La saga di Tony Soprano, mobster a nervi tesi, e della sua variegata famiglia, nella storica serie Hbo. Ovvero, il punto di non ritorno in cui la tv ha superato l’industria di Hollywood, candidandosi a raccontare la società contemporanea nel modo più complesso e articolato
"Mio padre era così, mio zio era così. C'era un'epoca in cui un italiano non aveva molte altre possibilità. Forse per essere un ribelle nella mia famiglia avrei dovuto vendere mobili da giardino sulla statale 22"
(Tony Soprano)
È una torrida serata romana, il 19 giugno 2013. James Gandolfini, in vacanza nella terra paterna e in procinto di partecipare al Taormina Film Fest, la trascorre con la famiglia in un ristorante di Trastevere. Non si risparmia: doppia porzione di frittura di gamberi con maionese e un grande piatto di foie gras più quattro shot di rum, due Piña Colada e due birre. L'impietoso resoconto del New York Post evoca un'abbuffata degna di quelle del suo alter ego televisivo con i compari, fuori dalla macelleria Satriale. Non si saprà mai se l'infarto fulminante che coglie l'attore di Westwood poco dopo in albergo sia solo conseguenza di questo. "Morte naturale", decreterà l'autopsia. Nelle foto della sua stanza all'Hotel Boscolo, i più attenti coglieranno un dettaglio: un grosso accappatoio bianco. Identico a quello di Tony Soprano.
Anche i funerali di Gandolfini, nella Cattedrale di Saint John the Divine, a New York, si trasformeranno in un surreale ultimo set dei Sopranos: dolore, lacrime, ma anche tacchi fetish, scollature vertiginose, occhiali scuri, van blindati e polizia. Con tutto il cast della serie a rendere omaggio al suo boss. Ma se l'identificazione tra quei magnifici interpreti - quasi tutti italoamericani - e il folklore di Little Italy può suonare scontata, meno prevedibile è l'immedesimazione di milioni di telespettatori in un personaggio brutale come Tony Soprano. Perché è questa, più di ogni altra cosa, la molla che scatena la commozione mondiale per la scomparsa prematura di Gandolfini. A 51 anni, l'ex-buttafuori e gestore di night-club, con trascorsi nella Broadway off e un'onorata militanza da caratterista, aveva conquistato l'immortalità indossando l'accappatoio bianco di quell'ineffabile mobster del New Jersey.
"Cosa è successo a Gary Cooper, l'uomo forte e silenzioso? Lui sì che era un americano. Non gli interessavano i sentimenti. Faceva quello che doveva fare. Vede, quello che non sapevano era che se fai scoprire i sentimenti a Gary Cooper, poi non riesci più a farlo stare zitto. Disfunzione di qui, disfunzione di lì, e disfunzione vaffanculo!"
(Tony Soprano)
Tutta colpa delle anatre
La morte di Gandolfini poneva fine nel modo più tragico alla saga dei Soprano, in onda dal 1999 al 2007, per un totale di sei stagioni e 86 episodi. Non che vi fosse qualche possibilità di riaprire la serie, già tumulata dagli enigmatici dieci secondi finali di schermata nera (ridotti sciaguratamente a due nel primo passaggio televisivo di Italia1) dell'episodio Made in America. Ma quantomeno l'ipotesi di un film aveva continuato a serpeggiare, pur in assenza di conferme ufficiali da parte degli autori. Dopo la fine del patriarca, non restava che la nostalgia. E pensare che Gandolfini non riteneva di avere il physique du rôle per reggere la parte: "Ma guardatemi in faccia", si schermì con gli autori, andandosene a metà della prima audizione. Ma David Chase fu irremovibile. L'inventore de "I Soprano" - come ricorda Umberto Cantone - lo aveva scelto per il suo sguardo triste e per il sorriso disarmante che sapeva mutarsi in ghigno feroce. E anche perché la sua mole in sovrappeso gli ricordava quella di Jackie Gleason, il suo attore prediletto da bambino.
Chase, all'anagrafe De Cesare, stava girando da anni con in tasca quel canovaccio di quality drama su un boss sull'orlo di una crisi di nervi, con quel cognome italiano rubato a un compagno del liceo. "Volevo rendere l'idea che la vita è così complessa che anche un mafioso ha bisogno di aiuto per capirne qualcosa", il suo assunto di partenza. In tanti lo snobbano, non la Hbo. Intuita la potenzialità del progetto, la storica rete via cavo americana mette Chase a capo di una writing room in cui nel corso degli anni entreranno autori come Terence Winter, colui che darà vita qualche anno dopo a "Boardwalk Empire", e Matthew Weiner, futuro artefice di "Mad Men".
Lo spunto di partenza della serie - il contrasto tra l'omertà mafiosa e il "dire tutto" di freudiana dottrina - coincide con quello di un film che esce nello stesso anno (1999), "Terapia e pallottole" di Harold Ramis, in cui Robert De Niro è un mafioso che cerca di curare i suoi problemi comportamentali sul lettino dello psicologo. Ma l'intuizione di Chase è ben precedente: compare già nella bozza del pilot realizzato nel 1997: tormentato da attacchi ansia, svenimenti e insonnia, Tony Soprano, aspirante boss del New Jersey, è costretto di nascosto a entrare in terapia. Ma se la commedia di Ramis scade presto nel macchiettismo, Chase marca subito la differenza con una duplice intuizione. Anzitutto, il geniale antefatto delle anatre: una nutrita colonia pennuta dapprima si insedia nella piscina di Tony che la accudisce amorevolmente, quindi vola via, scatenando la sua prima crisi di panico. Da qui l'altra mossa vincente: la scelta di una psicanalista donna, quasi a voler sfidare il patriarchismo della famiglia Soprano e lo stesso ruolo di boss di Tony. Non a caso, quando verrà a conoscenza della notizia, il nipote Chris, sgomento, scoppierà in lacrime.
