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recensione di Matteo Zucchi
8.0/10

Inu-Oh


"Sognavo di essere in un musical, perché in un musical non succede mai nulla di terribile."
Da "Dancer in the Dark"


Per un cineasta che in una ventina di regie, di varia natura e altalenante qualità, ha sempre esplorato il presente, magari in dimensioni alternative e surreali, e occasionalmente il futuro, il fatto di ambientare un film nel passato remoto del proprio paese può già essere una spia dell’importanza che questo potrebbe avere nella produzione del regista. La scelta risulta ancora più interessante alla luce del momento storico affrontato, il conflittuale periodo Muromachi (1336-1573), epoca fondamentale per lo sviluppo sociale e culturale del Giappone, focalizzandosi in particolar modo sulla fine del XIV secolo e l’affermazione dello shōgun Ashikaga Yoshimitsu, assai rilevante nella riunificazione del paese dopo un lungo periodo di divisioni e guerre civili. Nel medesimo periodo, come ricorda una didascalia introduttiva della pellicola, avvennero grandi cambiamenti anche dal punto di vista culturale, con lo sviluppo del teatro a partire dalla più antica ed eterodossa tradizione sarugaku e l’innovazione della musica composta per il tradizionale strumento a corda biwa, con il completamento dello Heike monogatari, il poema epico cantato dai monaci ciechi suonatori di biwa, la cui scrittura e canonizzazione è al centro delle vicende di "Inu-Oh".

Fig. 1:"Inu-Oh" e "Principessa Mononoke", racconti di Storia, maledizioni e mostruosità

La storia dell’avventuroso ragazzo di mare divenuto cieco, e poi convertitosi alla musica, Tomona e quella del deforme ma talentuoso figlio di una compagnia di attori di sarugaku Inu-Ō, troppo simili per non rivelarsi a un certo punto collegate, condividono pertanto l’ambientazione in un periodo storico solitamente poco frequentato dal cinema giapponese, soprattutto da quello d’animazione, con l’eccezione di una pietra miliare del genere come "Principessa Mononoke". Le somiglianze fra "Inu-Oh" e il capolavoro di Miyazaki Hayao (fig. 1) non si limitano però a una vaga scelta del contesto di ambientazione, che potrebbe essere facilmente casuale, ma riguardano vari sviluppi della trama e anche della (ri)costruzione del mondo narrativo. In entrambi i casi si tratta di storie che accompagnano un notevole realismo dell’ambientazione e della caratterizzazione dei rapporti umani a un’ampia presenza di componenti fantastiche e ambedue si focalizzano su una quête necessaria a spezzare una maledizione, la cui risoluzione passa solo attraverso la comprensione più profonda della propria condizione. Per il resto il viaggio dell’eroe di Tomona e Inu-Ō è piuttosto differente da quello del principe Ashitaka, pur essendo ambedue inseriti in adattamenti di miti che affondano le radici nella ricostruzione storica per riflettere sul passato e asservirlo alla rielaborazione, e riflessione, artistica. Quest’ultimo tema è centrale nella poetica di Yuasa, nella cui opera la realtà si piega sempre all’espressività dall’artista, producendo la compresenza di stili e sottogeneri narrativi che da "Mind Game" è un tratto fondamentale delle sue regie (fig. 3).

Fig. 2: "Inu-Oh" fra rappresentazione storica e leggenda fantasy

In "Inu-Oh" il realismo è inizialmente rispettato in maniera sorprendente, trattandosi di un’opera di Yuasa Masaaki: il character design è più realistico del solito, il tratto quasi pittorico e la narrazione si focalizzano attentamente (dopo la brevissima parentesi introduttiva ambientata nel presente) sulla ricostruzione del Giappone del XIV secolo, dei suoi valori e dei suoi protagonisti. Ma presto il recupero di un importante insegna imperiale, con tanto di tesoro, conduce al risveglio di una terribile maledizione, che lascia Tomona cieco e senza padre, mentre nella capitale una donna ha dato alla luce, morendo, una creatura mostruosa: dall’avvicinamento di questi due eventi il mondo del film comincia a mutare rapidamente (fig. 2). Mentre lo stile visivo insegue coraggiosamente la rappresentazione della cecità (un oceano bianco con esplosioni di colore dai bordi sfocati a rappresentare i suoni che guidano la via), introducendo l’anti-realismo stilistico della pellicola, i due protagonisti trovano la propria vocazione e varie forze, magiche e politiche, si muovono sullo sfondo della loro vicenda. Ma il fantastico e la reinvenzione visiva hanno ormai fatto il loro ingresso nel mondo di "Inu-Oh" e per un po’ parentesi storiche, complotti e momenti di quotidianità devo lasciare spazio, seppur non esclusivamente, allo sfavillante spettacolo musical che è il cuore pulsante (d’altronde sta al centro del film) dell’opera di Yuasa, anticipato dal primo incontro fra il suonatore Tomona e l’attore Inu-Ō, in cui per la prima volta la musica cambia la forma del mondo.

