BOOOM! Una singola onomatopeica parola potrebbe bastare per recensire adeguatamente questo "Die Hard - un buon giorno per morire", quinto episodio della fortunatissima saga cinematografica che ha lanciato Bruce Willis nell'olimpo degli eroi del cinema d'azione. BOOOM! E nella sua trasferta russa un sempre più reazionario John McClane (Bruce Willis) è fiondato in dinamitarde avventure, in scontri all'ultimo caricatore e inseguimenti per le strade moscovite. A fianco del supersbirro newyorkese c'è il figliol prodigo Jack McClane (Jai Courtney), scapestrato agente segreto impegnato in una novella guerra fredda che condurrà i due fino a Chernobyl in un'insolita vacanza familiare: "Beh andiamo là e facciamo nel nostro stile. Li facciamo fuori tutti quei bastardi!"
Forse non siamo riusciti a passare indenni oltre quel fin de siècle novecentesco e ci trasciniamo ancora dietro un carico di melanconia e decadenza che si riversa impietoso su pellicole come questo nuovo "Die Hard", che privo dello smalto dei primi film della saga ripropone ed estende il meeting familiare che nel 2007 era iniziato col ricongiungimento di John McClane e della figlia Lucy in "Die Hard - Vivere o morire". Se il fascino di "Trappola di cristallo" (1988) non risiedeva semplicemente nell'ammazzamento dei cattivi in quell'indimenticabile veglione natalizio alla Nakatomi, ma anche nella personalità di McClane, uno sbirro umano troppo umano volato a Los Angeles per risolvere i problemi con la moglie Holly. Oggi con "Die Hard - un buon giorno per morire" la scrittura confusa dello sceneggiatore Skip Woods e la camera a mano del regista John Moore ci rendono sperduti spettatori di un film alla deriva che, per quanto con diverse citazioni provi a ricollegarsi agli episodi mctiernaniani, non sembra essere altro che un lontano parente del "Die Hard" che conoscevamo.
E allora ecco l'altra alba dei morti viventi, quella degli action hero over 50 che si risvegliano dal loro letargo politicoesistenzialattoriale per intraprendere una (forse) ultima marcia, un'ultima avventura prima di appendere la revolver al chiodo. Così da icone demodé degli action movie degli anni Ottanta/Novanta, stelle brillanti di quel cinema esplosivamente supermacho e testosteronico, oramai all'ombra delle palme del Sunset Boulevard nell'era dell'ipercinetismo dei Bourne, della CGI e degli incassi bilionari dei vendicatori whedoniani, questi eroi dimenticati camminano nuovamente sulle acque. "I mercenari" di Stallone organizzò la reunion dei nonni dal bicipite pompato, il successo di pubblico ne eclissò il flop critico e i vecchietti bissarono l'incontro; in sordina non è passato nemmeno il recente ritorno del Governator Schwarzenegger per Kim Ji-woon e ora ecco ancora e nuovamente un Willis sempre più stanco, sempre più statico, sempre più reazionario che nella sua vacanza moscovita riscopre il valore dei legami familiari al suon di bombe a mano.
Dimostrando peraltro chiaramente che non basta l'autoironia per salvare un pessimo film assistiamo al peggiore dei cinque episodi della saga che vede lo sbirro McClane protagonista, che in definitiva si risolve in una serie di scene d'azione (buono l'inseguimento per le strade di Mosca in apertura e la finale scena madre) legate insieme da battute estemporanee (tutto quel che resta di una trama sfilacciata): il peggiore venticinquesimo compleanno che potevamo aspettarci per McClane. Così, tristemente scopriamo che l'unico duro a morire rimasto è il box office coi suoi incassi milionari.
cast:
Bruce Willis, Jai Courtney, Sebastian Koch, Mary Elizabeth Winstead, Yuliya Snigir
regia:
John Moore
titolo originale:
A Good Day to Die Hard
durata:
97'
sceneggiatura:
Skip Woods
fotografia:
Jonathan Sela
scenografie:
Daniel T. Dorrance
montaggio:
Dan Zimmerman
costumi:
Bojana Nikitovic
musiche:
Marco Beltrami