Sul finire degli anni 60, dopo aver girato un film come "Partner", opera ermetica e per un pubblico cinefilo, influenzata dalla Nouvelle Vague, Bernardo Bertolucci inizia a confrontarsi sul suo modo di fare cinema.
Figlio del poeta Attilio, allievo di Pier Paolo Pasolini (è aiuto regista in "Accattone" e debutta con la "Commare secca" nel 1962 proprio con un soggetto del poeta di Casarsa), cinefilo e influenzato dal cinema di Jean-Luc Godard, Bernardo Bertolucci percorre i primi passi di autore cinematografico all'interno di un milieu culturale di grande vivacità. Lui stesso dichiara più volte che la sua Università è stata la frequentazione non solo del padre e di Pasolini, ma anche di Alberto Moravia, Elsa Morante, il Centro Sperimentale di Cinematografia, gli autori del cinema francese, che ebbero una parte fondamentale per il suo apprendistato artistico. Nel 1962 vince il premio letterario Viareggio per la raccolta di poesie "In cerca del mistero", ma il confronto vissuto in modo impari con la poesia paterna e quella di Pasolini e l'amore per il cinema gli fanno scegliere definitivamente quest'ultimo come mezzo espressivo della sua arte. Bertolucci è alla continua ricerca di una sua voce, di un'identità che lo disimpegnino da figure così importanti ma ingombranti. Se tutte le sue prime opere si possono definire in qualche modo manieriste (nell'accezione di operazioni imitative e non secondo una definizione letteraria del concetto), sarà con il suo quarto film "La strategia del ragno" che Bertolucci inizia a prendere coscienza delle potenzialità popolari del cinema. Il film, prodotto dalla RAI, viene distribuito sia nelle sale cinematografiche sia trasmesso in televisione e l'occasione di raggiungere un pubblico più vasto possibile, lo pongono di fronte la scelta di girare d'ora in poi film d'impegno, ma spettacolari.
"Il conformista" è quindi il film di svolta per Bertolucci: la sua è una scelta consapevole di essere un autore che ibrida temi impegnati e mezzi di produzione che possano rendere fruibile a chiunque le sue opere, in una ricerca continua di diffusione della sua autorialità per molti e non per pochi (facendo il percorso inverso di Pasolini). Tratto dall'omonimo romanzo di Moravia, Bertolucci scrive una sceneggiatura che si discosta dal soggetto moraviano non solo per il contenuto (dove sviluppa l'aspetto psicologico del protagonista Marcello), ma soprattutto per lo specifico cinematografico in cui Bertolucci, con grande competenza espressiva, mette in scena una storia sfruttando al massimo tutte le possibilità che il mezzo gli permette.
La storia di Marcello Clerici, il conformista del titolo, che aderisce al Fascismo e si offre come volontario dell'Ovra (la polizia segreta), il suo matrimonio con Giulia, il viaggio di nozze a Parigi per incontrare il professor Quadri - suo insegnante all'Università e antifascista rifugiatosi in Francia - e l'organizzazione del suo assassinio, è la fabula su cui Bertolucci innesta temi fondamentali come quello politico e psicanalitico. "Il conformista" è un pamphlet non tanto (e non solo) contro il Fascismo, ma soprattutto contro la borghesia come classe sociale che si adatta alle norme massificanti, vuote e piene di stereotipi. Marcello Clerici (un Jean-Louis Trintignant che dona al personaggio una profonda complessità) è fascista perché conformista e non viceversa. La sua ricerca di normalità, di accettazione al gruppo dominante, è continua: dall'iniziativa volontaria per consegnare il professor Quadri all'Ovra al matrimonio con Giulia (una piccolo borghese stupida e insignificante, come lui stesso la definisce) non sono altro che una continua conformità alla società imperante dell'epoca.
Bertolucci mette in scena la grande metafora della cecità della borghesia fascista. L'amico più caro di Marcello è Italo Montanari, un cieco che legge i proclami propagandistici del regime alla radio. Marcello aiuta il cieco in quanto anche lui si rifiuta di vedere quello che lo circonda e adatta la sua vista a quella di Italo. La sequenza della festa per il matrimonio di Marcello organizzata da Italo (scena tagliata nella prima versione e poi reintrodotta da Vittorio Storaro nel restauro delle pellicola del 1993) è metonimica dell'intero periodo storico: alla festa sono tutti ciechi e anche Marcello all'interno della massa è quantomeno un ipovedente culturale che per farsi accettare si conforma alla società cieca. Ma la sequenza più bella e significativa l'abbiamo nello studio del professor Quadri a Parigi, durante il primo incontro con Marcello, dove i due ricordano una lezione avvenuta all'Università anni prima. Qui viene spiegata la storia della caverna di Platone, dove un gruppo di uomini guarda le ombre proiettate sul muro delle persone che passano davanti all'entrata della grotta. Altra potente metafora della cecità della borghesia che si accontenta di vedere, appunto, solo le ombre della realtà.