Fig. 3: eterogeneità stilistica da "Mind Game" a "Inu-Oh"

Se l’arte nella sua interezza svolge un ruolo nei riferimenti estetici e culturali dell’intera produzione del regista di Ōsaka, la musica ha evidentemente un ruolo preminente, come si può evincere fin dall’esordio "Mind Game", ove contribuiva letteralmente a determinare la forma estetica di alcune delle sequenze più rilevanti del film (i momenti visionari dentro il ventre della balena, ad esempio). Nel più recente "Ride Your Wave" la musica, nello specifico una canzone, ha l’effettivo potere di lasciar superare la barriera fra realismo e fantasia (e fra vita e morte), in modo da far entrare Yuasa nel suo reame, quello della trasfigurazione più libera possibile, quasi a riprova delle infinite possibilità rappresentazione del cinema d’animazione (fig. 4). Allo stesso modo in "Inu-Oh" è la musica dell’ambizioso e inventivo (in un contesto, quello giapponese del XIV secolo, in cui si chiede invece all’artista il completo asservimento al canone) suonatore di biwa Tomona che dà all’outsider Inu-Ō la possibilità di esprimere il suo incontrollabile talento mediante un corpo deforme che gli rende possibili cose infattibili per ogni altro attore. In questi momenti il realismo putativo degli inizi si dissolve in un mare di colori e forme geometriche, la cui unica possibile colonna sonora è un opera rock di rara sfacciatezza, mentre il protagonista eponimo si lancia in danze e interpretazioni esplicitamente contemporanee. L’arte permette di trascendere la storicità per condurre gli spettatori (sulle cui reazioni nel film la regia di Yuasa si concentra molto) in un reame sinestetico di cui l’animazione, tradizionale ma arricchita con arguzia di vari interventi digitali, è assoluta signora.

Fig. 4: la musica come medium di liberazione, dal realismo in primis, in "Ride Your Wave" e "Inu-Oh"

La forma del musical che caratterizza l’ampia e forse ridondante sezione centrale di "Inu-Oh" pare in realtà una scelta quasi scontata da parte del regista giapponese, per quanto inizialmente possa sorprendere alla luce dei riferimenti storici e cinematografici della pellicola. D’altronde non vi è un genere cinematografico che faccia della violazione del presunto realismo cinematografico un suo tratto caratteristico quanto il musical, la cui frequente gratuità di musiche e canzoni diventa qui l’occasione per subordinare, per una volta, la storia, in fondo cupa e tragica, che "Inu-Oh" racconta, e il truce contesto in cui questa si colloca, alla libertà d’invenzione artistica. Già in passato il musical è divenuto per Yuasa una componente decostruttiva, permettendo ai protagonisti di "The Night Is Short, Walk On Girl" di poter finalmente esprimere sé stessi nella forma di un musicale guerrilla theater, nonché di ribellarsi all’ordine costituito del loro mondo narrativo (fig. 5). Nel nuovo film del regista di Ōsaka la componente musical non si limita però a essere una, pur significativa, parentesi nel racconto (e una grandissima prova del polistrumentista Ōtomo Yoshihide e dei due interpreti principali Avu-chan e Moriyama Mirai) ma anzi lo fa procedere seguendo quella che è la vera motivazione dei protagonisti: liberare Inu-Ō dalla sua maledizione permettendo agli spiriti che lo possiedono di ascendere tramite il racconto delle loro storie, i capitoli perduti dello Heike monogatari, aiutando simultaneamente il protagonista eponimo a riscoprire la propria umanità (cambiando la letterale forma del suo corpo) mediante l’arte. Coreografate e musicate nei minimi dettagli, le sequenze musical si fanno immagine del potere della narrazione mediante la sinergia di diversi media e il movimento, elevandosi a metafora del cinema stesso, di cui gli elaborati spettacoli di Tomona e Inu-Ō paiono precursori, piuttosto che del rigido e ritualistico teatro .

