"Dalla luce vengono le tenebre e dalle tenebre la luce"
Quando il primogenito di
David Bowie annunciò che avrebbe diretto l'adattamento del primo capitolo della trilogia di RTS
1 di "Warcraft" ci fu chi si stupì della scelta dell'autore di due cult fantascientifici come
"Moon" e
"Source Code", chiamato a sostituire
Sam Raimi dopo l'abbandono di questo in seguito a problemi organizzativi. Ma in realtà la produzione di Duncan Jones, con le sue trame quasi archetipiche e ritmi narrativi anomali e ripetitivi, ha sempre avuto un qualche legame con il mondo videoludico: si pensi a come viene gestito l'
escamotage alla base del film del 2011, chiaramente ispirato dall'idea fondante di opere come
"The Killing" o
"Rashomon", ma ridotto ad una sorta di
respawn da videogioco. Il fatto che il regista si sia dichiarato fan dell'influentissima saga di
videogame certifica solo quanto appena detto. E crea qualche, forse inatteso, legame con la monumentale trilogia de "Il signore degli anelli" e il rapporto del suo autore
Peter Jackson con l'universo creato da J.R.R. Tolkien.
Difatti il mondo di Azeroth, centro di tutte le vicende dei videogiochi fantasy della Blizzard Enterteinment (fra i produttori, tra l'altro), può essere considerabile come un tentativo di creare una
mitologia americana per mezzo della "letteratura" fantastica. Per l'appunto la medesima cosa che Tolkien ammise di voler realizzare per mezzo del mondo immaginario da lui ideato, ovviamente per la sua madrepatria britannica. Per quanto il fantasy letterario statunitense abbia prodotto opere di sicura influenza e anche qualità più o meno considerevole (si citino perlomeno i romanzi di Terry Brooks, Ursula Le Guin e George R.R. Martin), nessuna di queste riesce ad assolvere alla funzione
mitopietica che il padre dell'
high fantasy attribuì ai suoi scritti. Il mondo di "Warcraft", ideato principalmente dal direttore creativo della Blizzard Chris Metzen, invece rielabora senza molta attenzione filologica una vastissima serie di influenze (dalla sempreverde mitologia norrena allo stesso
corpus tolkieniano, passando per i "Miti di Cthulhu" di Lovecraft e la cultura mesoamericana e molto altro) e, in maniera molto americana, le riconduce ad una visione del mondo che nella sua complessità è innegabilmente eroica ed epica, anche nel senso di pura narratività. Pertanto dove il titanismo di Jackson stava nel tentativo di rendere visibile lo sfuggente e simbolico mondo del letterato inglese, quello di Jones è rintracciabile nella concretizzazione di un universo così vasto e complesso eppure tutt'altro che autoreferenziale. Rispettandone il carattere ludico che ne è (fu) la causa prima.
Nel rendere visivo Azeroth (e l'opposto Draenor, morente pianeta d'origine degli orchi) la squadra messa insieme da Jones raggiunge probabilmente nuove vette nell'integrazione tra CGI ed elementi materiali (si pensi alla
motion capture che anima gli orchi), soprattutto grazie agli effetti speciali della Industrial Light & Magic, legandoli indissolubilmente grazie alla chiaramente digitale fotografia di Simon Duggan, la quale si giova spesso di panoramiche "a volo d'uccello" per sottolineare la magnificenza grafica. Aspetto che ricalca fedelmente quanto visto nei giochi, sia a livello di
character design che di ambientazioni, trasformando i primi quaranta minuti del terzo film di Duncan Jones in una sequela di momenti all'insegna della
meraviglia. Sentimento che purtroppo lascia spazio dopo non molto tempo a momenti di estemporanea irritazione dovuti alla scrittura piuttosto dozzinale di certi passaggi della sceneggiatura e alla mancanza di sostanziale approfondimento per la maggior parte dei personaggi messi in scena, forse anche a causa di alcune interpretazioni non sempre convincenti. Fino a che la narrazione si fa ancor più spedita (di certo il film non può essere accusato di lentezza), il sistema dei personaggi e delle fazioni si complica ulteriormente e la narrazione culmina in una colossale battaglia finale molto meno banalmente eroica e retorica di quanto si sospettasse.
Battaglia che esplicita ciò che fin dagli inizi era strisciante nel film e che dimostra la differenza di "Warcraft" dalla maggior parte del fantasy portato sul grande schermo finora. Infatti tutta l'opera di Jones si nutre di contrapposizioni radicali che puntano ad un'eventuale sintesi e nel non raggiungerla dimostrano la loro vitalità ed interesse. Come afferma didascalicamente la frase messa in esergo non è nel dualismo bene-male che si trova la
raison d'être del film né la fazione di appartenenza a identificare e avvicinare i singoli personaggi, quanto la somiglianza di ideali e metodologie etiche, i quali comunque, come evidenziano gli ultimi 20-30 minuti, non bastano a rendere irrilevanti le differenze. Ed è proprio in questa prospettiva che la diplomazia diviene necessaria, sia nell'ottica della narrazione che nella critica del film, fornendo essa una chiave di interpretazione non solo di quanto mostra il film ma anche del posto che gli spetta nel corpus di Jones.
Raramente infatti il finale aperto di un film di questo genere dimostra di essere più che un invito a vedere l'eventuale
sequel, mentre in tal caso esso è necessario per rimarcare, nella sua semplicità, l'ideologia dell'opera, derivata fedelmente dal materiale di partenza del film (a differenza della trama quasi inesistente nella linearità e nel dualismo della narrazione a dir poco minimale di "Warcraft: Orcs and Humans"
2). Perché il dialogo è il principale e più fondante mezzo di interazione ed è tale solamente quando gli interlocutori sono effettivamente diversi. Come uomini e orchi. Si può pure considerare "Warcraft - L'inizio" un capitolo minore, se non un vero e proprio fallo, nel percorso del regista figlio d'arte. Di certo è distante dalla raffinatezza di "Moon" o dalla grande complessità (forse più apparente che effettiva) di "Source Code" ma è proprio nell'asciuttezza della sua trama e nella centralità del
dialogo che si dimostra realmente un film di Duncan Jones. Forse nel cinema mainstream è proprio questo genere di produzioni a sancire il valore di una filmografia. Di certo è dai tempi della prima trilogia di Jackson che un blockbuster fantasy (nonostante i suoi indiscutibili difetti) non ha in sé tanta complessità e ambizione. Per ora non resta che sperare che, come per i videogiochi, il ritorno ad Azeroth non sia ancora migliore. Questo, dopo tutto, è solo l'
inizio.
1 Real Time Strategy, i videogiochi strategici in tempo reale. Genere la cui nascita viene solitamente correlata a "Dune 2" (1992). "Warcraft: Orcs & Humans" (‘94), primo capitolo della trilogia, viene ritenuto uno dei titoli più influenti nella storia del genere, così come i successivi "Warcraft II: Tides of Darkness" (‘96) e "Warcraft III: Reign of Chaos" (2002) e le relative espansioni e "Starcraft" (‘99), titolo fantascientifico sempre della Blizzard. Ultimo esemplare della saga fantasy è "World of Warcraft" (2004), il gioco di ruolo online di maggior successo e influenza (grazie anche alle copiose espansioni).
2 Tanto che la stessa trama del videogioco è in realtà stata ricostruita a posteriori in "World of Warcraft" e nel romanzo di Jeff Grubb "L'ultimo Guardiano".