Inevitabile, quindi, che domini un senso di straniamento, a tratti esilarante, che Tony riassume da par suo durante una seduta: "Cosa è successo a Gary Cooper, l'uomo forte e silenzioso? Lui sì che era un americano. Non gli interessavano i sentimenti. Faceva quello che doveva fare. Vede, quello che non sapevano era che se fai scoprire i sentimenti a Gary Cooper, poi non riesci più a farlo stare zitto. Disfunzione di qui, disfunzione di lì, e disfunzione vaffanculo!". Ma alla fine è meglio tirar fuori tutto. Non sarà peggio di "un uomo d'affari che si libera illegalmente di rifiuti tossici", per dirla con Tony. Anche dietro l'ironia di dialoghi come questi, "I Soprano" finisce, forse inconsapevolmente, col raffigurare il più grande affresco televisivo su una delle grandi malattie contemporanee: la depressione.
L'altro cardine della serie è dunque la flemmatica dottoressa Jennifer Melfi, interpretata da una splendida Lorraine Bracco, già moglie del mafioso Henry Hill in "Quei bravi ragazzi". Algida e sensuale, abile a mettere sempre la pulce nell'orecchio a Tony, la dottoressa lo esorta a scavare nell'infanzia e nel rapporto con i genitori, dispensando prozac e tranquillanti. Il suo tira e molla con Gandolfini è forse la descrizione più realistica di una terapia psicanalitica mai vista al cinema o in televisione. Ben prima di "In Treatment" e affini. Un rapporto intrinsecamente ambiguo, in cui Tony sviluppa un classico transfert, immaginandosi innamorato della sua analista, a sua volta intrappolata in un misto di attrazione e terrore, che la spinge solo a mettere le mani avanti sui possibili risvolti penali: "Se venissi a conoscenza di un omicidio - glielo dico per ipotesi, non che sia questo il caso - sarei costretta a informare l'autorità giudiziaria", il suo unico disclaimer. Al tempo stesso, Tony usa la terapia per migliorare il suo approccio gestionale, ma la demistifica, conscio che non potrà avere alcun impatto sulla sua vita criminale. Ed è sul crinale di questa ambiguità morale che finisce anche lo spettatore, costretto a immedesimarsi in un malavitoso tanto feroce quanto profondamente umano. Simpatico, per di più. E immerso in un quadro sociale di apparente normalità - a cominciare dal calore della routine familiare - che rende la sua brutalità ancora più disturbante. Anche per questo, "I Soprano" segna una rivoluzione. Dopo le sue 86 puntate, niente in tv sarà più come prima.
"The Sopranos may be the greatest work of American popular culture of the last quarter century"
(New York Times)
Post-gangster drama
Ma che cos'è quella che l'autorevole Writer Guild of America East & West definì la migliore serie televisiva di sempre e il New York Times additò come "la più grande opera della cultura pop americana dell' ultimo quarto di secolo"? Non un gangster-movie classico, semmai una commedia di Checov riscritta nel linguaggio sfrontato e truculento di un pulp di Tarantino. Con una sceneggiatura ariosa, dialoghi folgoranti e una recitazione magistrale, anche nei comprimari.
Certo, i classici del passato restano un referente inevitabile. Come il fantasma in gessato di James Cagney, che Tony osserva in tv venir trucidato in una scena di "The Public Enemy". O la trilogia del Padrino, rievocata nei dialoghi (Tony si chiede spesso ironicamente "cosa avrebbe fatto Don Vito Corleone al posto mio?") e citata esplicitamente (ad esempio, nella scena che precede l'attentato a Tony, in cui il boss compra un succo d'arancia da un fruttivendolo, così come Don Vito aveva acquistato delle arance prima della sparatoria). Il realismo tragico della saga di Coppola si rinnova attraverso alcuni espedienti tecnici, come il montaggio alternato tra scene di violenza e di calore domestico, tra narrazione in tempo reale e flashback allucinati/onirici. The Sopranos, però, rifiuta l'epica solenne dei film di Coppola: Tony e i suoi compari sono distanti anni luce dal contegno regale dei Corleone - impensabile immaginare Don Vito o Michael sul lettino di una strizzacervelli, seduti al tavolo del Satriale's Pork Store o costretti ad assecondare i capricci adolescenziali di una figlia, chiamata per di più Meadow!
Quello dei Soprano è un mondo criminale di mezza tacca, pericolosamente avviato sul viale del tramonto. Il riferimento più diretto di Chase diviene così la visione antropologica del microcosmo mafioso contemporaneo che ha offerto Martin Scorsese in "Quei bravi ragazzi" (1990): la vita quotidiana dei "piccoli operai del crimine", tra problemi familiari e ansie lavorative, riletta attraverso una visione drammaticamente realista e un umorismo di grana sottile. Un modello che Chase omaggia ripetutamente, attingendo a piene mani dallo stesso cast (ben 27 gli attori in comune, inclusi quattro protagonisti come Lorraine Bracco, Tony Sirico, Frank Vincent e Michael Imperioli) e citando apertamente il finale del film di Scorsese, nella scena in cui Tony - come Henry Hill/Ray Liotta - esce in accappatoio sul vialetto di casa per prendere il giornale. Con un valore aggiunto, però: un verismo decisamente fuori dai canoni televisivi (e perfino cinematografici) classici. Mai si erano visti personaggi così vivi su uno schermo. Mai ci si era addentrati così a fondo nella quotidianità e nella mente di un criminale. E allo scavo psicologico si sposa una potente simbologia, che alimenta una sorta di mitologia interna al racconto: cene, ricorrenze, rimandi a eventi e a persone defunte, ripetute metafore (gli animali, le uova etc.), allusioni e altri espedienti retorici hanno un ruolo decisivo nella costruzione dell'impianto narrativo, assecondato tra l'altro da una calibratissima colonna sonora.