La grandezza di Bertolucci è nella maestria della messa in scena dell'intera sequenza, coadiuvato dal gioco di luci e ombre fatto da Vittorio Storaro: la narrazione della lezione platonica va di pari passo con le immagini che scorrono sullo schermo, dove lo studio di Quadri si trasforma nella caverna, in un'intensità visiva che rasenta una bellezza caravaggesca, in un allineamento extradiegetico con lo spettatore, in cui la sala cinematografica diventa a sua volta un'altra caverna dove sono proiettate le ombre di un film, simulacro della realtà al di fuori del Cinema. La spettacolarità formale che Bertolucci infonde ne "Il conformista" è dato da un utilizzo conscio dei movimenti di macchina (l'uso del dolly in verticale, le ripetute carrellate laterali esterne o quelle profonde a seguire il protagonista negli interni) e da una ricerca di una messa in quadro millimetrica che predilige anche inquadrature sghembe come osmosi della visione distorta di Marcello. Tutto all'interno di una scelta scenografica di interni fintamente maestosi e vuoti (il ministero, la radio, l'ospedale psichiatrico, dove è rinchiuso il padre di Marcello, il bordello di Ventimiglia, sede della polizia fascista) che riprendono la pittura metafisica di De Chirico, dove le poche figure umane che si muovono all'interno degli spazi riflettono l'assenza di umanità e di conseguenza di civiltà.
L'altro tema portante del film di Bertolucci è la rappresentazione della mostruosità della personalità di Marcello che affonda le radici in complessità psicoanalitiche del personaggio. Il conflitto edipico nei confronti di un padre pazzo (si lascia intendere per la sifilide), fascista della prima ora, picchiatore e assassino, e il rapporto conflittuale con una madre drogata rappresentano bene le sue radici malate - che per metonimia sono le radici della borghesia - e creano la psicologia contraddittoria e infantile di Marcello. Il rifiuto del mondo decadente da cui proviene, l'amore-odio nei confronti del padre anagrafico, è trasposto nel rapporto di stima e rigetto che ha con il padre intellettuale Quadri. Del resto, lo stesso professore dice di Marcello, che è stato uno dei suoi migliori allievi, che i suoi ragionamenti, mentre parlano di Platone, non sono da "fascista". La doppiezza di Marcello, il suo essere nascosto allo sguardo degli altri e rifiutare il mondo che lo circonda, è data anche dalle continue inquadrature del personaggio sia attraverso vetri (nella sala di trasmissione della radio; nell'auto che lo accompagna sul luogo dell'assassinio di Quadri e di sua moglie) oppure il suo riflesso negli specchi degli appartamenti. La complessità del personaggio si esprime anche attraverso la repressione della sua omosessualità latente. Conosciamo questo aspetto con la visione del ricordo dell'episodio di molestia sessuale subito da ragazzino da parte di Lino (un autista ) che uccide inavvertitamente. Il presunto omicidio di Lino rappresenta il rifiuto della sua omosessualità e la ricerca di una normalità borghese nel matrimonio con Giulia e, in seguito, nell'invaghimento di Anna. La moglie di Quadri ha una doppia valenza iconica per la psiche di Marcello: da una parte, rappresenta la donna ideale - vede il suo volto nell'amante del ministro e nella prostituta del bordello di Ventimiglia - in una proiezione stereotipata di donna succube come amante perfetta; dall'altra parte, anche Anna è omosessuale, attratta da Giulia, e la sua uccisione finale, il freddo disinteresse di Marcello durante la sequenza dell'omicidio, è un'iterazione del rifiuto della sua omosessualità. Del resto, Marcello è sempre vestito in doppio petto, indossa i guanti e cappello e non è mai nudo, anche quando ci sono le scene di sesso con la moglie Giulia, quasi una rappresentazione atavica della paura della nudità maschile, compresa la propria.