Fig. 5: il teatro e il musical come luoghi di espressione autentica in "The Night Is Short, Walk on Girl" e "Inu-Oh"

La sezione musical è intervallata da brevi momenti che illustrano il crescente seguito dei due artisti da parte del popolo e la simultanea ostilità delle élite culturali, in particolar modo dal padre attore di Inu-Ō, e dal disprezzo dello shōgun Ashikaga, che desidera servirsi del duo solo per ragioni di consenso. Questi servono a costruire il climax che conduce all’ultima performance finale, uno spettacolo grandioso dal punto di vista estetico e che coincide anche con la fine della maledizione e la scoperta del fatto che le origini dei mali dei due ragazzi sono legate, dissolvendosi in un letterale fuoco d’artificio (rosso sangue). Ma a questo punto, con la fine del musical, finisce anche la parabola fantastica di affermazione sociale di due diseredati e la Storia riprende, ovviamente in maniera violenta, la sua marcia (fig. 6). La velocità con cui cambia il tono del racconto, e anche colori e forme si fanno più opachi e aguzze per seguire il cambio di registro del film, può sembrare eccessiva ma serve per svegliare anche gli spettatori, e non solo i protagonisti, dal magnifico sogno multi-colore in cui erano immersi e farli precipitare nella fatalità degli sviluppi storici. Insieme alle complesse scenografie e alle musiche difatti se ne sono andati anche i fantasmi, i miti e le maledizioni: resta solo il progetto politico di unificazione dello shōgun e la sottomissione dell’arte alla politica, facendo dello Heike monogatari le fondamenta narrative e ideologiche del Giappone, fondamenta che non hanno bisogno di "capitoli perduti" ma anzi li ripudiano come avviene a ogni racconto eterodosso all’interno di una narrazione che si appresta a divenire ortodossia.

Fig. 6: Storia e arte, mondi a confronto in "Inu-Oh"

Sebbene una chiusura più aperta sia data nel finale, che guarda caso torna al presente da cui partiva la narrazione come racconto di una vecchia leggenda da parte di un suonatore ambulante (quindi una storia dentro una storia che parla di storie), "Inu-Oh" ha la conclusione probabilmente meno ottimista e più netta dell’intera filmografia di Yuasa. Nel nero della notte urbana, e della morte, si chiude quindi l’ultima, coloratissima e dal ritmo incessante, pellicola del regista, apprezzatissima alla Mostra del Cinema di Venezia e poi al Far East Film Festival di Udine, ricordando comunque la possibilità dell’artista, per quanto irrealistica, di resistere al corso della Storia, anche se il rischio è essere dimenticati come i due protagonisti, che forse hanno veramente contribuito alla riforma del teatro sarugaku, lasciando ben poche tracce. Ciò che invece resta è la visionarietà di Yuasa Masaaki e dei suoi collaboratori, forse mai così strettamente legata al racconto e all’estetica stessa della pellicola, in cui i tratti delicati ma dei bordi spessi dei personaggi, così come i colori sfumati, non possono che ricordare la pittura giapponese del periodo Muromachi. Il regista di Ōsaka si è sempre distinto per la grande varietà dei suoi collaboratori artistici, da cui deriva la grande, forse pure eccessiva, differenza stilistica fra le sue molte opere, e con una pellicola così stilisticamente eterogenea pare quasi voler ricapitolare la sua intera produzione, in uno spassionato omaggio al potere trasformativo dell’arte. Che questo avvenga in una pellicola di animazione che si fa vanto della sua ricchezza estetica non fa altro che dimostrare il grado di maturazione a cui è arrivata l’arte di Yuasa, "dopo tutti questi anni".


08/05/2022

Cast e credits

cast:
Avu-chan , Mirai Moriyama, Kenjirô Tsuda, Yutaka Matsushige, Tasuku Emoto


regia:
Masaaki Yuasa


durata:
98'


produzione:
Scienze SARU, Aniplex, Asmik Ace


sceneggiatura:
Akiko Nogi


fotografia:
Yoshihiro Sekiya


montaggio:
Kiyoshi Hirose


costumi:
Character designer: Nobutake Ito


musiche:
Yoshihide Ôtomo


Trama
Giappone, fine del XIV secolo (periodo Muromachi). Il giovane pescatore Tomona viene coinvolto assieme al padre nel recupero di un antico tesoro affondato, residuo di un importante battaglia. Il tesoro, una spada, è però maledetto e Tomona perde il padre e la vista. Divenuto un errante, scopre la musica e diviene un monaco suonatore di biwa. In questa veste incontra Inu-Oh, un altro ragazzo maledetto, il figlio di un importante attore diseredato per via della sua deformità, la quale però gli dono una mobilità senza egualità: incantati dalla capacità artistiche l'uno dell'altro, i due giovani inizieranno un percorso che li porterà a rivoluzionare il teatro Noh e la musica del periodo, scoprendo di più sulla maledizione che attanaglia Inu-Oh. Until the pointy end.