Basandosi su realtà esistenti, come la mafia del New Jersey e le Cinque Famiglie di New York, lo showrunner architetta una rete di legami di finzione complessi, nella quale immerge le cosche immaginarie dei DiMeo, di cui fanno parte i Soprano, e dei Lupertazzi (qui la genealogia completa). Una visione di terza generazione, evoluta e verosimile, della figura del mobster italo-americano all'alba del nuovo Millennio: niente più massacri di San Valentino o sparatorie nel centro di New York, ma un approccio più defilato e periferico, con al centro - al posto dei vecchi affari ormai superati (pizzo, corruzione, appalti truccati) - uno dei più grandi business contemporanei: lo smaltimento dei rifiuti.
A capo di una bislacca gang che come copertura usa proprio la denominazione "Gestione dei rifiuti e ambiente", Tony incarna una mafia ancora spietata ma anche ordinaria e spesso finanche ridicola, insinuata nel ventre molle della società americana. Più intelligente dei compari, comprende però che questo microcosmo, con il suo codice all'antica, sta diventando rapidamente obsoleto: i vecchi boss sono malati o si stanno rincoglionendo in qualche ospizio. I nuovi, come lui, sono nevrotici, depressi e incapaci di tramandare quell'eredità alle nuove generazioni, impersonate dallo svogliatissimo rampollo Anthony Jr. e dal nipote Christopher, tanto ambizioso quanto fragile e inaffidabile. "Se ripenso a mio padre - rivela Tony alla Melfi - lui non è mai arrivato in alto come me, ma in un certo senso gli è andata meglio. Aveva gente su cui contare, gente di sani principi, gente con le palle. Oggigiorno che c'è rimasto?".
Sospeso tra passato e futuro, Tony spesso non sa che pesci prendere. Così la sua soluzione per impedire un omicidio nel ristorante di un suo amico consiste nel dare fuoco al locale anziché mettersi contro lo zio. Eppure possiede una lungimiranza e una duttilità mentale sconosciute ai vecchi mammasantissima. La sua complessità ha spinto persino a un ardito parallelo con Emma Bovary, sostenuto, tra gli altri, da Aldo Grasso, perché "come Emma, Tony è un'affascinante miscela di cultura popolare, ambizione e sottomissione agli impulsi e agli appetiti che la società non sanziona. E come lei, Tony intuitivamente - ma non intellettualmente - capisce che il mondo è un posto più complesso e ricco per essere racchiuso nelle sterili categorie della società e della terapia che viene autorizzata come una panacea". Anche per questo si può considerare il primo post-gangster apparso sullo schermo.
"Questa è una storia sull'America. Una storia che riguarda tutti. Chi si lamenta è un fanatico dell'etnia"
(David Chase)
Italia sì, Italia no
La critica più puerile che può essere rivolta alla serie - puntualmente espressa da diversi politici nazionali, incluso l'ex-leader di An Gianfranco Fini - è quella di dipingere un'italianità macchiettistica, umiliando la nostra comunità oltreoceano. Anzitutto per un motivo molto semplice: Tony Soprano, più che uno stereotipo del "paisà", incarna le contraddizioni di un cittadino americano del Ventesimo secolo, schiacciato dal peso di conflitti familiari e responsabilità insostenibili. "Un clown triste, che fuori continua a ridere e dentro piange", secondo la sua stessa melodrammatica definizione. Nonostante le origini avellinesi e le relazioni con la camorra, ben poco di italiano è rimasto in lui: al massimo qualche inflessione partenopea dentro al suo accento del New Jersey, o qualche avanzo culinario - dagli ziti al forno agli spaghetti al pomodoro - sulla tavola di casa. Praticamente nessuno dei personaggi sa parlare italiano. E i loro sport preferiti sono quelli dell'americano medio: basket, football, baseball. A suggellare tutta la distanza tra i mafiosi di Newark e il loro paese di origine sarà l'episodio (invero tra i meno riusciti) in cui Tony vola a Napoli per una "trasferta di lavoro": il divario tra i due mondi apparirà così incolmabile da rendere difficile anche solo la comunicazione.
Del resto è lo stesso Chase a spiegarlo: "Questa è una storia sull'America. Chiunque la segua con un briciolo d'intelligenza lo capisce subito. È una storia che riguarda tutti. Chi si lamenta è un fanatico dell'etnia". E - aggiungeremmo noi - al di là dello slang colorito e delle camicie pacchiane, non esistono neanche le macchiette: sono tutti personaggi realistici e sfaccettati, con una propria precisa (e spesso complessa) psicologia. Non a caso, lo scrittore Norman Mailer definirà la serie "un perfetto romanzo d'inizio millennio, il grande quadro di un'America confusa, depressa e corrotta". Non è l'italianità, insomma, a connotare i ruoli dei protagonisti, ma l'appartenenza a una famiglia che, pur confrontandosi con i tempi che cambiano, fatica a immaginare altri stili di vita rispetto a quelli degli avi. Emblematica in tal senso la "giustificazione" di Tony: "Mio padre era così, mio zio era così. C'era un'epoca in cui un italiano non aveva molte altre possibilità. Forse per essere un ribelle nella mia famiglia avrei dovuto vendere mobili da giardino sulla statale 22".
