La miniserie Netflix che racconta in chiave "dramedy" l'epopea di Clark Olofsson, la rockstar svedese del crimine che ispirò anche l'espressione "sindrome di Stoccolma"
Dicesi sindrome di Stoccolma “quel particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino, che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento” (Treccani). Ma se l’espressione è ormai di uso comune, meno conosciuto è il personaggio per il quale è stata coniata: Clark Olofsson, il criminale più celebre di Svezia. Fu lui a ispirare allo psichiatra e criminologo svedese Nils Bejerot il curioso neologismo, in seguito al celebre colpo in banca del 23 agosto 1973 a Norrmalmstorg, già al centro del film “Rapina a Stoccolma” del 2008 di Robert Budreau (con Ethan Hawke, Noomi Rapace e Mark Strong). Dopo aver fatto irruzione nella Sveriges Kreditbanken, il gangster Jan-Erik Olsson chiese, in cambio della liberazione degli ostaggi, proprio l’intervento di Olofsson, oltre a tre milioni di corone svedesi e a una Ford Mustang per fuggire. Gli impiegati, tenuti in ostaggio dai due rapinatori per sei giorni, una volta liberati (grazie all’uso di gas lacrimogeni), espressero sentimenti di solidarietà verso i sequestratori arrivando anche a testimoniare in loro favore.
I tragicomici eventi della vita di Olofsson raccontati nella miniserie “Clark” ci offrono oggi una gustosa chiave di lettura per rendere meno incomprensibile quel paradosso. Perché nella sua mirabolante altalena di crimini, incarcerazioni, evasioni e relazioni con ogni tipo di donna, Olofsson è apparso a tutti gli effetti un eroe nazionale, a dispetto della collezione di condanne accumulate negli anni per traffico di droga, tentato omicidio, violenza, furti e decine di rapine in banca. Un controsenso reso possibile da un mix tra il fascino del personaggio – una sorta di Vallanzasca assai meno pericoloso e violento, non avendo mai commesso omicidi – il clima tollerante e libertino che caratterizzava la Svezia già dagli anni 60 e l’inevitabile mitologia che ha finito con l’accompagnare le rocambolesche imprese di questo “incrocio tra Pippi Calzelunghe e Al Capone”, come venne definito in patria.
In sei avvincenti puntate basate “su verità e menzogne” – come preannunciato dai titoli di testa – la miniserie diretta da Jonas Åkerlund, tratta dall’autobiografia dello stesso Olofsson, restituisce un ritratto da rockstar del protagonista, magistralmente interpretato da un Bill Skarsgård in stato di grazia, deciso a tornare alla serialità dopo l’esperienze di “Hemlock Grave” e “Castle Rock”, anche a costo di rinunciare all’ambito ruolo di Thorir su “The Northman” di Robert Eggers, dove avrebbe condiviso il set con il fratello Alexander (sono entrambi figli dell’immenso Stellan Skarsgård). Una scelta rischiosa ma pienamente indovinata, visto che l’ex Pennywise di “It” dà vita a una prova larger than life, capace di mostrare tutti i volti dell’(anti)eroe al centro della narrazione, spaziando dal registro drammatico a quello comico, da quello grottesco a quello iper-realistico in rapidissima successione, complice il montaggio frenetico che asseconda la voce narrante. Un montaggio a trecento all’ora che a volte finisce persino col costringere il narratore a interrompere il racconto per riavvolgere il nastro, avendo saltato dei passaggi tra un evento e l'altro. Il caos psicologico del protagonista, infatti, si rispecchia in una messa in scena spiazzante, che alterna finto materiale d’archivio e mockumentary beffardo alla Woody Allen (“Prendi i soldi e scappa”), voce narrante stile “Quei bravi ragazzi”, salti temporali, animazione, titoli di coda affidati agli inserti musicali (memorabile tutta la colonna sonora, che rispolvera hit svedesi dell’epoca, dai Ewa Roos ai Secret Service) e sequenze surreali, come quella in cui Clark immagina i titoli di testa di un film su di lui.
Assistiamo così a un’epopea criminale edificata su radici familiari inevitabilmente marce, riesumate in bianco e nero (il padre violento e ubriacone, la madre psicologicamente instabile), che progressivamente decolla fin dalle prime visite al riformatorio, dove il giovane Clark - così chiamato dalla mamma in omaggio al mito hollywoodiano di Gable - apprende i rudimenti di un’arte criminale che riuscirà sempre a padroneggiare con un misto di genialità, istinto e cialtronaggine. Dando vita a un “dentro/fuori” (diciassette le evasioni, probabile record mondiale) dagli istituti di detenzione svedesi che sarebbe andato avanti più di mezzo secolo, con l’improbabile poliziotto-segugio dal cuore buono Tommy Lindström costantemente alle calcagna, in stile “Catch Me If You Can”.