Lo sviluppo psicologico di Marcello è dato da uno sviluppo diegetico fatto di continui flashback - il film inizia con la partenza dall'albergo di Parigi verso la Savoia a rincorrere Quadri e sua moglie, accompagnato dall'agente Manganiello (un misurato Gastone Moschin), persona triviale e violenta - che sono messi in serie durante il viaggio in auto con primi piani stretti sul volto di Marcello. Solo l'episodio della molestia sessuale è un racconto durante la confessione al prete prima del matrimonio - un flashback all'interno di un altro, in un gioco di scatole cinesi visive che rappresentano in modo esemplificativo la pulsione più nascosta e rifiutata da parte di Marcello. Il distacco e la vigliaccheria di fondo del personaggio è rappresentata nella sequenza dell'omicidio dei coniugi Quadri nei boschi della Savoia: qui Marcello non scende neppure dall'auto e sono i sicari fascisti che compiono l'assassinio per interposta persona. Quadri è ammazzato, pugnalato più volte, in una ripetizione dell'omicidio di Cesare e del coinvolgimento del figlio Bruto in un parallelismo del tradimento filiale di Marcello nei confronti di Quadri. Questa mostruosità caratteriale è chiusa in un cerchio perfetto nella sequenza finale - cinque anni dopo i fatti di Parigi - quando siamo all'8 settembre del '43 con l'annuncio della caduta di Mussolini. Marcello farà presto a ripudiare il Fascismo, a ripudiare Italo e quando scopre che Lino è ancora vivo e quindi di non averlo mai assassinato, a rinnegare l'omicidio di Quadri, incolpando prima Lino e poi Italo (inghiottito dalla folla festante per la fine del Fascismo). Pronto a conformarsi alla nuova realtà del Dopoguerra, borghesia che sopravvive a se stessa e alle sue complicità con il regime appena caduto.
Alla messa in scena del tradimento diegetico dei padri (anagrafico e spirituale) di Marcello, corrisponde anche un interessante superamento di quelli di Bertolucci in un contesto extradiegetico. Non è casuale il fatto che il numero di telefono e l'indirizzo dell'abitazione del professor Quadri a Parigi corrisponda a quello di Godard nel 1970. Bertolucci compie una scelta autoriale precisa, come abbiamo scritto all'inizio, e l'uccisione di Quadri diventa anche metafora del superamento del maestro Godard e del suo Cinema; così come la rielaborazione di temi del cinema di Pasolini che Bertolucci affronta (la sessualità nelle sue diverse forme, la critica alla borghesia come rappresentante della società massificante) e da cui si allontana nella forma; il rifiuto del confronto poetico con il padre Attilio e con lo stesso Pasolini, lo portano a un abbandono di un certo cinema fin lì frequentato e ad abbracciare una messa in scena all'interno di regole produttive precise.
Bertolucci è uno dei pochi autori - insieme a Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Federico Fellini - creatori di una voce propria che ha avuto grande successo sul pubblico mondiale e "Il conformista" è il primo dei suoi capolavori in questo senso. La sua influenza è stata notevole per molti registi negli anni Settanta, in particolare per quelli della New Hollywood: basti pensare che uno come Francis Ford Coppola, prima e durante le riprese de "Il Padrino", proiettava in continuazione il film di Bertolucci alla troupe per apprendere e ispirarsi a uno stile moderno e innovativo di fare cinema. Lo stesso impatto che avrà un altro suo capolavoro come "L'ultimo tango a Parigi" (e che per le storie giudiziarie lo accomuna ancora di più alle sorti subite molte volte dal suo maestro Pasolini). Anche per questo, ma non solo, "Il conformista" rappresenta un punto di svolta per l'arte cinematografica tout court, un'opera che influenzerà in modo determinante generazioni successive di registi a ogni latitudine, contribuendo a trasformare Bertolucci in una delle voci più interessanti, originali e ammirate del Cinema mondiale.
cast:
Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Gastone Moschin, Enzo Tarascio, Pierre Clementi
regia:
Bernardo Bertolucci
titolo originale:
Il conformista
distribuzione:
CIC
durata:
110'
produzione:
Mars Film, Marianne Production, Maran Film
sceneggiatura:
Bernardo Bertolucci
fotografia:
Vittorio Storaro
scenografie:
Ferdinando Scarfiotti
montaggio:
Franco Arcalli
costumi:
Gitt Magrini
musiche:
Georges Delerue