Oltre tutto, Chase non dimentica gli altri figli di paisà, quelli onesti, perfettamente integrati nella società americana con posizioni di prestigio, come il dottor Cusamano, vicino di casa di Tony, o gli stessi Melfi, in prima linea contro la disinformazione dei media sugli italoamericani.
Le dosi massicce di sesso e violenza scateneranno invece altre critiche, anche da parte dell'ex-governatore democratico dello Stato di New York, Mario Cuomo, che arriverà a definire la serie "un pericolo per la società e soprattutto per i giovani". Era solo l'inizio di uno sfiancante dibattito che il valore artistico della serialità televisiva (da "The Wire" a "Breaking Bad") avrebbe fortunatamente messo a tacere. Non in Italia, però. Dove tuttora si dibatte del "modello diseducativo" di serie come "Gomorra" e "Romanzo criminale" (due tra le pochissime produzioni nostrane di appeal internazionale) e dove, per anni, la stessa saga dei Soprano ha incontrato ostracismi e diffidenze. Condannata a una programmazione punitiva (in seconda serata su Canale 5, poi su Italia 1 in orari notturni, prima del passaggio alle pay-tv), distribuita su Dvd solo dal 2008, la serie non ha mai ottenuto il successo di cui ha beneficiato anche in altri paesi. Non tanto un problema di intraducibilità del doppiaggio, dunque, quanto probabilmente di scarsa familiarità del nostro pubblico - almeno quello dell'epoca - con un genere di serialità "pastiche", caratterizzata da una mescolanza di generi così complessa e articolata. In sintesi, "I Soprano" erano troppo avanti per essere compresi e troppo sofisticati per scampare alle polemicucce dei campioni di patriottismo di cui sopra. Solo anni di tv satellitare e di passaparola sul web sarebbero riusciti a restituire loro in Italia un pubblico di cultori affezionati, ancorché di élite.
"Siamo negli anni 90. Si suppone che i genitori possano discutere di sesso con i figli"
(Meadow Soprano)
"Sì, ma è qui che ti sbagli. Vedi, fuori sono gli anni 90, ma in questa casa è il 1954!"
(Tony Soprano)
Una famiglia disfunzionale
"Tutte le famiglie felici sono simili; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo", teorizzava Tolstoj in "Anna Karenina". Tesi doppiamente appropriata nel caso dei Soprano, che sono sì una famiglia piena di guai, ma anche La Famiglia mafiosa, che deve difendere la sua rendita di potere. Non a caso Chase ha ironicamente intitolato un episodio "All Happy Families".
L'abbrivio della serie è dettato così dai tormenti domestici di Tony, boss in pectore della sua famiglia, affiliata con la cosca degli Aprile, il cui capo Jackie è malato incurabile di tumore. A intralciare la sua ascesa sono soprattutto il vecchio zio Junior, geloso del suo potere, e la dispotica madre Livia, disposta persino a cospirare con il cognato per eliminare il figlio, reo di averla spedita in una casa di riposo. La perfida matriarca apparirà anche come l'origine dei problemi psicologici di Tony, rimasto traumatizzato da bambino nel vedere suo padre tranciare le dita con un'accetta al signor Satriale (e di fatto rilevando la gestione della macelleria, che diverrà uno dei covi della gang) e la conseguente eccitazione della madre nell'osservare la carne messa in tavola per il marito. Anche a casa, per Tony, le difficoltà non mancano, dai litigi con la moglie Carmela, che ha perso ogni fiducia nei suoi confronti, alle preoccupazioni per i figli, l'adolescente-ribelle Meadow e l'indolente Anthony Jr. Una routine a nervi tesi, tra tradimenti coniugali, vampate di rimorsi, sensi di colpa, doppie morali, rotture e riavvicinamenti.
È proprio in questo groviglio inestricabile di dinamiche familiari e criminali che "I Soprano" trova il suo fulcro espressivo. Perché - come sottolinea Stephen Holden sul New York Times - "il Tony mafioso e il Tony padre di famiglia si fondono". Uno è il malvivente dedito al furto, allo strozzinaggio, allo spaccio di droga e alla corruzione sindacale; l'uomo che prova piacere a pestare e uccidere i propri nemici. L'altro è un family man perbenista, che si cruccia all'idea che i figli abbiano scoperto che non si occupa davvero di "smaltimento dei rifiuti", che si infuria quando la figlia si mette a parlare di sesso a tavola e annuncia che in casa sua è ancora il 1954; un devoto padre di famiglia che però è anche proprietario di un topless bar (il Bada Bing!) e ha una relazione fissa con una prostituta russa di nome Irina (e con varie altre, inclusa un'amica della medesima, priva di una gamba).
Questo valzer di dualismi perversi porta spesso a effetti esilaranti. Come quando Tony scopre che lo zio Junior se la cava molto bene con il sesso orale, pratica considerata disdicevole dall'etica machista di Cosa Nostra. In pubblico lo sfotte senza pietà, ma nell'intimo condivide un senso di debolezza, pervenendo all'amara conclusione che "il cunnilinguo e la psichiatria ci hanno ridotti così". Del resto, il maschilismo e l'arroganza sessuale nei Sopranos sono solo gusci vuoti: dietro alle battute e alla terminologia - Tony vive al n. 633 di Stag Trail Road e ha chiamato la sua barca Stugots (letteralmente "Stocazzo") - si nasconde un'insicurezza strisciante, sublimata dagli incubi sentimentali e dalle crisi di pianto del boss nello studio della dottoressa Melfi.
