di “Apocalypse Now”, è sfavorevole a Jodice, che paga il dazio dell’esordio. Non è tanto l’inesorabilità della parabola dannunziana, quanto  i fattori estranei ad essa ad incidere sull’orientamento del giovane federale: il sospetto delle torture praticate sugli oppositori politici e il suicidio della donna che ama. Ad opinione di chi scrive, il federale Comini sarebbe risultato più sfaccettato laddove il regista avesse avuto il coraggio di emanciparsi maggiormente dal thriller.

L’atmosfera plumbea e crepuscolare dell’ambientazione è resa invece efficacemente grazie alle scelte della fotografia. La palette vira dal giallo al nero passando per il verde e il grigio; sullo sfarzo e il conseguente estetismo del poeta si stende un cupo velo che sa di morte, ben prima dell’inizio del terzo capitolo del film, dal titolo “L’abisso”. I volti terrei, esangui degli attori sono in pendant con le profetiche parole del poeta, che parla di un'Italia dissanguata.

Quando si lascia il Vittoriale, e più avidamente gli occhi dello spettatore cercano e attendono di vedere Benito Mussolini e il suo confronto col Vate, il tutto si dissolve in una manciata di secondi. In “Il cattivo poeta”, del Duce più che la corporea fisicità viene mostrata l’incombenza attraverso i simboli del potere e della propaganda. Tali simboli, se da un lato parlano la lingua della freddezza e dell’austerità, dall’altro vengono talvolta duttilmente piegati ad una indubbia ironia, come ad esempio nel caso dell’inquadratura che mostra un muro con dipinta l’immagine di Mussolini al cui volto sono stati aggiunti dei baffi posticci, o quella che ritrae una statua dell’arte classica che nella postura mima il saluto romano, ma con il braccio tronco.


30/05/2021

Cast e credits

cast:
Elena Bucci, Massimiliano Rossi, Fausto Russo Alesi, Clotilde Courau, Tommaso Ragno, Francesco Patanè, Sergio Castellitto


regia:
Gianluca Jodice


distribuzione:
01 Distribution


durata:
106'


produzione:
Ascent Film, Bathysphere, RAI Cinema


sceneggiatura:
Gianluca Jodice


fotografia:
Daniele Ciprì


scenografie:
Tonino Zera


montaggio:
Simona Paggi


costumi:
Andrea Cavalletto


musiche:
Michele Braga


Trama

Seconda metà degli anni ’30: Giovanni Comini, federale di Brescia, viene inviato alla residenza del Vittoriale per sorvegliare Gabriele D’Annunzio, inviso a Mussolini soprattutto dopo alcune esternazioni palesemente contrarie all’alleanza con Hitler. La morte in circostanze misteriose della donna da lui amata instilla nel giovane più di un dubbio sulla liceità della propria missione.  

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