Giocando spesso a smontare i cliché della serialità crime, con un occhio al Tarantino di “Kill Bill”, Åkerlund - già alla corte di Netflix per il thriller “Polar” - opta per una narrazione sovrabbondante, unita a un’efficacissima fotografia ipersatura dei paesaggi del Nord Europa degli anni 60/70, teatro delle scorribande di Olofsson (oltre alla Svezia, anche Danimarca e Belgio). Ne scaturisce un irresistibile caleidoscopio in cui lo spettatore viene sbalzato da una cruda narrazione crime a momenti di esilarante comicità, come la scena delle banconote infilate nel didietro durante una rapina o le demenziali strategie dei poliziotti nel quarto episodio, come il ballo in carcere sulle note della versione svedese di “Jailhouse Rock” oppure la più folle e raffazzonata delle imprese criminali: quando Clark deve solo aspettare che un complice piazzi dell’hashish per lui, ma, sopraffatto dalla noia, decide di rapinare una banca, conosce una ragazza e fugge con lei finendo arrestato poco dopo.
L’aspetto sentimentale della vicenda, del resto, non è affatto secondario, perché Olofsson è anche un inguaribile Casanova che “ogni giorno della sua vita è stato innamorato”, ma è riuscito anche ad abbandonare tutte le sue più o meno occasionali compagne, lasciando una scia di traumi e delusioni. Una saga nella saga, che dal primo amplesso con una donna molto più matura di lui prosegue con la doppia liaison (più rapina) con la ricca e ingenua Madou (Isabelle Grill) e con sua madre, con la dolcissima Maria (Hanna Bjorn) che tenterà di convincere di essere un sincero rivoluzionario (esilarante la scena del rapporto sessuale tra i due in cui discutono delle teorie di Marx), con la spagnola Ursula, la belga Marijke e infinite altre. Tra sequenze sessuali surreali, dall’ironia nordica non troppo distante dal Von Trier di “Nymphomaniac”, con tanto di immaginifica teorizzazione filosofica sull’organo sessuale femminile in apertura di un episodio.
Relegata sullo sfondo, ma non del tutto dimenticata, la storia politica di quegli anni nella progressista Svezia, fatta di personalità importanti incrociate realmente dallo stesso Olofsson - come i primi ministri socialdemocratici Tage Erlander e Olof Palme (quest’ultimo assassinato nel 1986) - e di conquiste sociali, incluso il miglioramento delle condizioni delle carceri in seguito alla sciopero della fame di 2.500 detenuti, promosso sempre dall’ineffabile Clark (che però in segreto mangiava).
La fascinazione per i criminali non è certo una novità nelle serie-tv, da “I Soprano” a “Breaking Bad”, da “Better Call Saul” a “Ozark”, ma “Clark” segna un’ulteriore evoluzione in chiave dramedy, aggiungendovi un tocco caratteristico di eccentricità e di humor scandinavo nel tratteggiare colui che venne definito in patria un vero e proprio criminale vip (kändisbrottsling, come si autodefinisce nella versione originale) ma anche la bislacca – e altrettanto memorabile - compagnia di fricchettoni e outsider che ne hanno accompagnanato le gesta. E pazienza, allora, per qualche eccesso di autocompiacimento. Tutto l’impianto di “Clark”, d’altronde, è un gioco narcisista, spregiudicato, ingannevole, costantemente in bilico tra realtà e finzione e inevitabilmente manipolatorio, proprio come lo stesso protagonista, al punto da spingere alle soglie della sindrome di Stoccolma anche lo stesso spettatore. Basta lasciarsi rapire, e il gioco è fatto.
titolo:
Clark
titolo originale:
Clark
canale originale:
Netflix
canale italiano:
Netflix
creatore:
Jonas Åkerlund
produttori esecutivi:
Birna Paulina Einarsdottir, Gabija Siurbyte
cast:
Bill Skarsgård, Alicia Agneson, Vilhelm Blomgren, Sandra Ilar, Kolbjörn Skarsgård, Hanna Björn, Peter Viitanen, Agnes Lindström Bolmgren, Isabelle Grill, Adam Lundgren
anni:
2022