La famiglia è però anche il covo degli affetti, sapientemente utilizzato per collidere nel modo più stridente con la brutalità della violenza. Come quando Tony, durante un idilliaco viaggio con Meadow tra i lindi college del Maine, si allontana un attimo per strangolare a mani nude un informatore, giusto in tempo per tornare dall'amata figlioletta, divenuta il suo alibi. Scena strategicamente collocata in uno degli episodi più struggenti, in cui il capo dei Soprano, al culmine del sentimentalismo paterno, si lascia andare a una confessione a cuore aperto:
- Meadow: "È vero che sei mafioso?"
- Tony: "Sono cosa? È una grande stronzata, chi te l'ha detto? È uno stereotipo ed è offensivo. Io mi occupo di smaltimento rifiuti. E tutti pensano subito che ci sia sotto qualcosa di losco...
Senti, in effetti una parte dei miei soldi viene dal gioco illegale e altre cose. Questo come ti fa sentire?"
- Meadow: "A volte mi piacerebbe che tu fossi come gli altri papà".
Botta e risposta rinnovato poi in chiave comica in un altro celebre siparietto tra i due:
- Tony: "In fondo la tua vita non è poi tanto diversa da quella della figlia del pediatra che abita di fronte a loro".
- Meadow: "Anche i figli di Cusamano hanno trovato 50.000 dollari e una calibro 45 automatica mentre cercavano le loro uova di Pasqua?".
Dialoghi fulminanti illuminano costantemente una narrazione che non ha bisogno di effetti speciali. Più intenta a scavare nei personaggi che nelle storie - alcune delle quali restano addirittura in sospeso, su tutte quella del russo in fuga tra i boschi di Pine Barens - la serie costruisce paradossalmente il suo appeal realista su ripetitività e anti-spettacolarità. Come osserva il collega Diego Capuano, "si possono non gradire le ripetizioni (Tony che apre il frigo, che litiga con Carmela, che fa sesso, che mangia in continuazione), ma è proprio questa lucidità del reale a donare una credibilità sconcertante al suo personaggio e a chi gli sta intorno. Si può non amare tutto ciò, non immedesimandosi o addirittura rifiutandolo (alla lunga distanza, può disgustare assistere alla vita reale di un criminale), ma la coerenza autoriale e quella dei personaggi sono portate avanti dal primo all'ultimo secondo dei Sopranos. Come nella vita ci sono momenti alti e bassi, scene madri e piatta quotidianità. Senza una sbavatura".
Attraverso questa inesorabile lente investigatrice, allo spettatore è dato in pasto un microcosmo in cui ogni dettaglio - dalla vestaglia di Tony alle unghie laccate di Carmela, dai completi castigati della Melfi alle tovaglie del ristorante Vesuvio - acquista un rilievo mitico e al tempo stesso familiare.
"Gli agenti dell'Fbi mi stanno tanto su per il culo che sento in bocca il sapore di brillantina"
(Corrado Junior Soprano)
Gli altri personaggi
Inevitabile, a questo punto, una breve carrellata sugli altri protagonisti e personaggi di contorno, che sviluppano le loro vicende nel corso delle puntate, contribuendo a formare l'affresco generale. Perché, pur monopolizzata dal carisma del capo, "I Soprano" è in tutto e per tutto una serie corale.
Carmela Soprano
Una strepitosa Edie Falco (premiata con 3 Emmy , 2 Golden Globe e 3 Screen Actors Guild Awards) dà vita al personaggio più approfondito della serie dopo il suo protagonista. Perfetta first lady di famiglia, cotonatissima e ingioiellata padrona di una casa in cui abbondano le finte colonne romane e le mazzette di banconote spuntano dall'impianto di riscaldamento, è più cinica e calcolatrice di Tony, con il quale ha un rapporto tanto solido quanto conflittuale. Gli perdona, però, un numero abnorme di scappatelle. È annoiata del suo ruolo di "mafia wife" e insegue progetti più o meno velleitari (inclusa la costruzione di una casa che definisce il suo "investimento per il futuro"). Ma è troppo abituata all'agiatezza che lo sporco mestiere del marito le regala per voler davvero cambiare vita. Madre sensibile e donna passionale - si innamora del professore del figlio, di un tirapiedi del marito e perfino di un prete - sa però perfettamente che nessuno al mondo rischierebbe la vita per un flirt con la moglie di un boss. È tormentata dai sensi di colpa e ha inaspettati slanci di moralità, che però svaniscono quando sfoggia un'auto di lusso davanti a un'amica caduta in difficoltà economiche o quando intimidisce la moglie di un preside per raccomandare la figlia. Sulla sua fervente fede cattolica, Tony ha una opinione molto pragmatica: "Lei sa che anche se Dio è morto, devi comunque baciargli il culo".
Jennifer Melfi
Si è già detto del ruolo-chiave dell'altera psicoterapeuta. Pur ostentando fermezza e sangue freddo, anche Jennifer è un vulcano in eruzione. Combattuta tra rimorsi e doveri professionali, si confiderà con il suo psicanalista e mentore Elliott Kupferberg (un grande cameo del regista Peter Bogdanovich) che metterà a nudo tutte le contraddizioni insite nel rapporto con il suo paziente. Il marito fa parte di un'associazione che denuncia la rappresentazione stereotipata degli italiani nei media: quasi un riferimento beffardo alle polemiche cui andrà incontro la serie. Sulla straordinaria performance di Lorraine Bracco c'è poco da aggiungere, se non che sarà premiata con due Screen Actors Guild Awards, oltre che con una pioggia di nomination (17, tra Emmy, Golden Globe etc.).
Livia Soprano
Forse il personaggio più spietato e negativo in assoluto. Astuta e manipolatrice, la matriarca di famiglia si chiama come la madre cospiratrice di Cesare Augusto (immortalata dalla serie Bbc "I, Claudius"), ma Chase si ispirò semplicemente al nome di sua zia, puntando su una delle poche interpreti non italoamericane, la straordinaria Nancy Marchand (morta purtroppo il 18 giugno del 2000). La sua senilità folkloristica, però, regala risate. Anche quando minaccia il figlio di accecarlo con una forchetta e inizia a tramare con il cognato per farlo fuori. Un adorabile mostro.
Corrado Junior Soprano
L'altro amabile vecchietto-carogna di famiglia è interpretato da un leone del cinema americano come Dominic Chianese (già nel cast di tante produzioni di Hollywood, incluso "Il Padrino parte II"). Zio di Tony, fratello maggiore di "Johnny Boy" Soprano, giocava alla lotta con il nipote ed è finito dentro due volte. Ora però vuole contrastarne l'ascesa attraverso uno scellerato piano, ordito con la sorella Livia, con la quale si lamenta del crollo di valori delle nuove generazioni. Ma lui stesso, in fondo, ha abdicato a quel codice. Ad esempio, cedendo al famigerato cunnilingus. Finisce col fare la figura del vecchio boss rincoglionito, usato da Tony & C. come uomo di paglia per i loro affari. Ma deve fare i conti anche con gli agenti dell'Fbi che - parole sue - gli stanno "tanto su per il culo da sentire in bocca il sapore di brillantina".
Meadow Soprano
Della figlia maggiore di Tony, cui dona grazia e verve Jamie-Lynn Sigler, abbiamo già ricordato alcuni siparietti esilaranti con il padre. Orgoglio dei genitori - si presenta dicendo "io sono quella educata della famiglia" - nasce come adolescente ribelle, ma è destinata a ripercorrere la parabola cinica della madre, malgrado gli studi brillanti (si appresta a entrare al college), le cene con i colleghi radical-chic e il volontariato al centro assistenza legale per immigrati. Il rigetto per la sua famiglia si attenuerà nel tempo, parallelamente alla sua ascesa sociale, che la porterà a fare anche scelte più pragmatiche di fidanzarsi con uno studente afroamericano e salvare i bambini malati. Una figura amara, che spiega molto sul peso insopprimibile dei condizionamenti familiari in certi ambienti malavitosi.
Anthony Jr. Soprano
È il tipico figlio-bamboccione del boss (chissà se sarà ispirato a lui il "primo" Genny di "Gomorra"). Viziato dal padre, imbelle e svogliato, sembra quasi inconsapevole delle attività della famiglia, pur iniziando ad apprendere qualche informazione. Dopo aver letto Camus, prende una sbandata per il nichilismo, proprio mentre la famiglia gli sta organizzando la cresima. È il più giovane dei Soprano, forse anche il più ingenuo e innocente. Incarna la crisi di identità tipica della crescita, ben espressa dalle fattezze dell'acerbo Robert Iler. Ma per Tony è lo specchio che amplifica la sua fragilità e i suoi fallimenti.
Janice Soprano
Aida Turturro dona carnalità ed esuberanza alla sorella di Tony, che irrompe sulla scena nella seconda stagione, dopo l'infarto della madre Livia, che riporta nella sua vecchia casa. Scappata di casa giovanissima per unirsi agli hippie della West Coast, Janis (o Parvati, come da nuovo nome buddhista) intreccia storie con vari membri della banda, incluso Richie Aprile. Instabile, isterica, rincorre sempre l'uomo sbagliato, ma possiede un'innata furbizia che l'aiuta sempre a cavarsela anche nelle situazioni più scabrose. Egoista e anaffettiva, susciterà però tenerezza quando confiderà le sue insicurezze al fratello: "Devo stare attenta alla linea per trovare un altro marito".
Christopher Moltisanti
Il nipote di Tony (interpretato da Michael Imperioli) è uno dei personaggi più complessi e interessanti della serie. Impulsivo, legato al cliché del mobster arrogante che si fa sempre rispettare, nasconde però una fragilità di fondo. Potrebbe essere l'erede designato, ma fatica a incassare la stima dei capi. Anche perché ha seri problemi di droga e sogna un'altra vita, tra i corsi di economia e l'illusione dorata di Hollywood. Anche la sua relazione con la bella Adriana La Cerva (Drea de Matteo), aspirante manager musicale, acuisce il suo desiderio di fuga dalla realtà, sebbene sospetti che stia tradendo lui e la famiglia. Figlio della generazione Mtv, cerca il successo facile, la sceneggiatura vincente per la sua vita, ma è solo e impotente di fronte a un mondo che si sta sgretolando.
Richie Aprile
Personaggio drammatico dalle sfumature shakespeariane (almeno secondo J. Madison Davis, presidente dell'International Association o Crime Writers), è interpretato da David Proval con tanta malvagità che la sua performance è stata giudicata "il ritratto più realistico di un gangster visto in televisione". Fuoriuscito di galera, non riesce ad accettare che sia Tony il nuovo boss e a troppa fretta di prendersi il centro della scena. Rivelandosi, in definitiva, assai poco cauto. Come quando pensa di poter impunemente prendere a schiaffi la fidanzata Janice Soprano.
Silvio Dante
Steven Van Zandt, per gli amici Little Steven (nato in realtà come Steven Lento e originario di Lamezia), oltre che chitarrista storico di Bruce Springsteen, è anche una delle "maschere" più riuscite della serie. Con quella bandana e l'aria da pirata, a Chase ricordava un Al Pacino giovane. Amico d'infanzia di Tony, fiero e leale, Silvio è l'uomo di maggior fiducia del boss, quello a cui commissiona la maggior parte degli omicidi di traditori. Lui esegue, apparentemente senza battere ciglio, ma qualche volta accuserà il colpo. Sognava di fare il cantante, finirà col gestire diversi strip-club del New Jersey, incluso il covo del Bada Bing. Il suo inconfondibile ghigno, unito a una simpatia debordante, lo hanno reso uno dei personaggi più amati dei Soprano. Affetto sintetizzabile nella battuta di un utente del forum di OndaRock: "Sono andato al concerto di Springsteen, non per vedere Bruce e neanche per Little Steven, ma per vedere Silvio Dante".
Paulie Gualtieri
Buffo e simpatico luogotenente di famiglia, dai ciuffi grigi e dalla battuta sempre in canna, ha la faccia scavata di chi ne ha viste tante (l'attore Tony Sirico è l'unico del cast con un passato realmente mafioso: lavorò per il boss Carmine Persico). Viene soprannominato "Walnuts", per la sua cocciutaggine, ma anche per il aver rubato per sbaglio un camion di noccioline anziché di televisori. Duro dal cuore tenero, abbigliato con orrende camicie hawaiane, è molto sensibile al richiamo delle sue origini e si offende per lo "stupro della cultura italiana". Curiosamente, è stato anche il personaggio della serie più volte al centro di fenomeni misteriosi, rimasti sostanzialmente inspiegati.
Robert "Bobby Bacala" Baccalieri Jr.
Tra i beniamini del pubblico sarà anche questo atipico gangster, reso immortale - oltre che dal nomignolo - dall'imponente stazza e dal volto bonario di Steve Schirripa. Non partecipa quasi mai ad azioni violente, è un marito fedele e premuroso e non usa il turpiloquio dei compari. Suscità anche l'ilarità dei compari, come quando è costretto a vestirsi da Babbo Natale per l'annuale dispensa di regali ai bimbi del quartiere. Ma la sua relazione con Janice gli permetterà di scalare le gerarchie dei DiMeo, costringendolo a fare i conti con le regole spietate dell'Onorata Società.
Johnny "Sack" Sacrimoni
In rappresentanza degli "altri boss", abbiamo scelto quello che preferiamo senz'ombra di dubbio (anche grazie alla magistrale performance di Vince Curatola). Il più saggio e raziocinante, gran signore, nonché probabile alter-ego di John Gotti. A capo della cosca newyorkese dei Lupertazzi, unisce all'intelligenza la sagacia e il self-control. Tranne quando gli toccano i chili in eccesso dell'amata moglie Ginny. Ma anche lui ha i suoi problemi a tenere unita "l'altra famiglia" e ha i federali alle calcagna. La sua uscita di scena segnerà uno dei momenti più commoventi della serie.
Si tratta solo di una ristretta delegazione della folla sterminata di una serie che ha spesso proprio nei comprimari i punti di forza di alcune puntate. Impossibile dimenticare personaggi come Pussy Bonpensiero, corpulento soldato di famiglia, braccato dall'Fbi e protagonista di molte sequenze oniriche; lo psicotico Ralph Cifaretto interpretato da Joe Pantoliano (protagonista di quella che resterà la scena più violenta dell'intera serie); il nevrotico loser Tony Blundetto con cui Steve Buscemi fa le prove generali nella mafia in vista di "Boardwalk Empire"; il rozzo Little Carmine Lupertazzi, disprezzato da tutti ma capace di una delle poche scelte etiche vere della serie; il brutale Phil Leotardo, basato con ogni probabilità sul vero boss dei Gambino Jackie D'Amico, a cui assomiglia anche fisicamente; l'amante di Tony con tendenze suicide Gloria Drillo, cui dà volto la splendida Annabella Sciorra; il ristoratore Artie Bucco (John Ventimiglia); l'amico e consigliere ebreo Hesh Rabkin (Jerry Adler).
Tutti, in un modo o nell'altro, sono fondamentali per decifrare lo smisurato puzzle dei Soprano.
"Volevo che i Soprano funzionassero come una satira, ma se scrivi bene, i personaggi devono essere a tutto tondo"
(David Chase)
Oltre l'epilogo
Se in Italia è stato un mezzo flop, negli Usa "I Soprano" è di gran lunga la serie che ha concentrato il massimo consenso di pubblico e critica. La Hbo ha stimato 13 milioni di spettatori americani per ogni puntata, cifra che diviene ancor più impressionante se si considera che l'emittente raggiunge solo 34 milioni di case e che un'altra serie cult come "Lost" non andò oltre gli 8 milioni di spettatori a puntata. In tanti si abbonarono alla Hbo solo per vedere i 13 episodi della prima stagione.
Esposta al MoMa di New York, regolarmente studiata a Harvard come spunto di analisi della post-modernità americana e della sua crisi di valori, è anche la serie più premiata della storia: 82 i riconoscimenti (tra cui 5 Golden Globe Award e 21 Emmy, di cui ben tre conquistati da Gandolfini come miglior attore), 211 le nomination.
Le vicende di Tony e compari segnano anche un punto di non ritorno della produzione televisiva: quello in cui le serie riuscivano per la prima volta a sorpassare il cinema, candidandosi a raccontare la società in modo più articolato e complesso, con modalità narrative in grado di competere con la letteratura. Spiega Chase: "La peculiarità dei Soprano, che ora è diventata un carattere tipico delle serie tv, è la coesistenza di più registri, in particolare dell'ironia, della metacomunicazione, del distacco, e dall'altra parte dell'identificazione e del naturalismo psicologico. Volevo che i Soprano funzionassero come una satira, ma se scrivi bene, i personaggi devono essere a tutto tondo". Ed è proprio il caso del Tony di Gandolfini, personaggio quasi titanico nel caricarsi sulle spalle un mondo in dissoluzione e nel restituircelo con straripante esuberanza, attraverso la sua stessa fisicità: la sua corporatura, il suo incedere goffo, i suoi scatti di collera, i suoi sorrisi malinconici, tutto ha contribuito alla definizione di un personaggio così vivido e reale che in tanti hanno provato la sensazione di convivervi. Anche perché - ed è questa forse la cosa più sconvolgente - il suo desiderio inconfessabile di normalità, il suo senso di precarietà e inadeguatezza lo hanno reso pericolosamente vicino a tutti noi.
È anche il primo criminale attorno al quale è stata costruita un'intera epopea televisiva. Non c'è dubbio che sia lui l'antesignano di tutti i vari Walt White ("Breaking Bad"), Nucky Thompson ("Boardwalk Empire"), Frank Underwood ("House of Cards") e dello stesso Escobar-fiction di "Narcos". Ma non è azzardato sospettare che senza "I Soprano" non sarebbero mai venuti alla luce quei due grandi romanzi televisivi americani di nome "Mad Men" e "The Wire".
Tutta la serie è un crescendo drammaturgico, che culmina nella maratona (21 puntate) della sesta stagione, la più potente, la più visionaria. Come ricorda ancora Capuano, man mano che si avvicina all'epilogo, Chase amplia le possibilità offerte dal mezzo, spiazzando più volte lo spettatore. Alcune puntate, ad esempio (vedi "Soprano Home Movies", come già in passato "Pine Barrens"), funzionerebbero anche come film indipendenti. Vengono estese situazioni che almeno all'inizio apparivano poco interessanti (la bellissima parentesi dedicata a Vito Spatafore), mentre altre, ben più rilevanti, si esauriscono in una manciata di minuti (come nell'episodio-capolavoro "Kennedy and Heidi", che approda a uno straniamento inclassificabile). Chase, dunque, osa sino in fondo, evitando di adagiarsi su quella che poteva essere una versione televisiva di "Quei bravi ragazzi" e finendo così col costruire un puzzle ardito e disturbante sugli Stati Uniti e sulla società contemporanea.
Si è tanto discusso dell'enigmatico finale, che non vi sveleremo e che si presterà a infinite interpretazioni (e perfino a parodie eccellenti, come quella messa in scena dalla famiglia Clinton!). A prescindere dalle varie spiegazioni (ne potete trovare alcune qui), quello che ci preme sottolineare è l'assoluta continuità tra quell'epilogo e una delle caratteristiche principali della serie: la sospensione. Tutto è sospeso, perché incerto, indefinito, complesso. Nessun verdetto, nessun giudizio morale, nessuna verità. Fino in fondo. Solo il ritornello AOR di "Don't Stop Believing" dei Journey e quei dieci secondi di buio per consegnare all'immortalità Tony Soprano & C. Oggi, in quella gelateria di Blomfield, c'è un tavolo con la scritta "riservato" e un giornale con in prima pagina l'articolo sulla morte di James Gandolfini. Ma noi, che ancora non ci rassegniamo a quel tragico epilogo romano, vogliamo continuare a ricordarlo alla guida della sua auto, sigaro in bocca, sulle note della sigla "Woke Up This Morning" degli Alabama 3, mentre supera il Lincoln Tunnel e imbocca la New Jersey Turnpike, oltre l'aeroporto di Newark, tra grattacieli, ciminiere, villette a schiera e silos industriali. Per tornare finalmente a casa. Don't stop believing.
In memoria di James Joseph Gandolfini jr. (Westwood, 18 settembre 1961 - Roma, 19 giugno 2013)
Voti
Stagione 1: 9
Stagione 2: 8
Stagione 3: 9
Stagione 4: 8
Stagione 5: 9
Stagione 6: 10
Breve bibliografia
I Soprano - Dietro le quinte del serial-culto - a cura del New York Times (Sterling & Kupfer Editori, 2001)
Alessandra Stanleymarch - Brutality and Betrayal, Back With a Vengeance (New York Times, 10 marzo 2006)
Umberto Cantone - Addio a Tony Soprano, l'antieroe cult (LinkSicilia)
Aldo Grasso - Buona maestra (Mondadori, 2007)
Ranieri Polese - I Soprano, l'autunno di "quei bravi ragazzi" (Corriere della Sera, 10 giugno 2007)
David Chase: "I Soprano? Una famiglia disfunzionale" (Il Manifesto, 6 settembre 2014)
titolo:
I Soprano
titolo originale:
The Sopranos
canale originale:
Hbo
canale italiano:
Canale 5, Italia 1, Fox, Cult, Sky Atlantic
creatore:
David Chase
produttori esecutivi:
David Chase, Brad Grey, Robin Green, Mitchell Burgess, Matthew Weiner
cast:
James Gandolfini, Lorraine Bracco, Edie Falco, Michael Imperioli, Dominic Chianese, Steven Van Zandt, Tony Sirico, Robert Iler, Jamie-Lynn Sigler, John Ventimiglia, Vincent Curatola, Vincent Pastore, Nancy Marchand, Drea de Matteo, Federico Castelluccio, Joe Pantoliano, Aida Turturro, Steve Schirripa, Dan Grimaldi, Joseph R. Gannascoli, Robert Funaro, Steve Buscemi, Ray Abruzzo, Frank Vincent, David Proval, Max Casella, Carl Capotorto, Annabella Sciorra
anni:
1999-2007